Baby gang – violenze e proteste: non solo repressione, città Fvg in prima linea

Il fenomeno della baby gang e delle violenze fra i giovani e i giovanissimi sono arrivati, e con prepotenza, anche nel nostro tranquillo Friuli Venezia Giulia. Da tempo assistiamo impotenti a episodi di sopraffazione, violenze, bullismo, ferimenti e risse anche nella nostre città, da Trieste a Udine, Pordenone e centri minori. Un fenomeno analizzato da più parti e da esperti che non può lasciare indifferenti la nostra società e, soprattutto, amministratori locali ad ogni livello, classe politica e forze sociali. Secondo un recente studio del Ministero dell’Interno “Le gang giovanili in Italia”, in Friuli Venezia Giulia il fenomeno è stabile sia per numero di baby gang rilevate che di azioni e numero di articoli di cronaca in un anno sulla stampa. I giovani di oggi arrivano dopo due anni di pandemia che li ha portati a chiudersi in casa e negare loro le anche minime relazioni sociali in persona. I contatti sono stati tenuti via social dove dietro all’anonimato si sono innescati fenomeni di emarginazione, violenze verbali e altro che hanno portato a un primo passo verso una sopraffazione formato gruppi social. Il negare di vedersi e parlarsi ha portato a una emarginazione che ha sviluppato, dicono gli esperti, una forma di vita di clan virtuale. Internet, insomma, avrebbe favorito un creare coscienze di appartenenza che hanno portato a episodi di emarginazione e bullismo anche con risposte estreme con casi di suicidio e crisi psicologica di identità. Un altro aspetto che deve fare riflettere il sempre più evidenziato distacco fra genitore e figli: scarso dialogo, attenzione, condivisione di valori e regole, dimenticanza di doveri e diritti. Spesso i giovani genitori, poi, si ergono a difensori ad oltranza dei figli, dalla scuola alle amicizie, al mondo del lavoro ai rapporti sociali, che creano un sorta di “bolla” attorno ai figli che si sentono protetti, giustificati, coccolati oltre all’inverosimile: comportamenti che incidono con il rapporto con gli altri, con il mondo della scuola, del lavoro e della società in genere. Sono cambiati i modi di vivere insieme fra coetanei dove il primeggiare è la regola numero uno con la consapevolezza che si è comunque assoggettati ad una sorta di impunità e difesa del comportamento. Il dopo Covid ha poi portato al recupero della socializzazione fra giovani che per certi versi devono recuperare un paio di anni di isolamento sociale e di codici di comportamento dimenticati. L’adolescente ha particolarmente bisogno di essere guidato e orientato, ma oggi assistiamo una oggettiva difficoltà a condividere o proporre regole che di fatto indichino anche una forma di orientamento valoriale per i giovani, dicono gli esperti di psicologia giovanile. La violenza fisica e quella psicologica hanno la medesima matrice. Entrambe hanno come finalità la sopraffazione e l’annullamento dell’altro. La violenza fisica riguarda di più la vita reale, quella psicologica è più visibile nel mondo virtuale ma è pesantemente presente anche nella quotidianità reale. Entrambe nascono dalla difficoltà di stare in relazione con qualcun altro. E proprio sulla difficoltà di stare con gli altri che si innesca il cammino della risposta al problema da parte della politica e degli amministratori locali. Non è una banalizzazione, ma uno dei primi passi da compiere è il chiedersi se le nostre città sono un luogo per favorire aggregazioni sociali giovanili. Esistono spazi, modalità, punti di ritrovo e socialità? Il fenomeno della violenza non si combatte con la repressione e lo stato di polizia, si deve affrontare anche con la offerta di dimensioni dove i giovani possano ri-trovarsi e vivere. Le periferie rischiano di creare sacche di emarginazione per mancanza di offerta di spazi per giocare, biblioteche, ludoteche, videoteche, campi da gioco, cinema e altro. Mancano spesso anche servizi essenziali quali reti di trasporto pubblico e piste ciclabili o altro per favorire la mobilità. La disparità di condizioni economiche, poi, limitano un condividere l’altro a più livello e la violenza può essere un modo, un grido di allarme, per affermare questa diversità. Cosa si fa per i giovani nelle nostre città, allora? Il Friuli Venezia Giulia è una terra accogliente e da sempre abituata a convivere con più realtà sociali ed etnie. Ma se, per esempio, si impedisce di poter avere un campo da gioco per uno sport praticato in prevalenza da una etnia presente in una città, ecco che si possono innescare forme di emarginazione che portano a comportamenti violenti. La nostra regione è una regione destinata a contare sempre più persone anziane e a soffrire di scarsa natalità e guarda più alla terza età e ai suoi problemi che non ai giovani. Ma ciò che sta accadendo da qualche tempo ad oggi anche nelle nostre città, nella nostra regione, impone a noi tutti che facciamo politica una attenta riflessione che non è, come ha detto di recente il presidente Massimiliano Fedriga relegabile a un fenomeno legato a chi è di altre etnie o credi religiosi, ma è di tutti i nostri ragazzi, dei ragazzi che vivono questa terra. Fra le ipotesi di intervento, sempre secondo lo studio del Ministero, vengono proposte diverse forme di intervento preventive: piani di supporto alla genitorialità e alle necessità delle famiglie; realizzazione di attività e luoghi di aggregazione giovanile (centri sportivi, centri culturali, luoghi di aggregazione controllati) in cui indirizzare i giovani nelle ore extrascolastiche; percorsi formativi e lavorativi individualizzati finalizzati alla riduzione dell’abbandono scolastico e ad una partecipazione attiva e proficua; attività di mediazione familiare e/o penale; realizzazione di laboratori o attività in centri di aggregazione che coadiuvino le famiglie e le scuole nell’opera di trasmissione di norme e valori sociali condivisi. Ecco, quindi, che i sindaci e gli amministratori regionali devono prevedere interventi in questi campi e per dare una risposta a questo problema che interessa tutti i nostri giovani adolescenti, ridisegnando le città, progettando un modo di vivere diverso nelle stesse e fornire servizi adeguati a chi chiede di essere ascoltato. Non esistono, infatti, solo fenomeni violenti di baby gang, ma anche chi si batte per città e ambienti green, magari con spargimento di innocue pitture lavabili. I giovani ci parlano, insomma, con linguaggi diversi ma con una sola finalità: l’affermazione di esserci e di poter vivere in una società che li accolga, li ascolti, li capisca. C’è tanto da fare in Friuli Venezia Giulia. A partire, magari, dalle prossime sfide elettorali nelle città che andranno al voto: quali di queste prospetterà un modello di nuova città più attenta e a misura anche di giovani?

Mauro Capozzella ex consigliere regionale e coordinatore provinciale M5S