Assedio al paesaggio: l’invasione silenziosa dei pannelli fotovoltaici

In questi ultimi anni, sotto il vessillo della transizione ecologica, assistiamo a un fenomeno che rischia di travolgere irreversibilmente uno dei patrimoni più preziosi d’Italia: il paesaggio. Ed in particolare quello del nostro Friuli, “un piccolo compendio dell’Universo” come diceva Ippolito Nievo.
Una corsa cieca, quasi febbrile, all’installazione di impianti fotovoltaici a terra sta modificando, in modo spesso irreversibile, territori fragili e identitari, senza adeguata ponderazione né salvaguardia.
La questione è drammaticamente assurda proprio perché paradossale. Nessuno mette in dubbio la necessità di accelerare la produzione da fonti rinnovabili, pena il fallimento degli obiettivi climatici. Il fotovoltaico limitato alle nostre case non è contestabile ma solo utile. Tuttavia, ciò che stiamo vivendo, specialmente in alcune regioni ed in particolare nel Friuli Venezia Giulia, non può e non deve essere considerato “transizione ecologica”. È piuttosto una transizione burocratica, in cui l’urgenza si sostituisce alla visione, e la quantità oscura la qualità.
Nel Comune di Pradamano (UD), esempio fa i molti oramai, si prevede l’installazione di ben 150 ettari di pannelli fotovoltaici: quasi il 10% dell’intero territorio comunale. Una cifra enorme, che fa tremare chi conosce e ama il paesaggio friulano, modellato nei secoli da mani sapienti secondo equilibri sottilissimi tra uomo, natura, ambiente ed architettura.
Come si può, con onestà intellettuale, ignorare che operazioni di queste dimensioni cambieranno radicalmente l’identità dei luoghi, frammentando habitat, riducendo la biodiversità, cancellando la memoria storica e rurale? Un abuso alla civiltà!
Le energie alternative non possono diventare un alibi per nuove forme di consumo dissennato di suolo, esattamente come è stato per anni con l’edilizia incontrollata.
La crisi della bellezza come crisi culturale. Quello che più inquieta non è solo la quantità degli impianti, ma l’assenza di una riflessione alta, civile, culturale.
La bellezza del paesaggio italiano non è un lusso estetico: è un bene comune, un valore costituzionale (art. 9 della Costituzione) e un motore potente della nostra identità collettiva.
Difendere il paesaggio significa difendere la biodiversità, la memoria, la qualità della vita e perfino la sostenibilità vera, quella che si intreccia con l’armonia e il rispetto dei luoghi.
Eppure, attorno a questa nuova invasione c’è un silenzio assordante. La politica regionale e nazionale si trincera dietro procedure emergenziali che, nella pratica, lasciano carta bianca a chiunque voglia posare migliaia di pannelli su suoli agricoli fertili o in aree di pregio naturalistico, senza una pianificazione oculata, senza strumenti di indirizzo chiari, senza nemmeno il pudore di un dibattito pubblico serio.
Le associazioni culturali, le accademie di architettura, i movimenti ambientalisti sembrano inerti o distratti. Pochissime voci si levano a denunciare questo nuovo assalto. Eppure, un territorio deturpato oggi non sarà recuperabile domani, se non a prezzo di enormi costi ambientali ed economici.
Un’energia che non illumina. C’è poi un altro aspetto fondamentale che spesso viene taciuto: l’illusione dell’autosufficienza energetica.
Molti di questi mega-impianti non sono progettati per servire direttamente i territori che li ospitano, ma sono funzionali a logiche di profitto e di mercato, spesso slegate dalle reali esigenze delle comunità locali.
Ci si chiede: quanta parte dell’energia prodotta tornerà davvero a beneficio dei cittadini di Pradamano o degli altri comuni friulani investiti da questi progetti? Quante delle promesse occupazionali, ambientali, sociali verranno davvero mantenute?
Il rischio è quello di perpetuare un modello estrattivo, mascherato da green economy, in cui il territorio viene nuovamente sacrificato all’altare di interessi lontani, in nome di una “transizione” che rischia di perdere la propria anima.
Serve una nuova consapevolezza. Non siamo contro le rinnovabili, né contro il cambiamento necessario della nostra matrice energetica. Siamo, invece, contro la banalizzazione del paesaggio, contro la cancellazione delle identità locali, contro l’idea che sviluppo e sostenibilità possano camminare su strade separate.
Serve un quadro normativo chiaro, che tenga conto della qualità del paesaggio, della biodiversità, del consumo di suolo, della bellezza dei luoghi.
Serve il coraggio di dire che non tutto ciò che si dichiara “verde” è buono. Serve una nuova cultura della responsabilità ambientale, che unisca energia, architettura e paesaggio in un disegno lungimirante di politica e di civiltà.
In fondo, non si tratta di scegliere tra energia pulita e tutela del territorio. Si tratta di capire che la vera energia, quella che alimenta la nostra storia e il nostro futuro, è proprio nel rispetto della terra che abitiamo. Non possiamo più far finta di non vedere. Non possiamo più tacere.

Roberto Maida
Architetto ed esperto ambientale.