Pace non è semplice assenza guerra, è utopia difficile da raggiungere senza mediare e sporcarsi le mani

Si è svolta ieri nel tardo pomeriggio a Udine l’annunciata manifestazione “Tacciano le armi, negoziato subito” nell’ambito della giornata europea di mobilitazione per la pace. Certamente la temperatura proibitiva  della giornata più calda (fino ad oggi) registrata in questo 2022, non ha spinto alla partecipazione e vogliamo sperare che le persone di questo movimento siano ben più dell’ottantina presenti in piazza. Presidio simbolico quindi, ma comunque importante come ha voluto sintetizzare in una nota il consigliere regionale di Open Fvg Furio Honsell che ha anche preso la parola nel corso dell’evento: “Vedere i cittadini di Udine riappropriarsi di questo spazio pubblico per chiedere negoziati subito invece dell’uso delle armi nel mondo è molto importante. Ha detto Honsell, perché Udine è una delle città che aderirono tra le prime nel mondo al Movimento Mayors for Peace, il cui presidente per statuto è il Sindaco di Hiroshima. Le guerre dagli albori della Storia non hanno mai uno scopo che non sia la mera violenza fine a se stessa. Le spese militari andrebbero ridotte perché anche attualmente sono altissime 3-4 volte superiori in Italia a quando viene investito nel sistema universitario. L’impegno di tutti deve essere rivolto a non accettare la violenza ma prevedere la disobbedienza civile come Thoreau, o la non violenza come Gandhi o la resistenza civile come tanti antifascisti.” Parole sincere quelle dell’ex sindaco del capoluogo friulano, come sincere sono le motivazioni delle associazioni aderenti alla manifestazione. Il problema però è che, volendo o meno, l’utopia di una pace universale cozza con la realtà di un mondo ancora molto lontano da poter geopolitiacamente superare la nefandezza di armi e violenza. Viene da interrogarsi se questo movimento pacifista per alcuni serva invece per mettersi l’anima in “pace” tornando poi alla propria quotidianità appagati da aver “fatto qualcosa” mentre in Ucraina piovono le bombe dell’aggressore russo. Molti storceranno il naso, ma difendere l’Ucraina in qualsiasi modo,  sporcarsi le mani è azione pacifista, non guerrafondaia, perché serve per raggiungere una pace senza piegarsi alla violenza e alla sua propagazione ben oltre i confini dello stato aggredito.  Per alcuni probabilmente sarebbe stato meglio si arrendessero subito gli ucraini, perché tutto sommato “meglio russi che morti” e poi con la loro velleitaria resistenza ci stanno creando non pochi problemi. Per non parlare di quanti, pochi per fortuna, nascosti dietro alla bandiera della pace, hanno goduto ai successi russi abbracciando le tesi putiniane su ucraini=nazisti o altri che, temiamo, tenteranno la strada di liste elettorali o di un nuovo partito “pacifista” di cui, per ora sottotraccia, si percepiscono i mormorii. Se invece si volesse uscire dal pacifismo come ideologia accessoria, dallo sventolar di cartelli e bandierine e si ragionasse della pace come realismo di un’utopia, sarebbe certamente esercizio faticoso, ma più utile. Ernesto Balducci, sosteneva che “la pace nasce anzitutto, da un profondo realismo, da una forte presa di coscienza del limite invalicabile nel quale l’umanità si è spinta con Hiroshima e Nagasaki. Dopo di allora, l’umanità sa di essere mortale e nessuno può salvarsi”. Difendere “gli interessi dell’umanità piuttosto che quelli della tribù a cui ognuno di noi appartiene” diceva Balducci (compresa quella del neo-pacifismo ideologico aggiungiamo noi) è una scelta non di utopisti sognatori ma di persone che nel realismo della vita “forzano l’aurora a nascere”. Una visione certamente importante e perfino poetica, ma che purtroppo ha una debolezza: chi ha in mano le leve del potere politico, militare, economico, quell’utopia la legge non in maniera filosofica ma pragmaticamente come recitato dai dizionari: “Ideale etico-politico destinato a non realizzarsi sul piano istituzionale” che al massino può avere “funzione stimolatrice nei riguardi dell’azione politica, nel suo porsi come ipotesi di lavoro o, per via di contrasto, come efficace critica alle istituzioni vigenti”. Certo un movimento mondiale di milioni di persone potrebbe determinare, almeno nelle democrazie occidentali, un cambio di passo, ma non sembra davvero all’orizzonte.  