Vince il popolo degli indifferenti. Non passano i referendum la destra strumentalmente esulta e la crisi democratica diventa emergenza
Nessuna sorpresa, come prevedibile e previsto, alle urne referendarie il “popolo” ha deciso di non decidere e di lasciare ampie praterie alla progressiva disintegrazione della democrazia. E’ l’ennesimo harakiri, non tanto della sinistra (o progressisti impropriamente detti) che dovrebbe ragionare sui propri errori, ma in generale dell’Italia come Paese perchè sfruttare strumentalmente il non voto, l’astensionismo, indebolisce l’autorevolezza generale delle istituzioni ed alla fine la storia presenterà il conto. Comunque è evidente che anche questa sconfitta viene da lontano, dalla incapacità delle forze progressiste (o presunte tali) di sollecitare negli elettori una visione collettiva della vita, di vedere più lontano. Speriamo che non ci si aggrappi ai giochi matematici, quando si perde si perde, doverosa è invece una analisi precisa. Diciamo allora che sembra proprio che la maggioranza del Paese (i non votanti per volontà o per indolenza) sia ormai rintanata nel proprio guscio di effimere pseudo sicurezze, incapace di vedere oltre il proprio naso, neppure in grado spesso di discernere rispetto ai propri interessi di lavoratore o precario. Così quello che l’ignobile “nonno nero” delle attuali forze di governo definiva il popolo bue si è nuovamente palesato soprattutto nel non voto. Era fattuale accadesse, dato che il popolo bue ha bisogno di una guida, e quella guida sa bene che il modo più semplice per governare non è favorire la conoscenza attraverso l’istruzione o la cultura, ma dividere grazie all’ignoranza e al controllo della comunicazione. Mussolini parlava di “plutocrazie demo-giudaiche”, Hitler di razze inferiori, i leader di oggi, da Trump ad Orban, passando per Meloni e Salvini, di immigrati, élite globaliste, intellettuali traditori, giudici corrotti. Insomma ogni epoca ha il suo nemico, costruito per incanalare il malcontento in una direzione precisa, per trasformare la paura e la rabbia in armi di controllo e dominio. Il risultato, oggi come un secolo fa, è lo stesso: si rinuncia alla dialettica e alla complessità dei problemi per abbracciare una visione semplicistica della realtà, fatta di slogan e di odio ed utilizzando in maniera volutamente perniciosa il falso. Nessuna sorpresa quindi che anche nei quesiti referendari la maggioranza degli italiani abbia deciso di non decidere, preferendo l’indifferenza che diventa carburante formidabile per la limitazione progressiva delle libertà collettive ed individuali. Per questo ci tocca affermare che è finita l’epoca della tolleranza con gli intolleranti e rispolverare tesi di chi, già poco meno di 100 anni fa, aveva già teorizzato la necessità dell’impegno come argine all’autoritarismo di una destra rapace. Torniamo quindi ai fondamentali e citiamo le parole di Antonio Gramsci cercando di farle diventare pratica, nei limiti, ovviamente, del diverso periodo storico:
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini (e donne ndr) che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”
Fabio Folisi