Caporalato in aziende in subappalto Fincantieri sembra essere la norma e non l’eccezione criminale

La notizia che tre persone sono state arrestate dai Carabinieri di Monfalcone per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e somministrazione fraudolenta di manodopera, in esecuzione alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip del Tribunale di Gorizia  non meraviglia perchè caporalato, violenze fisiche ed estorsioni alla Fincantieri in aziende in subappalto non sono certo una novità. L’ultimo episodio riguarda la Pad Carpenterie srl  azienda storica nel settore navalmeccanico. Secondo l’ipotesi accusatorie i tre responsabili  dell’azienda, forti  evidentemente della  posizione di comando,  aggredivano fisicamente e psicologicamente altri lavoratori  e si facevano restituire parte dello stipendio. Una storia di caporalato “classico”  che ha coinvolto la società in appalto diretto alla Fincantieri. I Carabinieri della Compagnia di Monfalcone in collaborazione con i colleghi del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Gorizia, alle prime luci dell’alba di ieri hanno dato esecuzione alle 3 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Gorizia, Dr. Carlo Isidoro Colombo, nei confronti dei soggetti, ritenuti responsabili dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e somministrazione fraudolenta di manodopera, commessi a Monfalcone (GO) e nel comune di Falconara Marittima (AN) a partire dal 2018. L’impressione è che l’inchiesta potrebbe allargarsi dato che  l’azienda in questione impiega complessivamente oltre 160 lavoratori, all’interno dei cantieri di Monfalcone, Genova ed Ancona della società “Fincantieri S.p.A.”, che è risultata estranea ai fatti ed ha fornito massima collaborazione alle indagini anche se dal punto di vista morale non può tirarsi fuori.

L’attività di indagine compiuta dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Monfalcone unitamente ai militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Gorizia  diretta dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Gorizia dr.ssa Ilaria Iozzi è stata complessa  ha consentito di svelare le condotte criminose degli arrestati che, nella loro qualità di “capocantiere”, con la minaccia si facevano restituire una parte dello stipendio percepito in busta paga dai lavoratori, quasi tutti extracomunitari di nazionalità bengalese. Attività non facili perchè in genere i comportamenti criminosi generano paura e omertà fra le vittime.  In particolare, si è potuto accertare che altri due indagati, di origine bengalese, erano incaricati delle riscossioni del denaro presso i lavoratori connazionali, che poi conferivano agli arrestati. Nel caso in cui un lavoratore si fosse rifiutato di restituire mensilmente parte del denaro in contante percepito in busta paga (che formalmente risultava corretta), entravano in gioco gli arrestati, che minacciavano i lavoratori mediante violenza fisica e verbale o anche prospettando loro la riduzione dell’orario di lavoro, il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto di lavoro con possibile espulsione dal territorio nazionale.  Le somme sottratte alle vittime erano di circa il 15%  dell’importo complessivo percepito in busta paga mentre  per l’assunzione di un lavoratore, veniva corrisposta ai due “capocantiere” una somma unatantum variabile tra i 700 ed i 1.000 euro. Ma l’attività di vessazione non finiva qui, in alcuni casi, secondo riscontri investigativi,  veniva addirittura richiesto il pagamento di 50euro al mese per l’utilizzo degli armadietti necessari agli operai per cambiarsi d’abito all’inizio e al termine del turno di lavoro mentre ai lavoratori  è stata estorta anche gran parte della somma percepita con la cassa integrazione nel periodo di lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020.

Contestualmente agli arresti è stato eseguito anche un  decreto di sequestro preventivo del denaro giacente sui conti correnti intestati o risultanti nella disponibilità degli indagati, per un importo complessivo di 31.500,00 €, considerato quale risultanza delle somme illecitamente sottratte alle parti offese. Al momento sono 16 le vittime individuate nell’ambito dell’attività di indagine, ma non si esclude che possano aumentare in seguito alla successiva testimonianza di altri operai che forse ora si faranno coraggio denunciando i caporali.

Ulteriori illeciti sono stati rilevati a carico dei responsabili della ditta che, servendosi di società di lavoro interinali, non hanno rispettato i limiti imposti dall’art. 31 Legge 96/2018 (cd. Decreto Dignità) e dell’art. 23 della medesima Legge, che impone l’impiego massimo del 30% dei lavoratori assunti tramite agenzie per il lavoro interinale. Sono state, quindi, accertate anche responsabilità di società di somministrazione di lavoro interinale i cui titolari risultano indagati nell’ambito del medesimo procedimento poiché, aggirando la normativa che disciplina la specifica formula di impiego, si prestavano ad assumere un certo numero di lavoratori che venivano anticipatamente individuati dai soggetti arrestati, e che poi venivano inviati al lavoro presso l’impresa operante in appalto, evitando, di fatto, a quest’ultima di farsi carico di tutti gli oneri derivanti dall’assunzione di dipendenti propri.

Fra le varie prese di posizione sulla vicenda da segnalare una nota sindacale USB secondo cui il caporalato in Fincantieri non è un episodio sporadico ma l’ennesima conferma delle denunce sull’uso del caporalato nel sistema degli appalti in Fincantieri.  L’operazione della Procura è l’ennesima  riprova che il sistema subappalti, dicono in sostanza i sindacalisti, va assolutamente modificato, riportandolo non solo ad un livello di trasparenza e di controllo, quanto profondamente rivisto nel suo insieme internalizzando lavorazioni che oggi sono date in appalto alla filiera industriale della cantieristica pubblica. “Solo una ricomposizione delle lavorazioni nell’ambito della unificazione contrattualistica e dei diritti della manodopera, spiegano da USB,  può risolvere definitivamente il malcostume di un comparto deregolamentato che da decenni produce grandi e piccole ingiustizie e discriminazioni quotidiane, reggendosi sullo sfruttamento e la compressione delle retribuzioni e dei diritti della grande parte dei lavoratori che ne determinano la sua capacità produttiva”. “Appellarsi alla necessità di un rafforzamento dei controlli o indignarsi per questo ennesimo sopruso, conclude la nota, non può bastare, occorre una rinnovata vertenza sociale e sindacale che unifichi sotto una stessa gestione contrattuale e normativa lavoratori diretti e indiretti, autoctoni e stranieri”.