A livello nazionale hanno vinto i “Caino” ma i tanti Abele si sono fatti scannare colpevolmente senza difesa comune

Il dato generale di queste elezioni 2022 è chiaro, ha vinto la “fratellanza” e hanno perso tutti gli altri. Ci sono però delle particolarità che soprattutto in chiave futura territoriale devono essere analizzate, ma con la dovuta prudenza, perché pensare di travasare dati relativi alle politiche in maniera automatica a regionali e comunali, è errore grossolano. In ogni caso il punto di partenza non può essere che quello di analizzare i dati ma, ribadiamo,  con estrema prudenza. Se in Italia la coalizione di centrodestra riscuote il 43,81% e quella di centrosinistra il 23,12%, in Fvg il successo di Meloni e alleati è ancora più netto, sfiorando addirittura la maggioranza assoluta, ma con un travaso di voti all’interno della coalizione che creerà alla stessa non pochi problemi in funzione delle regionali. Infatti anche se nessuno, per ora, mette in discussione la candidatura prossima ventura dell’uscente presidente della giunta regionale Massimiliano Fedriga, la ripartizione del peso elettorale fra Lega e Fratelli d’Italia è dirimente, mentre il ruolo di Forza Italia, che oggi esprime il vice di Fedriga nonché detentore della “cassa” sanitaria, Riccardo Riccardi, non avrebbe più ragione di permanere, anche se ci potrebbero essere opacità, al di là del peso elettorale, che potrebbero consigliare il centrodestra diversamente. Comunque basandoci sui dati delle politiche 2022 il quadro è chiaro: Nelle 1.364 sezioni del Fvg il centrodestra rastrella il 49,87% (sei punti percentuali in più); anche il centrosinistra con il 25,75% ottiene un risultato migliore della media nazionale, anche se questo non basterà a placare le ire interne al PD che riguardano più la dirigenza nella fase delle candidature, che la pura analisi del voto. Nello specifico con il 31,30%, Fratelli d’Italia è di gran lunga il partito più votato, seguito, a distanza, dal Partito Democratico, che si ferma a 18,40%. Ma in Fvg più che in altre aree del Paese, il vincitore è l’astensionismo: un elettore su tre non è infatti  andato a votare. Terzo partito ma in forte calo, è la Lega di Salvini, che si arresta al 10,95% vedendo un crollo senza attenuanti, poco più giù il Terzo polo di Calenda/Renzi con l’8,72% e il M5S al 7,19%, percentuale questa ultima fra le peggiori dei grillini a livello nazionale, con il movimento di Conte che corre a velocità dimezzata rispetto al dato nazionale, che è stabilizzato al 15,42%. Pesa ovviamente il fatto che il cavallo di battaglia “reddito di cittadinanza” in Fvg ha meno appeal. Ultima del gruppo delle “grandi” Forza Italia che si classifica soltanto sesta, con il 6,69%. Buona affermazione, anche se inutile sul piano pratico, quella di Italexit di Paragone che se a livello nazionale raggiunge più o meno la metà dei voti indispensabili per superare lo sbarramento, in Fvg supera, seppure di poco, il 3% in logica però non tanto antieuropea ma trainata da no vax e no green pass. Ora che tutti questi dati si possano trasferire alle prossime amministrative di primavera è quantomeno operazione ardita, come è noto nelle elezioni locali, un peso notevole l’hanno le persone e le forze locali, siano esse di natura civica che come spesso in Friuli, autonomiste. Insomma troppe particolarità che rendono le previsioni, se solo basate sul dato nazionale, poco realistiche. Un ragionamento a parte meritano le forze diciamo a sinistra del PD, l’Alleanza Verdi- Sinistra Italiana che si collocava in coalizione con il Pd è stata premiata dal fatto di essere stat vista da tanti come alternativa al PD ma senza dispersione del voto e ha raggiunto un lusinghiero 3,8%. Diversa la sorte per  l’Unione popolare con De Magistris che in Fvg supera di soli 2 decimali 1% superata perfino dalla cosiddetta forza “antisistema” “Italia sovrana e popolare” con l’1,8%. Nulla di imprevedibile, perchè quando ci si pone da soli su una collina a sventolare settariamente la bandierina della propria convinzione ideologica, ponendo veti e facendo prevalere al dialogo giudizi preconcetti, il risultato è quello di contarsi allo specchio. In sostanza finche la cosiddetta sinistra/sinistra non uscirà dal tunnel del suo peccato originale di essere erede di quella sinistra gruppettara ormai fuori dai recinti della realtà. La concezione è quella delle politica elitaria e tronfia, in cui ci si fa vanto di essere minoritari per poi, in maniera demagogica, oscillare fra mitizzare il movimentismo, di cui però è faticoso fare parte, e ragionare di filosofia ideologica aspettando un Godot che non arriverà mai. Così si resterà puri ma inutili,  il nulla impastato con i decimali di punto. Intendiamoci, massimo rispetto per chi vuole partecipare a circoli politico-filosofici, ma per l’amor di Dio lasciate stare le urne. Il problema non è mitizzare il concetto di voto utile, ma di avere la consapevolezza che nelle elezioni ci sono i voti inutili. A meno che non si goda crogiolandosi nella propria sbornia di fare  la “testimonianza” dei giusti, non si cambia nulla, ma si prende per i fondelli il popolo che vuoi difendere, soprattutto se poi agiti questioni serie  come guerra e geopolitica  travestendosi da contraddittorio pacifista. Le elezioni, alla fine, sono come un processo giudiziario, non importa avere ragione, devi dimostrarlo e poi trovare  un giudice che ti dia ragione. Ecco i votanti sono il giudice e le elezioni le sentenze, tranquilli, quasi mai “capitali”. Anche se oggi c’è l’incognita post-fascista al governo, nell’altro secolo per liberarsene ci volle un ventennio, speriamo ci voglia meno tempo.