E’ tempo di retorica alpina
“Alpin jo mame”. La genetica friulana in questi giorni di tripudio di bandiere tricolori sembra essere racchiusa nelle tre parole. Tanto che Andrea Valcic sul MV propone un congruo numero di aquile patriarchine da esporre in accompagnamento. La città di Udine e l’intero Friuli sono pronti all’evento dell’adunata “nazionale” delle “penne nere”. C’è chi lo fa per ringraziare l’amor di patria di cui il corpo è stato portatore, chi per gli interventi di protezione civile, chi per le missioni di pace in cui vengono attualmente coinvolti, chi per l’incremento del PIL turistico che dall’adunata potrebbe derivare.
Senza dubbio si tratta di un fenomeno di massa che, particolarmente qui in Friuli ormai coinvolge quasi tutti (salviamo qualche puntiglioso “pacifista da salotto” e irriducibili femministe non paghe del mea culpa normativo dell’ANA), ma rimane da capire quale messaggio veicola oggi nel nostro Friuli. Ogni adunata è figlia del suo tempo, personalmente la prima che ricordo è quella del 1948 a Gorizia, dal significato piuttosto facile da interpretare, e credo che gli storici possano facilmente collegare parole d’ordine e striscioni di chi sfila con le emergenze e le conflittualità che la società italiana ha incontrato nei lunghi anni della Repubblica. Può così succedere che a Trento agli inizi degli anni 70 ci sia stata una vera e propria battaglia tra “penne nere” e “sessantottini” o che dopo il terremoto del 76 si veicolasse il messaggio “qui si lavora e non si fa politica”.
Negli ultimi decenni mi sembra che le sfilate abbiano sempre più introitato un linguaggio “democristiano” (essendo peraltro scomparsa la DC stessa) in cui, oltre a mettere in luce la ricca attività di volontariato delle sezioni, gli accenti principali vanno nella difesa della democrazia e negli auspici di pace. Sono quindi curioso di capire cosa emergerà nella sfilata del 2023 in una situazione mondiale dove la normalità sembra essere la guerra e dove la “nazione italiana” superba e sovrana guidata da una donna “guerriera” pretende un suo posto al sole, fortunatamente per ora solo in termini di prestigio.
Credo che il tema di oggi, ridotto all’osso e salvo sbandate imprevedibili (ma ben presenti in passato), sia quello del riarmo e se farlo nell’ambito di una autonomia strategica dell’Europa o a fianco della potenza guida che si ritiene imperitura. Comunque sia, come in tanti momenti della sua storia e della sua geografia, il tintinnare delle sciabole non è mai una buona notizia per il Friuli, ma, come è altrettanto noto, le decisioni che lo riguardano si prendono altrove. C’è quindi da parte mia un auspicio: che l’adunata sia un buon momento d’incontro, di bevute colossali (almeno per chi non guida), di fanfare e di cori pure stonati, di ricordi da un lato e di proponimento di impegni civili dall’altro. Magari con il rilancio in questa direzione anche di forme di servizio territoriali per i nuovi giovani residenti, che siano o no cittadini italiani. Ma, per carità, lasciamo perdere una qualche patria incombente e soprattutto i confini da difendere.
Giorgio Cavallo