Salvini annuncia che il governo Meloni toglierà il superbollo dalle auto di superlusso. Si ritocca in favore dei ricchi un sistema già iniquo per sua natura
Che meraviglia che la destra faccia la destra. Che faccia politiche che favoriscono, non in realtà il loro elettorato popolare che ormai pesca abbondantemente in chi, inconsapevole masochista, fornisce loro il potere e che gli consente così di dare ai ricchi togliendo ai poveri. Non parliamo solo del reddito di cittadinanza, facciamo un piccolo esempio di altra natura. Di pochi giorni fa la notizia che il governo punti a intervenire sulle cosiddette “microtasse” e, con la delega fiscale, a saltare potrebbe essere il superbollo auto. Parliamo del contributo dovuto dai possessori di auto di potenza superiore a 185 Kw. Una tassa che costa 20 euro per ogni Kw oltre i 185. Il superbollo riguarda dunque auto di lusso, veicoli sportivi e supercar. Nel caso di un’autovettura con potenza pari a 250 kW, l’importo da azzerare sarebbe di circa 1300 euro. A preannunciarne la cancellazione è stato il vicepremier e ministro alle Infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini, secondo cui l’abolizione di questa “tassa odiosa” significherebbe “dare ossigeno al mercato, sostenere nei fatti un settore prezioso come l’automotive che coinvolge, in modo diretto e indiretto, milioni di famiglie” consentendo così, aggiungiamo noi, ai più abbienti di correre felici sul ponte sullo Stretto di Messina. Ma sarà davvero così? Difficile dirlo, perché al di là degli annunci, sport preferito da Matteo Salvini e secondo solo alle sue dichiarazioni provocatorie social (vedi il “ciaone” a Fabio Fazio), a fare da linea guida per questa misura saranno le risorse a disposizione. In sostanza esattamente come il ponte il prode ministro intanto si prende i titoli, pur sapendo che la prima verifica si avrà in autunno con la Nadef e poi con la Legge di Bilancio. Insomma si annuncia come fatta una cosa che in realtà è molto in forse. Ma in realtà il problema è molto più complesso e si trascina da decenni. La questione superbollo che in effetti appare anacronistico in un paese che è il maggior produttore mondiale di supercar, come è anacronistico il sistema di determinazione del balzello imposto alle famiglie italiane di ogni censo e reddito. Togliere il superbollo è in effetti togliere ai ricchi ma è comunque un pezzo di una tassa iniqua e sbagliata, (non avremmo mai pensato di dover dare parziale ragione a Salvini) ma ovviamente non è un caso che si tolga solo quella parte che riguarda comunque una minoranza di italiani, perché è noto, lo diceva già il comico Petrolini agli inizi del secolo scorso: «Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti». In sostanza il bollo auto, passato da tassa di circolazione in tassa di proprietà, non ha neppure la dignità di essere una tassa patrimoniale perché basata su un principio, quello della potenza del motore e non del valore economico del bene. A sinistra si griderà allo scandalo perché si vedrà la questione solo dal punto di vista ideologico, non considerando che in effetti quel tipo di tassazione ha avuto gettiti tutto sommato irrisori, ma come effetto quello di distorcere e deprimere il mercato automobilistico nazionale. Avremmo dovuto imparare dalla vicenda delle tasse d’ormeggio che videro, una decina di anni fa, dopo uno sconsiderato aumento, la fuga precipitosa dai porticcioli italiani non solo di costosi Yacht, ma più in generale di barche da diporto che non erano propriamente un lusso verso approdi esteri meno vampireschi. Fuga di migliaia di barche che con il loro indotto mancato, provocarono danni enormi all’economia costiera. Anche in quel caso l’operazione fallimentare fu dettata da volontà di natura ideologica. In realtà il problema del bollo auto, o meglio della tassa di proprietà è assolutamente iniquo da sempre ed è in odore di non essere in linea con il dettato costituzionale che vorrebbe un fisco indirizzato sulla progressività. Dando per scontato che l’auto è sempre stata vista dai governanti di tutti i colori come una mucca da mungere, metodo di fare cassa con fantasiose accise e gabelle di ogni tipo, il sistema di determinazione della tassa cozza con l’Art 53 della Costituzione nella parte dove si dice chiaramente che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma cerchiamo di capire di più, il bollo auto è nato nel febbraio del 1952 e, come accennato, un tempo era detto tassa di circolazione cioè da pagare solo se il veicolo veniva utilizzato. La scusa iniziale fu quella di finanziare l’asfaltatura della rete viaria e soprattutto la modernizzazione del paese attraverso la costruzione delle autostrade da parte degli utilizzatori. Ma poi anche ad autostrade ammortizzate, le tasse sono rimaste, anzi la fantasia dei burocrati ne ha moltiplicato gli effetti. La norma, con alcune modifiche, rimase quasi invariata nello spirito sino al 1982, quando con il Decreto Legge del 30 dicembre numero 953 venne trasformata in tassa di possesso. In forza di questa norma la tassa è dovuta anche se il veicolo non è circolante. Cambia sostanzialmente la natura visto che con il termine possesso si dovrebbe introdurre anche il concetto di valore. Potrebbe essere legittimo se non fosse che il “valore” non viene determinato sulla base del prezzo di mercato, ma dalla potenza del veicolo, Prima attraverso l’assoluta follia dei “cavalli fiscali” basati sulla cilindrata, e poi successivamente, a parziale correzione sulla base dei kw di potenza dei motore. Ovviamente nel tempo, con la volontà di fare sempre maggiormente cassa la fantasia del legislatore fiscalista si scatenò, come quando venne introdotta la tassa sui fuoristrada, un superbollo basato sulla presenza del “riduttore” applicato al cambio. Follia che più che per far cassa, dato che fra l’altro la presenza “fiscale” del riduttore non era facilmente ricavabile dai controllori del fisco, aveva in realtà lo scopo di colpire quei mezzi che erano tutti di produzione estera. La Fiat infatti in quegli anni produceva solo la Panda 4×4 che, guada caso, non era dotata di riduttore. La questione finì in farsa, non solo furono pochissimi i possessori di quei mezzi che pagarono quel superbollo che rendeva il possesso di una Uaz dallo scarso valore d’acquisto molto più oneroso di una Ferrari Testarossa, ma per il fatto che l’Italia venne trascinata in giudizio dalle case automobilistiche Europee. Risultato fu la precipitosa remissione della norma prima di essere colpiti da sanzioni e richieste di risarcimento danni. La principale obiezione all’introduzione di un sistema basato sul valore del veicolo sarebbe che non è possibile determinarlo. Ovviamente è una balla colossale, basti pensare ai risarcimenti danni nel caso di sinistri o furti dei veicoli, che si basano sul valore del bene nel momento in cui avviene il fatto. Per non parlare dei sistemi di calcolo utilizzati dalle concessionarie nel ritiro dell’usato. Il problema è che non si vuole scoperchiare quel vaso di Pandora. Eppure sarebbe perfino possibile rendere il sistema di calcolo efficiente garantendo perfino la stessa qualità di gettito ma magari superando le diseguaglianze. Questo verrà fatto, ma verso l’alto, non verso il basso perché, diciamolo chiaro, la politica italiana è fatta prevalentemente da Robin Hood alla rovescia che vengono anche per queste cose sempre mono votati. Quindi non rimane che diventare tutti ricchi a tutti i costi.