Il ricordo che non vuole ricordare
10 febbraio: in questo contesto mi viene sempre d’obbligo cominciare da me, ma solo per stabilire che cosa possa essere pacificazione nelle nostre terre così complicate e complesse. È assumere il proprio dolore senza farlo manipolare da altri, è l’esercizio della pura attenzione priva di preconcetti: mamma e papà erano lei esule istriana, giovane maestra all’epoca dell’esodo, cresciuta nell’insegnamento fascista, lui partigiano comunista della Divisione d’Assalto Garibaldi Natisone, rimasto comunista fino all’espulsione dal PCI. Si sono amati e sposati. Punto. Al contrario di ciò che i singoli individui sanno fare, sono motivi di calcolo politico quelli che hanno originato la ricorrenza del 10 febbraio, e la scelta di questa specifica data. Essa nasce infatti e si sviluppa, come ogni propaganda che si rispetti, ripetendo ossessivamente vecchie parole e vecchie immagini per trasformarle in verità (solo di qualche giorno fa, e per l’ennesima volta, abbiamo visto gli orchi con la stella rossa sul basco che incombono su famiglie fuggitive inermi), sia con l’intento di gettare fango sulla resistenza comunista italiana e jugoslava, la più numerosa e la più forte, sia con intenti rivendicazionisti e nazionalisti, che mai nella Storia hanno prodotto alcunché di buono. Sono gli stessi deliri nazionalisti che peraltro generano ai cosiddetti confini d’Europa, ma anche in confini interni, i respingimenti, i campi profughi, le condizioni di vita disumane, gli internamenti nei Centri per il rimpatrio, insomma l’orrore in cui sono costretti a vivere gli esuli e le esiliate di adesso. Questa ricorrenza, accompagnata da una retorica menzognifera che le organizzazioni antifasciste si occupano di disarticolare, si fonda su una cancellazione storica, sul mancato riconoscimento – quando non sull’apologia – di cosa il fascismo fu, con il carico di violenza, persecuzioni, morti, deportazioni, guerra che esso fu capace di rovesciare sul mondo. La legge istitutiva di questo giorno nasce da un progetto politico ben preciso e nutrito di anticomunismo, concepito ben prima del 2004 (governo Berlusconi), anno in cui essa viene votata dalla stragrande maggioranza dei Parlamentari, uniti nella volontà di scoperchiare un vaso di Pandora degli istinti, dell’odio, del becero interesse di parte (la parte che, la guerra, l’aveva dichiarata). Per poi richiamarsi alla pacificazione. Se la Storia è confronto tra studiosi e studiose, con riferimento preciso a fonti e dati, siamo in un presente ben lontano da questo assunto. Quando un segmento degli uomini e delle donne delle Istituzioni (Regione, Comuni) abbraccia la narrazione di cui sopra, questa parte si trova ad anni luce dal compito di custode della Costituzione nata dalla Resistenza. La Storia vive della ricerca libera e documentata: accade invece che in Regione platealmente si decida quale ricerca sia ammissibile e quale vada censurata (si veda la vicenda recente della casa editrice KappaVu). E per quella censurata si utilizza l’appellativo di “negazionista” riguardo alle vicende per le quali è stata istituita la ricorrenza del 10 febbraio. Se la Storia ha infine come luogo elettivo del suo insegnamento la Scuola, che qui in Friuli Venezia Giulia la quasi totalità dei membri del Consiglio Regionale vuole regionalizzare, c’è da chiedersi davvero se sarà la Regione a decidere quale impostazione dare alla lettura degli accadimenti del secolo scorso, così cruciali nell’educazione al pensiero critico ed alla coscienza politica di cittadine e cittadini (sarà quella che sottende la logica da cui è nato questo giorno?)
Se associazioni come l’ANPI lavorano per il rigore della ricerca, per mantenere viva la Storia della Lotta di Liberazione e le Storie delle donne e degli uomini che vi hanno preso parte e perché si mantengano vibranti e concretamente vissuti i principi che dalla Resistenza sono confluiti nella Carta Costituzionale, serve tuttavia un ulteriore passo. Questo giorno vada abolito: forze politiche e associazioniste lo chiedano. Dianella Pez Comitato di Udine per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei Diritti.