Il peso delle parole e quello delle immagini

Con genocidio, secondo la definizione adottata dall’ONU, si intendono «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»
Sono passate quarantacinque lunghe giornate da quell’infausto 8 Ottobre quando Hamas ha compiuto “l’insano gesto” provocando la reazione di Israele. Ognuno valuti come definire l’azione dei guerriglieri palestinesi, di certo si è trattato di un indiscriminato massacro di oltre un migliaio di persone, ma che come anche il Segretario Generale dell’ONU ha sostenuto, ha origini molto profonde che vanno oltre la stessa azione. Detto ciò, pare ci sia in corso una specie di simposio su come definire invece in modo corretto la folle e ingiustificabile azione di Israele nei confronti non solo di Gaza ma anche della Cisgiordania. Sono molti coloro che non hanno eccessivi dubbi e optano per “genocidio”, ma a quanto pare questo termine si può utilizzare solo in presenza di specifici atti o parametri. E dunque prima di prendere decisioni che sarebbero conseguenza del genocidio, pensano e ponderano accuratamente le azioni di Tsahal (‘esercito israeliano) per capire se rientrano nei parametri che giustificherebbero la definizione di quel termine o meno. Dunque, fino a che non si sarà presa una decisione in merito, anche le azioni della comunità internazionale dovranno aspettare ed essere adeguatamente proporzionate. Fino ad oggi, segnalerei che nemmeno il minimo sindacale è avvenuto.
Non lo so, ma al sottoscritto pare che circa 14.000 morti e 30.000 feriti (molti dei quali saranno portatori di handicap nel futuro davvero oscuro della Palestina) potrebbero essere sufficienti a dire basta ed imporre alle parti almeno di fermarsi; poi trovare il tempo di mettersi d’accordo sull’interpretazione di quanto accade e prendere decisioni conseguenti. Se non si tratterà di genocidio, non credo ci siano difficoltà a chiamare gli atti compiuti dalle IDF (Israeli Defense Forces) con altre definizioni: bagno di sangue, carneficina, ecatombe, eccidio, macello, mattanza, scempio, sterminio, strage, tutti questi sinonimi andrebbero bene e non mi pare che le azioni per impedire massacro debbano attendere il verdetto di questa specie di Accademia della Crusca internazionale per dire che quanto provocato da Israele possa e debba bastare. E magari mettere quello Stato, ma soprattutto quel governo fascistoide e razzista sotto pressione adeguata boicottandolo invece d giustificarlo e continuare a fornirlo di armi. Questa non si chiama giustizia, ma piuttosto complicità. Fare il palo non è meno grave che compiere il reato.
Intanto le immagini e i servizi che, nonostante tutti i tentativi di impedire il lavoro dei giornalisti mentre prosegue la loro mattanza (più di 40 giornalisti uccisi tra Gaza e Cisgiordania), arrivano dalla Palestina continuano a vomitare morte, distruzione, violenza gratuita, fiumi di gente che scappa dalle bombe per andarsele a ritrovare dove in teoria dovrebbe essere al sicuro. Ospedali colpiti dalle bombe e dalla metodica distruzione delle apparecchiature e di tutto quanto fino a un paio di giorni fa in qualche modo ancora riusciva a salvare molte vite e curare montagne di pazienti. Medici e ricoverati, inclusi neonati ammassati in incubatrici improvvisate costretti ad andarsene su ordine dei militari che si ostinano a sostenere che i nosocomi erano le basi operative dei capi di Hamas e depositi di armi degli stessi guerriglieri. Di prove concrete fino ad oggi praticamente nulla se si esclude che quattro AK 47 e una manciata di munizioni possa essere definito un arsenale; tra l’altro posizionato vicino ad apparecchiature medicali incompatibili con la presenza di metalli. Oppure un pozzo che potrebbe essere tutto e nulla incluso il fatto che potrebbe essere stato ripreso in qualsiasi luogo di Gaza possa rappresentare il famoso ingresso del tunnel in cui i miliziani si muovevano nel dedalo sotterraneo della Striscia; decisamente il commissario Basettoni e Topolino farebbero un lavoro migliore.
Di prove invece del massacro certo non ne mancano, incluse le ultime immagini della scuola dell’UNRWA nel campo profughi di Jabalia che avrebbe dovuto essere un rifugio sicuro per le migliaia di sfollati le cui abitazioni sono state ridotte in polvere dai bombardamenti e dall’artiglieria israeliana. 200 persone fatte a pezzi nei luoghi che dovevano garantire un riparo sotto l’egida delle Nazioni Unite. Come vogliamo definire un atto del genere? Per me va bene tutto, basta che qualcuno si prenda la responsabilità di perseguire queste azioni, questi orrori ingiustificabili in qualsiasi forma li si voglia chiamare. Quanto tempo ci vorrà ancora prima che il TPI (Tribunale Penale Internazionale) si accorga di questo sterminio e agisca di conseguenza? Quanti morti, quanti feriti serviranno ancora prima che chi può riesca ad imporre l’umanità e la pietà di fronte a questo eccidio senza fine che dal nord della Striscia si sposta sempre più a sud nell’intenzione di spingere i Gazawi (abitanti di Gaza) e i palestinesi di Cisgiordania in Egitto o in Giordania ed annettere definitivamente quei territori ad Israele? Una nuova Nakba, come nel 1948. Così il problema dei palestinesi sarà quasi definitivamente archiviato. Mancano solo i palestinesi cittadini (di seconda serie) israeliani e poi sarebbe fatta; ma ci sarà tempo anche per loro… Anche noi in Italia, quello che un tempo era chiamato il movimento o la terza potenza mondiale non stiamo dimostrando grandi scatti di reni; un tempo una tragedia del genere avrebbe portato in piazza, un’unica piazza, un milione di persone. Ora, certo una qualche reazione c’è, ma la cui portata è ben lontana sia in numeri che conseguentemente in visibilità rispetto a quanto probabilmente dovrebbe.
Nemmeno un dignitoso e serio corridoio umanitario è stato concesso e quanto riesce ad entrare in termini di aiuti umanitari non riesce certo a soddisfare neppure in piccola parte le reali esigenze di due milioni e mezzo di persone buona parte delle quali non hanno più né un tetto, né abiti adeguati all’inverno incombente, né cibo per sfamarsi. E noi continuiamo a dibattere se siamo arrivati o meno al grado sufficiente per definire questa tragedia genocidio o cos’altro. Chiamatela come volete, ma fate presto!

Docbrino