Domani ultimo giorno di campagna elettorale, ma anche giorno della “giustizia climatica”. Speriamo che il voto ne tenga conto
Nel giorno alla cui mezzanotte scatterà il “silenzio elettorale”, venerdì 23 settembre, il movimento per la giustizia climatica Fridays For Future darà vita all’ennesimo Sciopero Globale per il Clima. Fanno bene i giovani delle tre “F” ai quali comincia ad apparire qualche capello bianco più per la preoccupazione che per il tempo che passa, anche se ormai questo movimento conta quasi un lustro di vita e purtroppo e fin qui riuscito ben poco ad incidere sulla politica in altre questioni affaccendata per accorgersi della catastrofe incombente. Per fortuna però, anche grazie all’azione del movimento per la giustizia climatica Fridays For Future, in questi anni la presa di coscienza che i cambiamenti climatici sono una realtà e che di questi si muore, è diventata consapevolezza per moltissimi cittadini, alcuni dei quali stanno pagando anche in queste ore un prezzo altissime all’incuria e indifferenza del sistema. Infatti se per i cittadini il meteo è sempre di più una preoccupazione con cui fare i conti ogni mattina, non così sembra per la classe politica, almeno per la maggioranza di questa. Certo nei programmi elettorali di partiti e movimenti l’ambiente e sua fragilità è presente, del resto i decaloghi elettorali sono fatti più per parare le critiche, per poter dire “questo c’è”, che per tradursi effettivamente in azioni programmatiche reali, al massimo si agirà come sempre in emergenza. Basta analizzare la qualità del dibattito politico ordinario, di cui la surreale vicenda Peppa Pig rende bene la cifra, per capire che senza un movimento di pressione forte e determinato difficilmente il tema ambientale scalerà la classifica dei reali interessi d’azione del mondo politico chiunque alla fine siederà a palazzo Chigi. Si potrà ancora far finta che sia tutto normale, si potrà dire che gli eventi avversi sono sempre successi, che sia colpa del destino cinico e baro, ma non si potrà nascondere ancora per molto che i cambiamenti climatici incideranno sempre di più e sempre più frequentemente nelle nostre vite, in attesa del “si salvi chi può”. Eppure l’atavico dissesto idrogeologico del nostro Paese non è un fattore sconosciuto sul quale non si possa intervenire con virtuose pratiche di salvaguardia. Queste però diventano inutili o quasi se non si agisce in maniera diffusa sulla invasività delle attività economiche umane improntate prevalentemente sulle pratiche del profitto come linee guida in barba alle necessità dell’ambiente, per poi ad ogni catastrofe indicare nella sorte avversa lutti e danni. Gli eventi meteorologici, anche i più estremi sono prevedibili, intendendo per prevedibilità la semplice constatazione che avvengano e ormai con allarmante frequenza. Questi eventi climatico estremi, come quanto avvenuto pochi giorni fa nelle Marche, sono e saranno sempre più frequenti e sempre più violenti, anno dopo anno, lo stanno dicendo gli scienziati da lustri, ascoltati sono nelle ore successive agli eventi, per poi tornare ad essere messi nelle stantie librerie del sapere da consultare al prossimo lutto. Verrebbe da pensare che qualcuno ci guadagni ad agire in emergenza e probabilmente è proprio così, dato che i lavori di prevenzione generano affari immensamente meno redditizi che dopo una catastrofe. In una società che ha al centro l’economia intesa come generatrice del profitto meglio curare che prevenire. Così si potrà far finta che siamo dinnanzi ad una nuova normalità e che in questa nuova normalità si possa morire all’improvviso con il proprio bambino in auto per una bomba d’acqua. Del resto dopo un estate intera di vampate di calore, mai viste per frequenza e di siccità estrema era “normale” che gli eventi “autunnali” diventassero estremi. Nei soli primi sei mesi del 2022 vi sono stati in Italia oltre 130 eventi climatici estremi di questo tipo, il numero più alto degli ultimi dieci anni che, per la cronaca, è stato in termini assoluti il decennio col più alto numero di eventi climatici estremi della storia della fragile Italia. Venerdì prossimo, giornata che precederà dopo la “riflessione” l’apertura delle urne sarebbe bello che la crisi climatica e le sue conseguenze sulla vita rientri nel dibattito delle persone e che si valutino con attenzione candidati e partiti con il metro ambientale più che con quello degli interessi, spesso meschini, da difendere. Ma forse noi siamo degli inguaribili romantici, creduloni, ma speriamo che i ragazzi del Fridays For Future, alcuni dei quali già attempati, ma comunque trascinatori di nuovi partecipanti, siano in grado di portare ragionevolezza nell’azione dei partiti e di chi, temiamo in molti casi per qualità, immeritatamente entrerà negli emicicli parlamentari. Il non voto non è una opzione ma la scelta del meno peggio, al momento, è l’unica possibilità.