Il ddl contro gli attivisti climatici è legge: le (giuste) preoccupazioni di Amnesty International Italia
Il 18 gennaio scorso, a seguito di una fulminea trattazione alla Camera dei Deputati, il disegno di legge contro gli attivisti climatici (ex ddl 693) è diventato legge con 138 voti favorevoli. Questo testo di legge, già approvato lo scorso luglio dal Senato, introduce una serie di importanti criticità in riferimento alle garanzie di fruizione e godimento del diritto di protesta, garanzie che derivano dal diritto internazionale e che l’ordinamento italiano, in virtù dei trattati di ratifica, deve impegnarsi ad attuare. La legge recante “Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale”, fin dalle sue origini di proposta legislativa su iniziativa governativa del Ministro della Cultura Sangiuliano è stata volta allo sradicamento di determinati movimenti, gruppi e modalità di esercizio del diritto di protesta. Il testo di legge, che ora è nelle mani del Presidente della Repubblica per la conclusione dell’iter legislativo, concretizza un nuovo inasprimento della disciplina sanzionatoria che si delinea, in primo luogo, con l’impostazione di un sistema a “doppio binario sanzionatorio” per le condotte oggetto della legge; ciò implica che le fattispecie di reato individuate dalla nuova legge contro gli attivisti climatici (fattispecie già oggetto di sanzione essendo il loro disvalore già riconosciuto dal diritto penale dall’art 518 duodecies introdotto con la legge 22 del marzo del 2022), ora verranno sanzionate non solo con le pene già previste dal codice penale, ma anche con sanzioni amministrative di carattere pecuniario la cui cornice di valore risulta essere fortemente sanzionatoria. Si prevede infatti che l’ammenda (in aggiunta alla pena della reclusione da due a cinque anni e a una multa tra i 2500 e i 15.000 euro) nei confronti di chi “distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o, ove previsto, non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui” sia tra i 20.000 e i 60.000 euro. Per chi invece “deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali a un uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico” l’ammenda potrà raggiungere i 40.000 euro. In questo caso, si deve notare che viene lasciata ampia discrezionalità in sede giudiziaria ove si parla di “uso incompatibile con il loro carattere storico artistico”. La nuova legge, inoltre, al suo articolo 3 va a emendare l’art 635 del codice penale (danneggiamento), modificandone il terzo comma che già prevede un aumento della pena (reclusione da uno a 5 anni) ove il danneggiamento avvenga durante una manifestazione in luogo pubblico o aperto al pubblico, come inserito con il “pacchetto sicurezza bis” del 2019; con la modifica introdotta con la legge approvata il 18 gennaio viene aggiunta alla pena detentiva una multa fino a 10.000 euro. Infine, si modifica l’art 639 del codice penale, su “Deturpamento e imbrattamento di cose altrui”, in primo luogo triplicando la pena pecuniaria massima applicabile alla fattispecie (da 103 euro a 309 euro). Viene poi aggiunta, alla fine del secondo comma del suddetto articolo, la specifica riguardante “teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico”, prevedendo che ove questi beni vengano deturpati o imbrattati, si applichi la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1000 euro. Questo testo di legge, con le modifiche che apporta al codice penale e con l’introduzione di un sistema sanzionatorio a doppio binario, ha il palese scopo di porre ostacoli e creare un effetto deterrente per l’attivismo, la protesta e verso coloro che compiono atti di disobbedienza civile come strumento di manifestazione individuale o in contesti collettivi. A fronte dell’emergenza climatica che anche l’Italia sta, nella più concreta attualità, continuando a soffrire e a fronte della crescente richiesta di soluzioni e di risposte da parte della società civile, i governi dovrebbero dialogare, permettere una piena fruizione del diritto di protesta e ascoltare i messaggi che vengono a loro indirizzati. Criminalizzare l’attivismo e la disobbedienza civile e quindi il diritto di protesta, peraltro concentrando l’attenzione su uno specifico gruppo e specifiche vertenze, cercando di eroderne gli spazi attraverso leggi draconiane che hanno il chiaro scopo di porre pene esemplari per “spaventare” le persone che vorrebbero protestare con modalità più radicali, è un atteggiamento che non permette di realizzare e implementare il diritto di protesta, ponendo quindi barriere improprie al godimento di questo diritto.