Vietato criticare Israele. Moni Ovadia cede alle pressioni e lascia la direzione del Teatro comunale di Ferrara: «L’Italia è un regime, perseguitato per le mie idee»
Non c’è nulla da fare, itaglietta del tifo incrociato non si smentisce. Così dopo l’episodio, che ci si ricorderà della censura all’indomani dell’attacco Russo all’Ucraina al professor Paolo Nori e al suo corso sul celebre romanziere russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij, cancellato dall’Università Bicocca di Milano e in generale alla cultura russa, musica compresa, ecco che ora il macète della stupidità e della ignoranza ideologica si scaglia contro chi non si omologa al pensiero unico antipalestinese diventato moda. Intendiamoci non parliamo di non dare spazio agli sciammanati acefali che equiparano tout court Hamas a Israele o di qualche “esperto” chiamato nei talk show per fare alzare il livello dell’audience del pollaio, ma di uomini di cultura di comprovato valore. Parliamo ad esempio di Moni Ovadia al quale, da ebreo, non sono perdonate le critiche allo Stato di Israele: «Tutto questo succede solo perché ho espresso un’opinione, spiega Ovadia. Sono finito in questa persecuzione, in questa aggressione, solo per questo». Al Corriere della Sera Moni Ovadia annuncia le sue dimissioni dalla direzione del Teatro Comunale Abbado di Ferrara. L’attore e scrittore aveva pronunciato frasi critiche verso il governo israeliano dopo l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e i successivi bombardamenti sulla Striscia di Gaza. «Ho detto che la responsabilità di tutto quello che è accaduto ricade sul governo. Non ho detto “Viva Hamas”», scandisce Ovadia, «ho solo aggiunto che hanno lasciato marcire la situazione. Ho scritto cose molto, molto più forti in questo senso in passato». Dopo le sue accuse, era stata fatta circolare la richiesta delle sue dimissioni, in particolare dal senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni. «Non volevo fare un passo indietro, volevo farmi cacciare e poi sporgere denuncia, ma lo faccio per i lavoratori che non devono essere danneggiati», ha aggiunto, «così venerdì rassegnerò le dimissioni. La maggioranza del Cda e del Consiglio comunale ha comunque gli strumenti per mettermi nell’angolo». Chiuso il capitolo sul suo futuro all’Abbado, Ovadia deve però levarsi qualche sassolino. «Da quando ho l’età della ragione sono schierato con la libertà d’espressione, ma alla fine ho preferito non danneggiare i lavoratori e anticipare la decisione dei vertici», spiega ancora,« constato però che l’Italia è un regime, non è una democrazia neanche da lontano», sottolineando di essere stato messo in un angolo per aver espresso solo una opinione: «Quando attacchi le opinioni inizi a prefigurare la tirannia». Secondo Ovadia poi, se non si fosse dimesso ora sarebbe stato attaccato continuamente anche in futuro, con qualsiasi pretesto, «perché questo è il nuovo fascismo, stigmatizzare l’opinione delle persone criminalizzandole». E rivendica poi i risultati raggiunti dal Teatro sotto la sua direzione: «Con la mia gestione il Teatro aveva raggiunto risultati clamorosi, aveva aumentato le produzioni, erano cresciuti i finanziamenti». Ma se da un lato è inaccettabile quanto avviene a chi, come Ovadia, non è appiattito sulla narrazione che identifica il male in maniera unilaterale, dall’altra altrettanto demenziale è al negazione che vien fatta di quanto avvenuto in quel maledetto 7 ottobre, come se il particolare che i bambini trucidati (perchè le decine di morti innocenti ci sono state e non sono una ricostruzione cinematografica) siano stati semplicemente sgozzati, decapitati o solo “sparati” faccia una differenza. Così come non può fare differenza la nazionalità degli innocenti finiti nel tritacarne di tutte le follie che chiamiamo guerre. Verrebbe da dire “fermate il mondo voglio scendere”