Quindi, perché anche questa ipotesi diventi reale, bisogna che vi sia disponibilità all’ascolto e al confronto e soprattutto grande onestà intellettuale nel chiedere prevalga la diplomazia, sapendo che per trattare bisogna che al tavolo ci siano tutte le parti, se una rifiuta o bara (come la Russia con il grano), la diplomazia resta al palo. C’è poi il problema della contraddizione da parte di chi oggi propugna la pace universale e ieri decantava la lotta armata di qualcuno, non importa se giusta o sbagliata, negando quindi la propria storia. Non si può essere pacifisti “a la carte”, certo si può essere onnivori tutta la vita e improvvisamente diventare vegani, ma non si deve nascondere il proprio passato di carnivori sennò si cade nel ridicolo. Ed allora con grande chiarezza bisogna dire che in questo movimento per la pace del 2022, così come si è sviluppato spesso con pulsioni anti Usa (non importa se giustificate o meno dalle azioni americane del passato), vi sono alcuni elementi di ambiguità e qualche inaccettabile strumentalità che con la pace, intesa come ricerca di un mondo senza guerra e conflitti violenti, poco ci azzecca. Detto questo è corretto sognare un mondo di giustizia e privo di sfruttamento. Sognare un mondo dove razzismo e intolleranza lascino il posto al fiorire della fratellanza tra i popoli, dove l’uso delle risorse non distrugga il pianeta, dove i miliardi di euro spesi per armi distruttive possano essere utilizzati per salvare le vittime di povertà e miseria. Ma per arrivarci la strada è lunga e non può passare sulla pelle dell’Ucraina e di tutti i posti dove infuria ancora la guerra semplicemente gridando allo scandalo. La lista di questi paesi è lunga: dall’Ucraina alla Palestina, dalla Siria all’Iraq, dall’Afghanistan, allo Yemen, al Kashmir, alle Filippine…. Per non parlare dei conflitti armati che divorano quasi metà del continente africano: Libia, Niger, Mali, Ciad, Sudan, Etiopia, Congo, Uganda e …. Ed allora diciamolo che cercare pace non vuol dire ululare alla luna nel pozzo invocando l’assenza di guerra, ma anche lottare per evitare che il pianeta venga deprivato selvaggiamente delle sue risorse in nome di interessi temporanei quanto innominabili, mettendo in pericolo le future generazioni. Contrastare il fatto che la crescita economica resti l’unico obiettivo da seguire senza occuparsi e turbarsi dei suoi effetti collaterali e facendo spallucce sul fatto che si allarga il divario tra i ricchi e i poveri e che fame, miseria e malattie imperversano ancora negli angoli del mondo emarginati e dimenticati lambendo ormai da vicino anche paesi “ricchi”, Italia compresa dato che l’economia quotidiana è ingabbiata tra i numeri virtuali della finanza mondiale che decide il benessere di intere popolazioni e senza un barlume di umanità. Per non parlare del fatto che schiavitù e sfruttamento sono ancora all’ordine del giorno anche nei paesi avanzati, in maniera subdola attraverso la precarizzazione del lavoro che è anticamera dello schiavismo “nobilitata” da “contratti” spuri in nome della flessibilità.  Il tutto mentre milioni di diseredati, fuggendo dalla guerra e dalla fame, faticano a trovare un riparo dignitoso, una mano amica e trovano invece muri di filo spinato e in un prossimo futuro probabilmente “blocchi navali” conditi da disperazione e morte. E come se tutto questo non fosse nulla, leader politici che si fatica a definire tali, chiamano all’intolleranza cercando di instillare paura e insofferenza e possibilmente reazioni “popolari” per avvalorare le loro politiche inumane e cercare voti facili. La risposta a tutto questo possono essere le bandierine in piazza? Ne dubitiamo, forse bisognerebbe rimboccarsi le maniche per cercare programmi e forza politica per contare davvero nelle stanze dei bottoni, pretendendo precisi impegni da chi viene a chiedere il voto. Per farlo bisogna fare proposte realizzabili, anche mediate, ma che un tassello alla volta aiutino un processo complicatissimo a trovare compimento. Se invece vi basta l’autoreferenzialità e la patente di pacifisti duri e puri continuate la vostra strada ululando alla luna nel pozzo.