“Biotecnologie blu”: anche l’Italia nell’hub che coinvolge 10 partner da 8 paesi
Una nuova vita per gli scarti della mitilicoltura e un futuro “green” per le alghe prodotte da impianti di acquacoltura multitrofica integrata come esempi di comunicazione nella comunità internazionale delle biotecnologie blu: questa l’ambiziosa sfida del progetto strategico “B-Blue”, finanziato dal programma internazionale Interreg MED. L’idea alla base del progetto “B-Blue” è quindi creare una comunità che comprenda i diversi attori delle biotecnologie blu a livello nazionale ed internazionale, creando dei Blue Biotechnology Hubs utili alla promozione ed alla crescita di questo promettente settore. In Italia, azioni pilota sviluppate tra le Marche e la Puglia saranno indirizzate a testare il riutilizzo di scarti della mitilicoltura (tra cui i gusci) per trasformarli in additivi naturali utili all’industria mangimistica, ed al processamento di macroalghe (provenienti da impianti di acquacoltura) per testarne l’uso come biofertilizzanti innovativi in agricoltura. Un connubio blue-green che rappresenta un ulteriore passo verso un futuro sempre più circolare e sostenibile, in linea con le traiettorie del Green Deal Europeo.
Italia in prima fila nel progetto europeo che riunisce 10 partner di otto Paesi del Mediterraneo per dare vita alla prima “Blue Biotechnology Community”, un grande hub delle biotecnologie blu per la crescita sostenibile nel Mare Nostrum. Coordinata dall’ENEA, l’iniziativa denominata B-Blue è finanziata con 1,5 milioni di euro ed ha come obiettivo principale la creazione di un meccanismo di governance che consenta di superare la frammentazione del settore delle biotecnologie applicate alle risorse marine nell’area mediterranea e favorire l’accesso all’innovazione sostenibile.
Nell’arco dei 22 mesi B-Blue prevede l’attivazione di laboratori multistakeholder e di una piattaforma digitale per coinvolgere progressivamente oltre 300 organizzazioni, tra università, centri di ricerca, istituzioni nazionali e locali e imprese di settore. I laboratori verranno attivati in cinque zone costiere: il golfo di Manfredonia in Italia, il Mar Menor nella Murcia in Spagna, l’area di Tolone in Francia, il golfo di Salonicco in Grecia e quello di Portorose in Slovenia.
Ognuno dei cinque laboratori-pilota sarà impegnato nello sviluppo di soluzioni innovative per ottenere sostanze utili o ad alto valore aggiunto da spugne, alghe e dai gusci dei molluschi triturati, ad esempio, per aumentare la resistenza delle uova (e quindi anche la produttività nell’industria avicola). Un altro filone promettente riguarda l’utilizzo di microalghe per la bonifica di siti marini contaminati e per produrre energia.
A Manfredonia verranno studiati i gusci di molluschi, le spugne e le macroalghe in un’ottica di economia circolare, in Spagna le biotecnologie per la decontaminazione, in Grecia i ricercatori approfondiranno gli aspetti legati alla protezione della proprietà intellettuale nei settori della bioeconomia blu, in Francia i nuovi approcci all’acquacoltura e in Slovenia l’uso delle microalghe e dei microrganismi marini per la produzione di composti bioattivi.
“La Commissione europea stima che la blue economy in Europa occupi quasi 4,5 milioni di persone, generando circa 650 miliardi di euro di fatturato e 176 miliardi di euro in valore aggiunto lordo”, evidenzia Cristian Chiavetta, ricercatore ENEA del Laboratorio di Valorizzazione delle Risorse nei Sistemi Produttivi e Territoriali. “In Italia con 530mila occupati e oltre 23,7 miliardi di euro di valore aggiunto lordo, la blue economy ha contribuito al 2,3% dei posti di lavoro e all’1,5% del valore aggiunto lordo nazionale. Da qui l’importanza di definire una governance al fine di promuovere strategie condivise e attività sinergiche per la transizione verso una crescita blu sostenibile”.
“Le biotecnologie sono uno strumento formidabile per la chiusura dei cicli produttivi e la valorizzazione degli scarti in prodotti ad alto valore aggiunto in numerosi contesti”, aggiunge Chiavetta. “Oggi la nostra area d’interesse è il Mediterraneo, ma auspichiamo che B-Blue divenga un modello replicabile anche in altre zone costiere. In questo senso già alcune realtà del bacino del Mar Nero o che si affacciano sull’Oceano Indiano hanno manifestato interesse per uno sfruttamento più sostenibile delle risorse marine, che ne preservi il capitale naturale e ne protegga la biodiversità”, conclude il ricercatore.
Oltre ad ENEA, al programma partecipano CNR e Regione Puglia, Hamag-Bicro (Croazia), Hellenic Centre for Marine Research (Grecia), National Innovation Agency (Portogallo), National Institute of Biology (Slovenia), Pole Mer Méditerranée (Francia), Science & Technology Park (Montenegro) e Università di Murcia (Spagna).
(fonte aise e cnr)