Trieste. Un’altra città: “Una città non esiste senza le donne”
Dalla necessità condivisa di far parlar di DONNE i programmi elettorali futuri, come il Programma di Un’altra città in vista delle amministrative 2021, dalle istanze di donne rappresentanti di associazioni, di varie esperienze lavorative ed importanti vissuti personali, si è sviluppato il primo incontro tematico della rete di microcosmi: Le donne in un’altra città. In dialogo con le giornaliste Fabiana Martini e Vesna Pahor e Sara Alzetta, che hanno introdotto e coordinato l’incontro : Tatjana Tomicic, Silvia Bon, Gabriella Taddeo, Letonde Hermine Gbedo e Geni Sardo.
Si sono aggravate con il lockdown dovuto alla pandemia le questioni relative al lavoro e al welfare. E’ evidente come sistematicamente venga sottovalutato il peso che, anche in tempo di pandemia ma non solo, viene a gravare sulle donne. Siano esse madri, libere professioniste, caregiver, migranti, sex worker e così via,… È necessario quindi l’alleggerimento del welfare, che grava tutto sulle spalle delle donne quando sono chiamate a prendersi cura di familiari in casa: siano esse o essi bambine o bambini, persone diversamente abili o che invecchiano. Manca inoltre per le donne una rappresentanza a livello istituzionale. Ecco perchè, attraverso Gabriella Taddeo, è stata richiesta la riattivazione degli organismi di tutela di lavoratrici e lavoratori, nonchè l’emanazione da parte del Comune di un nuovo bando per una nuova Consigliera di parità. Una figura a garanzia di trattamenti equi e non discriminatori; di controllo, attraverso un punto di ascolto, contro eventuali atti di mobbing; e che favorisca l’individuazione di bandi e appalti che non siano rispettosi della parità di genere. Proposte avvallate anche dalla presenza di Geni Sardo, intervenuta anche in rappresentanza della Cgil. Per Silva Bon, che da anni si occupa del mantenimento e del recupero del benessere delle donne con l’associazione Luna e le altre, i progetti riguardanti la salute devono tener conto della medicina di genere. Ad esempio attraverso l’attuazione di un centro medico dedicato che operi realmente sul territorio, vicino alle persone, alle donne anche attraverso le microaree site nei vari rioni. Un’azione necessaria soprattutto in questo momento di pandemia: con la diffusione del Covid-19 in molte hanno molto sofferto a causa della perdita di lavoro e dell’isolamento, di ansia e preoccupazione.
Con una presenza femminile straniera in notevole incremento dal 2005 al 2020 inoltre, e con una stima di circa 10.000 donne straniere residenti, urge trovare delle soluzioni agli ostacoli all’integrazione di tali donne, talvolta vulnerabili e ricattabili a causa delle motivazioni che le hanno portate all’allontanamento o alla fuga dai propri paesi. Ostacoli burocratici come l’attesa dei documenti e delle garanzie indispensabili alla permanenza in città: permesso di soggiorno, contratto di lavoro e alloggio. Ostacoli e barriere linguistiche per chi è di nuova immigrazione e non sa a chi rivolgersi, nelle volte in cui non è sufficiente neanche la presenza e l’intervento di mediatori. Hermine Gbedo, rappresentante del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Onlus, promuove l’audacia del fare. Creare un ufficio immigrazione che si occupi prettamente di questo, senza menzionare il fatto che siamo una città di confine. L’amministrazione dovrebbe inoltre supportare e sostenere le associazioni del territorio che si occupano di donne straniere, spesso sostituendola, attraverso programmi stanziali e di interventi strutturali che garantiscano continuità. A tutta la popolazione cittadina andrebbe garantita la presenza di un centro didattico digitale dedicato, una piattaforma di tutorial accessibile ai cittadini: attività che si stanno sviluppando nei Comuni del Friuli. Ma non a Trieste. Tutto ciò unito alla formazione specifica nelle scuole per un utilizzo corretto del digitale, che non può prescindere da una riflessione seria e attenta alle questioni riguardanti un linguaggio trasversale ed inclusivo. Linguaggio trasversale ed inclusivo che non passa solo dall’inserimento dell’asterisco o dello schwa nel parlare o scrivere comune ma attraverso un ridisegnamento della mentalità, anche e soprattutto dai banchi di scuola. I luoghi come le scuole dovrebbero essere veicolo di valori culturali contro la violenza di genere, problema che ha radici nei valori del patriarcato, in Italia però certi temi sono tuttora divisivi e certi argomenti considerati tabù. Come evidenziato da Tatjana Tomicic (Goap), andrebbero incentivati in scuole di ogni ordine e grado, grazie all’autonomia scolastica, interventi strutturali educativi volti alla trasmissione di pratiche di prevenzione e punizione contro la violenza di genere. Interventi che allo stato attuale, sono sempre più di difficile attuazione. Anche se, al contempo, in tempo di pandemia il numero dei femminicidio e degli atti di violenza sulle donne è notevolmente aumentato. Certe questioni e certe tematiche di interesse collettivo non possono essere certo sviluppate nell’arco di paio d’ore quindi l’incontro va inteso come una prima occasione di approfondimento che avrà un seguito dopo l’aggiornamento e arricchimento del programma di Un’altra città derivante dallo sguardo volto al femminile.