Chi non è con me o contro di me, peste lo colga. Il mito del bipolarismo fa male alla democrazia
E’ opinione comune che senza elezioni non c’è democrazia. Ma i sistemi elettorali possono essere molto diversi ed i risultati ormai quasi sempre dipendono dalla legge che regola il meccanismo. Dire che il risultato di una elezione rispecchia la volontà popolare è spesso un puro eufemismo. Quando le forze politiche propongono e discutono le regole giocoforza tendono a favorire i propri interessi anche se, fortunatamente, talvolta fanno i conti senza l’oste.
Da circa trenta anni in Italia spopola una logica bipolare alla cui base sta la convinzione che bisogna scegliere direttamente con il voto chi ha diritto a governare. Le modalità tecniche per raggiungere questo risultato sono cambiate spesso e nel caso del rapporto Parlamento-Governo non hanno quasi mai funzionato. Anche perché la politica non può essere assimilata ad una corsa ciclistica dove alla fine vince il velocista di turno che batte il gruppo, come Bersani nel 2013.
La maggioranza di governo attuale ha promesso che cambierà la legge in vigore. La Lega Salvini per precauzione ha attivato un referendum per un modello totalmente maggioritario di soli collegi uninominali. Per motivi di spending review sono stai abrogati pro futuro 350 parlamentari. Cosa succederà è quindi per ora misterioso.
Anche i metodi elettorali delle Regioni sembrano scricchiolare di fronte al tormentone del rapporto tra PD e M5S.
Forse è il momento di tentare di limitare i danni che sconsiderate valutazioni e interessi di breve periodo possono portare alla nostra instabile “democrazia”. Per capire dove sono i pericoli ed evitare che i “motori” delle macchine istituzionali facciano danni o girino a vuoto.
Dagli anni 90 in poi il principio maggioritario è stato applicato con modalità diverse ad ogni livello istituzionale, dai Comuni al Parlamento, con il risultato di personalizzare sempre più il confronto politico a scapito dei contenuti e della complessità dei problemi.
Il tentativo di ridurre a due le istanze che si confrontano nel momento elettorale e dare al vincitore la certezza di governare, in coerenza con quanto dichiarato al momento della competizione elettorale, si è infranto nella necessità di coalizioni costrette a messaggi semplificati (e spesso lontani da ogni possibile realtà) tali poi da diventare causa di conflitto interno ai vincitori.
Inoltre gli effetti generati dai diversi modelli applicativi hanno tutti emarginato le assemblee elettive, private del ruolo di confronto ed eventualmente utilizzate come puro spazio propagandistico (sia in positivo che in negativo) dell’azione esecutiva.
I nuovi culti della personalità accentuati dalla ricerca di preminenza nel confronto bipolare hanno fatto spesso da collante tra posizioni nella sostanza divaricanti costrette a stare assieme assieme per avere probabilità di vincere. Hanno funzionato così il centro destra di Berlusconi e il centro sinistra del suo “alter ego” Prodi, e sta funzionando oggi con Salvini dove sovranismo e neo liberismo convivono perché così si vince.
Forse l’unico livello istituzionale di un qualche successo è quello comunale, grazie anche al ballottaggio sopra una certa dimensione demografica. Qui si può però segnalare una curiosa trasformazione. Comune e Sindaco sono diventati sinonimi, e la stessa istituzione si identifica ormai con il primo cittadino. Credo che nessuno si scandalizzerebbe oggi se venissero abrogati i consigli comunali salvo, per eleganza, quelli dei comuni maggiori.
Nell’insieme si tratta di prendere atto del fallimento delle modalità bipolari del funzionamento della nostra democrazia perlomeno ai livelli regionali e statale. E quindi della dannosità dell’eliminazione del confronto di intelligenze nelle assemblee elettive. Forse solo partendo da questa valutazione ed aggredendola con strumenti elettorali nuovi si potrà invertire la attuale trasformazione dei partiti in macchine elettorali truffaldine a disposizione del leader di turno.
Le mobilitazioni di masse di cittadini, siano essi giovani seguaci di Greta o “sardine” che non sopportano Salvini, probabilmente esprimono una domanda di presenza e di emersione di una propria soggettività, che non può essere affidata alla macina indistinta dei mezzi di informazione e dei social ma deve poter trovare spazi liberi e intelligenti di costruzione di opinioni e conoscenza.
Giorgio Cavallo