Resistere alla forza
Questa è una nota a titolo personale sulla guerra in terra ucraina: occorre in questi tristi tempi specificare tutto, quando si esige ad esempio che ogni pronunciamento sul tema si apra con parole ferme di condanna dell’invasione di uno Stato sovrano da parte di un altro, la Russia di Putin. Assistiamo al fatto che l’analisi politica prevalente non trovi – o non voglia trovare – parole che non siano, da quel 24 febbraio 2022, quelle belliche, salvo eccezioni che vengono però immediatamente censurate o screditate; la coscienza, il legittimo dubbio e la ragione cercano perciò aiuto e, forse, risposte nella letteratura, nella filosofia, nella storia; per me, come per altri e altre, nella matematica e nella pratica femminista. La matematica sa rifiutare e riscrivere assiomi consolidati (assioma indubitabile, nel contesto in esame, l’uso delle armi), e vive su una parola chiave che è la parola Relazione, che indica la capacità di vedere e costruire rapporti, stendere ponti, mediare, stringere in un medesimo abbraccio idee anche molto diverse tra loro. Conosce il ruolo della Negazione, quella capacità di ribellarsi di fronte alla sensazione di essere senza via d’uscita, inventando così strade mai percorse. Lo sappiamo fare? La matematica è esercizio di linguaggio che unisce e che parla senza ambiguità: così dovrebbe essere la lingua dell’ONU, grande esclusa e delegittimata rispetto ai numerosi conflitti cui assistiamo, eppur nata per dirimerli, ma oggi incapace di riscrivere le proprie regole al fine di poter tempestivamente e sovranazionalmente agire. L’ONU è lo strumento, le Carte dei Diritti il riferimento: ci sono, esistono, diamo loro corpo, vita, voce, invece di fare i cowboys in un mondo che sembra sempre di più senza regole, pronto a peggiorare ogni volta che cede a favore delle armi. Forza contro forza sono perdenti, così armi contro armi. Quell’opera stupenda di Simone Weil dal titolo L’Iliade o il poema della forza, scritta in pieno nazismo e fascismo tra il 1936 e il 1939, all’alba della Seconda guerra mondiale, credo sia, per noi specie umana adoratrice più o meno consapevole della forza, di immenso insegnamento. Val la pena ricordarne qui un ampio stralcio. “Così, coloro ai quali la forza è prestata dalla sorte, periscono perché vi si affidano troppo. Non può accadere che non periscano. Infatti non considerano la loro stessa forza una quantità limitata, né i loro rapporti con gli altri un equilibrio tra forze diseguali. (…) Talvolta il caso li avvantaggia, talvolta li danneggia; eccoli nudi davanti alla sventura, senza l’armatura di potenza che proteggeva la loro anima, senza più nulla ormai che li separi dalle lacrime. Questo castigo, di un rigore geometrico, che punisce automaticamente l’abuso della forza, fu per eccellenza oggetto di meditazione presso i Greci. Costituisce l’anima dell’epopea; con il nome di Nemesi mette in moto le tragedie di Eschilo; per i Pitagorici, per Socrate e per Platone fu il punto di partenza per pensare l’uomo e l’universo. (…) Forse è questa nozione greca a sussistere, con il nome di kharma, in alcuni paesi orientali impregnati di buddismo; ma l’occidente l’ha smarrita e nessuna delle sue lingue ha una parola per esprimerla; le idee di limite, misura, equilibrio, che dovrebbero determinare il comportamento della vita, hanno solo un uso strumentale nella tecnica. Siamo geometri solo dinanzi alla materia, i Greci furono innanzi tutto geometri nell’apprendere la virtù.” (Asterios Editore pag. 56) Eppure anche Simone Weil, oltre il suo pacifismo, vuole esserci dove si combatte. E si arruola nel 1936 nella guerra civile spagnola all’interno della milizia internazionale, ma lo fa per l’afflato internazionalista, per un progetto democratico di libertà e contro l’imperialismo di diversi stati europei che in quel periodo sta viaggiando a gonfie vele. Lo fa perché le guerre terminino. Per certi versi simile nelle motivazioni è stata la nostra Resistenza antifascista, animata da un progetto anche sociale che ha portato poi alla stesura della Carta Costituzionale del 1948, in particolare di quel martoriato articolo 11 di cui si fa scempio in questo periodo oscuro governato dall’incapacità sia individuale che politica ed istituzionale a tutti i livelli di comunicare, rapportarsi, mediare. Non sono in gioco questi principi e queste motivazioni nella immane sofferenza della terra d’Ucraina, dove si sta conducendo una guerra per procura sulle spalle e ai danni della popolazione, chiamata a combattere certo per difendersi da una invasione ma nel quadro di interessi che non sono soltanto i propri né tantomeno interessi collettivi, bensì sono quelli della NATO e dell’imperialismo statunitense che, nel teatro europeo, si stanno contrapponendo ad un altro imperialismo, mentre si fa carta straccia di ogni accordo precedentemente sottoscritto. Le vittime sono come in ogni guerra gli inermi e, mentre le atrocità commesse si moltiplicano, da parte del governo ucraino si continuano a chiedere armi ragionando esclusivamente nell’ottica della forza bellica. Il risultato che è sotto gli occhi è un riarmo complessivo dell’Europa e del mondo, il ridestarsi di tutte le potenze nucleari, la prospettiva della catastrofe. Già come umanità siamo precipitati ad un livello che contraddice e cozza con tutta la nostra presunta civiltà, intelligenza, tecnologia: nel mentre ci armiamo, si continua a morire in quel cimitero liquido che è il mar Mediterraneo e lungo la rotta balcanica; siamo in balia di governi che, privi di visione, sono brutalmente capaci di discriminare tra che ha diritto ad essere accolto e chi deve restare imprigionato tra fili spinati, governi che tacciono colpevolmente per interessi economico-politico-imperiali sui crimini commessi negli altri teatri di guerra del mondo (Palestina, Yemen…). Non si vuole qui appiattire, livellare, né tantomeno sminuire la gravità degli eventi ucraini, bensì riportare in alto, allo sguardo e all’attenzione di ogni cittadino e cittadina, di ogni coscienza, la sofferenza di tutti i popoli che vengono calpestati, feriti, sfruttati dal delirio altrui di onnipotenza. I governi la smettano di battersi i pugni sul petto come gorilla impazziti. Noi cittadine e cittadini di pace ci rivoltiamo al tentativo altrui di armare le nostre coscienze, resistendo e rispondendo alle accuse di vigliaccheria che ci vengono da più parti rivolte; facciamo parlare, con la convinzione che ancora non hanno, le voci della diplomazia, iniziando seriamente a percorrere la strada del disarmo, l’unica via che può “far uscire la guerra dalla storia”.
Dianella Pez