Per quanto tempo ancora Catilina…

Per quanto ancora dovremo sopportare le angherie a cui viene sottoposta la gente di Gaza? Uso il termine angherie perché a quanto pare genocidio, che descriverebbe meglio la situazione, non è gradito a chi decide ciò che va bene e quello che invece non si può. Probabilmente, almeno così parrebbe, ci sarà una quota, un numero specifico che determina il passaggio tra un livello e l’altro; un po’ come nei videogiochi. Evidentemente gli israeliani intendono diventare campioni e battere tutti i risultati fino ad oggi ottenuti. Almeno quelli realizzati dalle sue forze armate finora, e i precedenti certo non mancano. Ancora un piccolo sforzo e raggiungeremo presto i diecimila (lo metto anche in cifre così uno non sbaglia, 10.000). Anche qui però bisognerebbe sommare quello che evidentemente è un bonus come in tutti quei giochi ed è quello delle vittime ancora sepolte sotto le macerie e che per ora, e forse anche in seguito, non è possibile quantificare. Secondo stime per forza di cose imprecise, si tratterebbe di duemila (anche qui in cifre che rende maglio, 2.000) e più di esseri umani che probabilmente non saranno, in maggioranza, mai identificate; la sepoltura già ce l’hanno. Ci penserà in futuro qualche ruspa a disperderne i resti.
Mentre il mondo si divide tra coloro che scelgono per la definizione di genocidio e quelli che invece chiedono ad Israele un maggiore rispetto delle regole di guerra internazionali (come se guerre avessero mai avuto regole), a Gaza si continua a morire come mosche. Tra poco anche a causa delle mosche che in un contesto del genere banchetteranno allegramente in mezzo alle macerie e alla tragica realtà in cui quei due milioni e mezzo di umani sono costretti a vivere. Acqua potabile praticamente non ce n’è e per bere, Tsahal (il famoso esercito etico di Israele) ha bombardato gli acquedotti e la distribuzione; o si aspetta quel poco che viene fatto passare in termini di aiuti umanitari (praticamente niente) o ci si adatta a trangugiare acqua dolce misto salata. Certo nei giorni scorsi sono state aperte le valvole che impedivano all’acqua di entrare a Gaza, peccato che nel frattempo, come dicevamo, l’acquedotto sia stato reso inutilizzabile. Se poi vogliamo un dato sulle condizioni igieniche in cui migliaia e migliaia di sfollati vivono per esempio nelle scuole sotto la protezione dell’UNRWA (la locale sezione speciale dell’ONU) o degli ospedali, bene; un bagno ogni 600 persone. Forse nemmeno la più fervida immaginazione riuscirebbe a dare una figura concreta di cosa significhi una situazione del genere. E non abbiamo nemmeno toccato il fondo, quando poi finalmente (bontà loro) gli israeliani concedono ai malati più gravi di spostarsi verso Rafah, il corteo di ambulanze viene bombardato direttamente alla partenza dall’ospedale con la scusa che all’interno dei mezzi ci sono miliziani e armi. Il fatto che a controllare minuziosamente pazienti e personale medico che viene ammesso a bordo siano proprio i soldati di Tel Aviv, evidentemente non è garanzia sufficiente. Stranezze della vita, che in questo caso portano alla morte.
Con i famosi camion è entrata anche la farina, sempre in quantità limitata ma pur sempre qualcosa; immediatamente i forni che dovevano trasformala in pane sono stati regolarmente bombardati. Boh, mangeranno brioches! Qualche medicinale pure è stato fatto passare, ma anche per quel poco che è rimasto degli ospedali rappresentano poco o nulla. Le strutture mediche sono ben oltre la loro capacità e stracolmi di feriti che ormai a volte vengono operati anche senza anestetici; a me viene in mente la scena del film “il maratoneta” quando a Dustin Hoffmann trapanavano i denti a vivo. Cosa significhi curare pazienti che arrivano in continuazione con le strutture strapiene anche di profughi che non sanno dove altro andare perché non c’è altro dove ripararsi, sono cose che vanno oltre l’immaginazione; almeno la mia. Ma le scene che arrivano nonostante il blocco dell’informazione indipendente imposto da Israele, riescono a darci un’idea sufficiente di quell’inferno. Non bastasse, secondo l’esercito di Tel Aviv, tutte quelle migliaia di persone, pazienti, personale, sfollati, dovrebbero abbandonare le strutture ospedaliere che, perbacco, stanno proprio in mezzo a quello spazio che deve essere liberato per permettere ai carri armati e alla soldataglia di proseguire indisturbati. Come si possa solo pensare sia fattibile un’operazione del genere deve essere frutto di menti molto malate.
Però se uno proprio avesse buona volontà, potrebbe seguire i saggi consigli del solito esercito e fare i bagagli per trasferirsi più a sud dove potrebbe trovare riparo dalle cannonate e dalle bombe. Peccato che bombe e cannonate non manchino anche da quelle parti e che la gente muoia in serie anche lì. Senza contare che le due strade (anzi ora solo una) che portano a sud non vengono risparmiate da, come dicono i comandanti, i mezzi di terra, di aria e di mare (ricorda qualcuno?) e chi si avventura su quella strada rischia di rimetterci la pelle come successo in molte occasioni. Una sorta di roulette russa.
