Debora Serracchiani “cade dal pero” e afferma che esiste il rischio di radicamento mafioso anche in Fvg
“I tentacoli delle organizzazioni criminali si stendono in Friuli Venezia Giulia ed esiste il rischio reale che dalle infiltrazioni si passi al radicamento, in particolare è stata lanciata da tempo un’allerta sul rischio riciclaggio, estorsioni ed usura. Le operazioni delle forze dell’ordine sono fondamentali nella fase della repressione ma occorre un più alto e diffuso livello di attenzione e prevenzione istituzionale e sociale. La stessa localizzazione geopolitica della nostra regione, tra Veneto e Balcani, ci espone al transito e all’influenza di relazioni grige o d’impronta decisamente criminale. E certo non sono i posti di blocco ai confini a fermare flussi di denaro o peggio”. Lo afferma la deputata e responsabile nazionale Giustizia del Pd Debora Serracchiani, in merito alla chiusura delle indagini della Procura della Repubblica di Firenze, riguardo ipotesi di reati economico-finanziari con connessioni con il clan dei Casalesi, che ha toccato anche Pordenone. Bene, siamo contenti che Debora Serracchiani abbia finalmente preso coscienza che il Friuli è da tempo al centro di interessi criminali. Nulla di nuovo sotto il sole del Fvg, peccato che quando i segnali erano già presenti, da Presidente della Giunta regionale, diciamo che era disattenta, svogliata o forse incredula, quando alcune segnalazioni le venivano fatte. Allora era più conveniente fare la politica dello struzzo e nemmeno pretendiamo che lei si ricordi di quelle vicende relative a Terza Corsia e Autovie Venete. Quello che era insopportabile era l’atteggiamento di sufficienza nei confronti di chi le aveva segnalato direttamente alcuni fatti inquietanti e che nello stesso periodo riceveva esplicite minacce. Forse non vi era effettiva consapevolezza e l’imperativo categorico era evitare che emergessero nubi nere reputazionali sulla Regione da lei governata, anche se i fatti erano riferibili a suoi predecessori. Insomma tutti fattori comprensibili generati da un modo di intendere la politica nella quale è sempre più difficile identificarsi. Ma tutto sommato sono peccati veniali, anche se denotano scarso coraggio e visione politica limitata alle personali sponsorizzazioni, sulle quali, dobbiamo dire, ormai la politica del post prima repubblica è maestra. Ma stendendo un velo pietoso sul passato, veniamo alla cronaca odierna cui fa riferimento Serracchiani. L’inchiesta, oseremmo dire ovviamente, non è nata nelle procure del Fvg, non eccessivamente attive, soprattutto in passato, quando le possibili indagini riguardavano non ladri di polli e affini, ma la Procura della Repubblica di Firenze, nell’ambito di un’indagine che si è saputo essere nata dalla Guardia di finanza di Firenze e Vicenza che ha notificato un avviso di conclusione di indagini nei confronti di 18 indagati, originari o residenti tra le province di Grosseto, Caserta, Roma, Pordenone, Messina, Massa Carrara, Brescia, Vicenza, Trento e … Pordenone. Si tratta, si legge nella nota nella procura gigliata, di un presunto «sodalizio dedito alla commissione di una pluralità di reati economico-finanziari con l’aggravante dell’aver favorito e rafforzato il clan camorristico dei Casalesi». Secondo quanto riporta sempre la nota della Procura, le indagini, coordinate dalla Dda fiorentina e svolte dai finanzieri del Nucleo Polizia economica finanziaria e Gico di Firenze e del Nucleo Polizia economica finanziaria di Vicenza tra il 2019 e il 2024, hanno riguardato «un gruppo imprenditoriale contiguo al clan dei Casalesi, operante prevalentemente in Toscana» ma attivo su tutto il territorio nazionale, «dedito alla commissione» di più delitti quali «impiego di denaro di provenienza illecita, emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori e la bancarotta fraudolenta». In particolare le indagini si sono incentrate «su un imprenditore operante nel settore edile, originario di Casaluce e trapiantato a Grosseto, già condannato» per «estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver agevolato il gruppo criminale di Vincenzo Zagaria». Gli inquirenti avrebbero documentato che attraverso società intestate a prestanome, «avrebbe reimpiegato» almeno 300mila euro «riferibili a un soggetto contiguo al clan dei Casalesi, imputato per auto-riciclaggio e frode fiscale e già coinvolto in indagini in materia di criminalità organizzata di matrice camorristica».
Durante le indagini raccolti anche «elementi riguardanti un’ipotesi di bancarotta contestata allo stesso ed altri imprenditori, sempre vicini al clan dei Casalesi, che avrebbero depauperato una srl con sede a Verona, cagionandone il fallimento. In particolare avrebbero distratto fraudolentemente in favore di altre imprese agli stessi riconducibili denaro, materiali, attrezzature e contratti d’appalto, quantificabili in quasi 5.000.000 di euro». Destinatari dell’avviso di conclusione di indagini sono risultate anche due società con sede in Grosseto per responsabilità amministrativa, «consistente nell’agevolazione dell’attività della citata associazione di tipo camorristico».
Questa notizia odierna arriva dopo pochi giorni dall’altra che riguarda un traffico illecito di rifiuti ad Aviano. Una maxi operazione partita dalla Procura di Roma condotta dal Nucleo investigativo di polizia ambientale agroalimentare e forestale di Frosinone che ha visto nove persone residenti tra il Lazio, la Campania e il Friuli Venezia Giulia agli arresti. Sotto sequestro l’Ital Green, impianto di smaltimento rifiuti ad Aviano dove ben 2.550 tonnellate di rifiuti anche speciali e pericolosi erano stipati in un capannone . L’inchiesta era partita dopo un vasto incendio il 23 giugno 2019 all’interno di un impianto di rifiuti nella zona industriale di Frosinone. Da quell’episodio sono scaturiti diversi accertamenti da parte degli inquirenti che hanno scoperto che l’impianto distrutto dalle fiamme era stato sostituito dalla struttura di Aviano. Il sistema era semplice quanto truffaldino. Veniva cambiato il codice identificativo dei rifiuti che dovevano essere trattati nel Lazio. I rifiuti venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire però i previsti trattamenti che ne modificassero realmente le caratteristiche, aggirando così la normativa che impedisce lo smaltimento dei rifiuti urbani fuori dalla regione di provenienza. Destinazione dello stoccaggio il capannone di Aviano che era stato prontamente acquisito allo scopo. Anche se al momento non sono emersi collegamenti con ambienti mafiosi o camorristici è evidente che sempre di criminalità organizzata si tratta . Insomma ha proprio ragione Serracchiani, la localizzazione geopolitica della nostra regione ci espone “al transito e all’influenza di relazioni grige o d’impronta decisamente criminale”. Meglio tardi che mai rendersene, conto aggiungiamo noi.