Come prevedibile dall’Egitto è totale la chiusura sul caso dell’omicidio di Giulio Regeni
Il giudice dell’udienza preliminare (in acronimo GUP) di Roma Roberto Ranazzi, alla luce delle comunicazioni giunte sia dal ministero della giustizia che dai carabinieri del Ros, che hanno evidenziato la mancata collaborazione delle autorità egiziane, ha disposto la sospensione del procedimento a carico di quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso Giulio Regeni affidando ai Ros nuove ricerche. La nuova udienza è stata fissata per il 10 ottobre. Il giudice nel gennaio scorso aveva chiesto al governo di verificare la possibilità di una “interlocuzione” con le autorità del Cairo ma nella nota consegnata al giudice il ministero della Giustizia sottolinea il “rifiuto dell’Egitto di collaborare nell’attività di notifica degli atti” così come il no ad un incontro tra il ministro Marta Cartabia e il suo omologo egiziano. Ovviamente chi pensava che improvvisamente il governo egiziano cambiasse idea diventando improvvisamente collaborativo è u ingenuo, con certi regimi ragionevolezza e ricerca della giustizia sono concetti che senza adeguate misure di pressione reali non funzionano tanto che lo scorso 15 marzo il direttore della cooperazione giudiziaria italiana si era recato in Egitto per un incontro e in quell’occasione gli è stato comunicato che la competenza è della Procura Generale che considera chiuso il caso Regeni e che non è possibile andare avanti con ulteriori indagini sui quattro indagati in Italia. Dal canto loro i carabinieri del Ros ai quali erano state affidate nuove ricerche sul domicilio degli indagati, hanno fatto sapere al giudice di essere riusciti ad acquisire solo l’indirizzo del luogo di lavoro dei quattro 007 egiziani e non il domicilio, necessario per il codice di procedura internazionale. Insomma la giustizia si ferma davanti alla burocrazia. Il giudice nel rinviare al 10 ottobre ha definito “del tutto pretestuose le argomentazioni della Procura Generale del Cairo”, aggiungendo che il “rifiuto di collaborazione delle autorità egiziane è un dato di fatto” ma non si capisce cosa potrà cambiare in autunno rispetto alla primavera.
A piazzale Clodio erano presenti i genitori di Giulio Regeni, la madre Paola Deffendi e Claudio Regeni, accompagnati dall’avvocato Alessandra Ballerini, che prima di entrare nella cittadella giudiziaria hanno mostrato lo striscione giallo con su scritto ‘Verità per Giulio Regeni’. “Noi siamo qui per dire che non smetteremo mai di reclamare verità e giustizia – ha detto -. Chiederemo che ci sia un’interruzione dei rapporti con l’Egitto qualora dovesse perseguire una politica di omissione e di cancellazione delle prove”. Comprensibile ovviamente la richiesta ma, diciamolo, è puramente velleitaria, troppi gli interessi economici che legano l’Egitto al nostro paese perchè al di là di qualche dichiarazione di sdegno si vada ad intaccare interessi dei molti “soliti noti” che hanno certamente visto la vicenda Regeni come un fastidioso ostacolo ai loro affari, ostacolo da dribblare lasciando, in nome dei profitti, la richiesta di giustizia alle spalle. Quindi senza un cambio di regime in Egitto e dinnanzi alla inconcludenza delle “pressioni” italiane l’unica cosa che si può fare è non far andare nell’obbli, nel dimenticatoio l’orrenda fine di Giulio Regeni che ricordiamo era uno studente, un semplice dottorando dell’università britannica di Cambridge che stava svolgendo ricerche sui sindacati egiziani. Venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Da allora si sono susseguite bugie, false piste e ricostruzioni che, da parte egiziana, hanno sempre cercato di screditarlo depistando in maniera approssimativa e poco credibile. L’autopsia sulle povere spoglie di Giulio evidenziarono segni di orribili torture, e una successiva indagine rilevò che i funzionari della sicurezza egiziana e la polizia lo avevano tenuto sotto sorveglianza per settimane prima della sua morte, credendolo erroneamente una spia. La Procura di Roma è convinta che sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi. a queste indagini sono emerse responsabilità precise per quattro agenti egiziani coinvolti: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Tutti accusati di sequestro di persona, mentre Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell’omicidio. Ma il processo non può andare avanti in nome, paradosso, dei diritti umani e in particolare dell’uso distorto della normativa per la loro tutela rispetto agli imputati che se non ricevono l’avviso di comparizione non possono essere processati.