Ma qual è dunque l’obiettivo di questa vendetta sanguinaria che sta riducendo in briciole le abitazioni, le scuole, gli ospedali, le infrastrutture della Striscia uccidendo indiscriminatamente chi si trova in mezzo? Anche volendo e Israele permettendo, quando potrebbero rientrare i Gazawi, soprattutto dove? Non credo ci voglia eccessiva fantasia per capire che il loro ritorno non sia proprio previsto anche considerando che se Gaza sta diventando un deserto, in Cisgiordania non si sta proprio bene. Ci pensano i coloni ben difesi dall’esercito e le incursioni dell’esercito stesso a rendere la vita dei palestinesi impossibile. Sono ormai numerosi gli abitanti di villaggi costretti ad abbandonare tutto ed andarsene a causa dei continui attacchi e degli omicidi che i fanatici coloni non fanno certo mancare. In seguito alla sciagurata e assurda operazione di Hamas, ci ha pensato il ministro Ben Gvir a distribuire migliaia di fucili a quella manica di integralisti, fascisti esaltati cavernicoli che non avevano di sicuro necessità di ulteriore aiuto.
In mezzo a questo casino, ci sarebbe pure il problema degli ostaggi; Hamas ne ha liberati 5, una soldatessa dovrebbe essere stata recuperata dai suoi colleghi, ma ne rimangono ancora circa 220, cifra che peraltro cambia ogni due giorni. Tra di loro ci sono molti poveracci la cui colpa era solo quella di lavorare sotto sfruttamento nei kibbutz e nelle cittadine del sud di Israele e donne e bambini. Probabilmente la loro liberazione potrebbe segnare una piccola svolta o almeno lanciare un segnale di buona volontà da parte dei miliziani. Ne rimarrebbero comunque ancora molti da poter usare (non mi viene un termine né migliore né peggiore di questo) come scambio. Nel passato Israele ha accettato condizioni durissime per ottenere la liberazione anche di un solo dei suoi militari; non a caso sta riempendo le sue prigioni di migliaia di nuovi arrestati spesso senza alcuna accusa specifica se non quella di essere palestinesi. Certo, per arrivare ad una soluzione del genere ci vogliono buona volontà e intermediari all’altezza. Fino ad oggi solo, almeno ufficialmente, il Qatar si è proposto attivamente per questo ruolo.
Come tutto ciò non bastasse, nei giorni scorsi migliaia di palestinesi che si trovavano in Israele a lavorare sono stati forzatamente fatti rientrare dopo aver passato queste quattro settimane in detenzione dove secondo le loro testimonianze sono stati umiliati, picchiati e i molti casi torturati. Da ieri, un calcio nel culo e via a casa loro. Sempre che esista ancora.
Nel frattempo Blinken, il segretario di stato USA, fa la spola tra Tel Aviv ad alcune capitali degli Stati dell’area per cercare di limitare i danni ed evitare che questo conflitto si possa espandere in modo incontrollabile. Ieri, il leader di Hezbollah, Nashrallah, è intervenuto alla fine della preghiera del venerdì rilasciando una molto attesa dichiarazione. Al di là dei proclami e delle inevitabili minacce lanciate al “nemico sionista”, ha dimostrato una quasi insospettabile flessibilità e di non avere certo voglia di intervenire in un vespaio del genere. Stesso atteggiamento assunto da Teheran, entrambi consapevoli che un loro intervento diretto comporterebbe l’espansione e l’esplosione di un conflitto dalle conseguenze devastanti per tutta l’area. Si attenderebbe dunque un atteggiamento conseguente anche da parte di Israele, ma il governo di quello Stato è gestito da gente che usa la guerra per sopravvivere politicamente o che nella propria mente malata ha una visione della realtà e del diritto degna di ricovero coatto. Non sono solo gli USA ovviamente potrebbero, e dovrebbero ovviamente, mettere sulla bilancia tutto il loro peso per impedire a Netanyahu & C. di continuare questa orrenda strage (se non la si vuole proprio chiamare genocidio poco cambia); i Paesi arabi di sicuro avrebbero una pesante voce in capitolo se solo volessero. Il T.P.I. (Tribunale Penale Internazionale che si potrebbe anche definire Tribunale Praticamente Inutile) dovrebbe aprire un’indagine e chiamare i responsabili a rispondere dei loro atti. Israele, in buona compagnia, non riconosce quel tribunale tanto quanto la Russia; resta il fatto che Putin è stato accusato ed è ricercato internazionalmente anche se non dappertutto. Netanyahu invece no. Quanto poi alla nostra povera Unione Europea e a chi ci rappresenta, meglio stendere un pietoso velo.
Ci sarebbe bisogno e ci sarebbero anche le concrete possibilità che qualcuno dall’esterno facesse capire a Netanyahu e soci che ora basta. Il limite della decenza è stato raggiunto e sorpassato ed è ora di farla finita con questo macello.
In fin dei conti Cicerone parlando a Catilina si rivolgeva a Serre, Clodio ed Antonio.

Docbrino