Friuli: il Pathos per l’Autonomia

Da osservatori esterni e a questo punto abbastanza disinteressati, non potremo che divertirci nel registrare e descrivere come in futuro, post autonomia differenziata, la “piccola patria” sarà destinata ad avere lo stesso peso che hanno negli Usa le riserve indiane. Ci dispiace per quel manipolo di eroi che con onestà intellettuale ci crede ancora, ma i più, tra i soliti noti, non si preoccuperanno più di tanto, manterranno i privilegi. Del resto anche alcune prebende verranno lasciate cadere dal tavolo delle decisioni. Insomma ci sarà sempre qualcuno che sponsorizzerà libri, luoghi e comunicazione dedicata in “marilenghe” perché consapevole, che certi ambienti o almeno gran parte, basta comprarli perché stiano buoni e fedeli, utili alla bisogna. Del resto chi non può dimenticare i denari dati a pioggia per improbabili iniziative letterarie o di comunicazione. Citiamo un episodio di spreco fra tanti, quando venne finanziato l’epico progetto digitale sul T9 (il sistema di tecnologia che permetteva di scrivere testi con l’uso dei soli 9 tasti numerici dei dispositivi portatili dotati di tastiere ridotte, come telefoni cellulari). Ebbene venne pagata  l’edizione in friulano quando il sistema era già obsoleto, di fatto abbandonato dal resto del mondo. In sostanza era già in estinzione tecnologica quando venne annunciato in pompa magna, dopo essere stato profumatamente pagato dall’allora presidente della Provincia, il friulanissimo Pieri Fontanini che poi da sindaco di Udine si era accontentato di riempire la città di neon natalizi e cartelli in marilenghe. Ma tutto questo sarà il meno, sfugge evidentemente ai fautori dell’autonomia che dall’operazione “differenziata” su scala nazionale il Friuli avrà tutto da perdere diventando un vaso di coccio fra vasi di ferro. Tanto che, fossero seriamente interessati ad un futuro autonomo “speciale” per il Fvg, dovrebbero battersi sulle barricate per fermare l’abominio e magari chiedere di abolire anche le modifiche al titolo V della Costituzione già in vigore. Sono infatti quelle il cavallo di Troia, fornito dalla genialità del centrosinistra agli inizi degli anni 2000. Allora a turbare i sonni delle forze di sinistra era Umberto Bossi e il suo federalismo secessionista. Così nello spasmodico tentativo di inseguirlo su quella strada che pareva di “moda” fra il “popolo”, con lungimiranza da far invidia a Tafazzi, decisero che era il momento di attuare l’art 116 della Costituzione. Lo fecero malamente con il nascosto plauso del centrodestra, dato che tutti pensavano più alle poltrone che si sarebbero generate e spartite che alla reale funzionalità del sistema e conseguente bene per i cittadini.  Il risultato l’abbiamo visto e pagato, ad esempio in sanità, con i morti durante la pandemia una parte attribuibile senza alcun dubbio alle inefficienze colpevoli date dalla regionalizzazione del servizio di sanità pubblica oggi ancor di più in progressivo disfacimento a favor di privato. Ora quel furbacchione di Calderoli, approfittando del fatto che, con lungimiranza rovescia, il centrosinistra introdusse anche la possibilità di accorparle le regioni una volta autonome, vedrà compiersi il sogno secessionista. Sogno del resto mai abiurato dallo statuto leghista. Si legge infatti in una delle modifiche al Titolo V (by governo Amato II): “Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse”. Insomma facile pensare che in fondo al percorso, nella testa di Caldeoli, ci sia il compimento del progetto “padania” o almeno il grande nord sotto l’egida del Leone di San Marco mentre il suo capiatano come distrazione “nazionale” sventola  il progetto “Ponte sullo stretto”. Non a caso è stato invece sventolato in Senato il leone dagli spalti leghisti in contrapposizione al tricolore. “Leone” di fatto già da mesi sponsorizzato dalla cordata editoriale veneta Nem, acronimo guarda caso di Nord Est Multimedia, ormai proprietaria della maggioranza di Tv e giornali in Veneto e Fvg.  Così ci permettiamo di dare un suggerimento agli autonomisti friulani, ormai quasi del tutto confluiti nel Patto per l’Autonomia o che guardano a quel movimento come catalizzatore delle varie anime:  ribattezzate il partito in Pathos per l’Autonomia perché è con apprensione che si dovrebbe vivere quanto sta accadendo. Anche le altre opposizioni, magari facendo publica ammenda sugli errori del passato, dovrebbero reagire in maniera energica, perchè in ballo per davvero c’è l’unità del paese e la sua trasformazione in autocratico spezzatino.  Ma spieghiamo meglio lo scenario anche legislativo dove si muoverà il futuro derivato dall’astuzia di Calderoli nel congegnare il meccanismo a due tempi. Il trappolone nel quale pare stiano cadendo le opposizioni che basano le loro contrarietà quasi esclusivamente sulla questione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) dato che le materie che li prevedono – sanità, istruzione e mobilità pubblica – non possono essere oggetto di pre-intese. In sostanza finché non si sarà provveduto a determinare i Lep e sia costruita anche l’adeguata copertura finanziaria non potranno essere trasferite alle regioni. Questo tranquilizzerebbe sulla relativa attuazione del prgetto secessionista. In realtà non c’è solo il problema di come determini i livelli e la relativa copertura finanziaria, ma udite, udite non sono quei settori, almeno per ora, l’obiettivo primario della eversione leghista. Sono il resto delle possibili cessioni dallo Stato alle Regioni a fare gola. Insomma tante altre partite, che non rientrano nella determinazione dei Lep, potranno essere cedute immediatamente e non sono elementi da poco. Quello che interessa davvero alle Regioni del nord è la gestione della rete delle infrastrutture che non è collegata ai Lep ma è quello che abilita una Regione a farsi Stato. Parliamo di gestione di aeroporti, porti, autostrade, protezione civile, risorse energetiche. Questo è l’obiettivo vero, il resto è demandato a futura memoria. In sostanza tempo un anno le Regioni, senza aver fatto la secessione, attraverso le intese inizieranno a completare il puzzle del “grande Nord” che diventa autonomo, ricevendo dal governo centrale la sovranità sulle infrastrutture. La polpa è tutta in questo nuovo grande assembramento che mette le Regioni alla pari dello Stato. L’unico mistero è come una simile operazione si possa conciliare con il premierato, merce palese di scambio fra la Lega e Fratelli d’Italia, perchè in realtà da gestire centralmente resterebbe uno sorta di Stato fantasma, una “nazione” che governa sui sette colli di Roma e poco oltre, mentre la sovranità vera sarebbe altrove. Chissà forse Giorgia Meloni non è quella grande statista che vogliono far credere e che in tanti sono vittima di allucinazione di massa.

Fabio Folisi