Il rischio è il mio mestiere
Così avrebbe detto qualche attore del cinema con piglio guerriero ed in una situazione come quella in cui i militari (mica solo…) si vengono a trovare in missioni di guerra. Nessuna polemica, sia chiaro, solo che quello è il contesto e quelli i rischi correlati. Diciamo anche subito che a creare questa situazione ci abbiamo messo del nostro. Dal 1991 in poi, il medio oriente è sempre stato posto travagliato e se la perdita di tipacci come Saddam Hussein non ha poi commosso eccessivamente, le conseguenze degli interventi “democratizzanti” (secondo canoni di democrazia del tutto nostri) sono quelle sotto gli occhi di tutti. Almeno due paesi, Iraq (a parte l’autonoma regione del Kurdistan) e Siria distrutti dalle guerre e l’intera regione destabilizzata dalle stesse. Una situazione sul campo che è peggio di un cruciverba del vecchio Bartezzaghi causata da una logica schizofrenica di intervento da parte delle forze della coalizione occidentale che ha provocato sicuramente molti più danni che ipotetici benefici.
Ultima arrivata, la mossa di Trump che ha cominciato a ritirare le sue truppe dalla Siria (ma certo non dai campi petroliferi al confine con l’Iraq) che ha causato ulteriori sbilanciamenti di cui i turchi e i loro tagliagole alleati hanno immediatamente approfittato per creare altre tensioni e relative vittime. Evidentemente non bastava smazzolare oltre il necessario la Siria, ultimamente anche la situazione in Iraq che secondo molti ormai era in via di “completa guarigione” andava rivista. Infatti, in seguito alle molte cazzate che erano state combinate da quelle parti, quel paese era di fatto caduto sotto il controllo dell’ingombrante vicino, l’Iran. Stessa sorte che sta subendo la Siria dove l’influenza degli Ayatollah e dei loro alleati di Hezbollah è piuttosto pesante. Dunque, che fare per evitare che l’autorità di Teheran si espanda fino al Mediterraneo? Beh, destabilizzare più di quanto già non sia, entrambi gli stati.
Della Siria abbiamo già parlato recentemente, ma la stessa situazione dell’Iraq non è molto migliore. Certo, lì la guerra (quella combattuta ufficialmente) è finita, ma non sono certo i problemi a mancare. Un paio di anni fa, la regione già abbondantemente autonoma del Kurdistan aveva indetto un referendum che avrebbe dovuto (in caso di scontato risultato positivo) sancire l’indipendenza di quell’area e il suo distacco da Baghdad. Come previsto il voto favorevole all’indipendenza raggiungeva una maggioranza ultrabulgara del 98% , ma i conti erano stati fatti fatti senza il parere di Baghdad e sperando che gli statunitensi dessero una mano a confutare la scelta fatta. Si sa come andò a finire, le truppe iraqene si sbarazzarono dei peshmerga in quattro e quattr’otto e si ripresero anche Kirkuk che nel frattempo era amministrato da parte di Erbil (capoluogo del Kurdistan Iraqeno). Si sa che Kirkuk è il principale snodo strategico per i ricchi giacimenti petroliferi e per gli oleodotti che fanno viaggiare quel liquido. Che prima o poi Baghdad si riprendesse quella città, era abbastanza logico, ma quella fu l’occasione perfetta.
Ora, è chiaro che Kirkuk è determinante sia per Baghdad che per Erbil e che quella sia una zona in cui tutti faranno il possibile per garantirsene il controllo, ed infatti è proprio da quelle parti che il mai tramontato Isis compie da parecchio tempo attacchi e attentati. In zona la presenza delle milizie sciite (e l’influenza delle guardie rivoluzionarie iraniane) è molto diffusa e creare panico e confusione in zona significa mettere in discussione la loro autorità. Come altrettanto vero è che creare problemi ad un governo ipercorrotto come quello iraqeno, ma principale alleato di Teheran, fa il gioco degli amici dell’occidente, Arabia Saudita ed Emirati. Che le rivendicazioni dei manifestanti, soprattutto delle aree a sud (guarda caso a stragrande maggioranza sciiita) siano del tutto legittime e degne della massima solidarietà è fuori dubbio. Che dietro a questo malessere giustificato ci sia anche la manina di qualcuno pare altrettanto assodato.
Ecco perchè anche l’Iraq sta diventando un’altra polveriera e anche lì la situazione sta degenrando con tutti i pericoli che ciò comporta; non solo per la povera gente che ci vive, ma anche per i militari stranieri che da quelle parti sono stati mandati e sono presenti. Compresi ovviamente quelli italiani che dovrebbero avere una funzione di addestramento per l’esercito e i poliziotti locali, ma tra i quali ci sono anche truppe scelte di attacco i cui compiti e azioni sono secretate, dunque potenzialmente possono prevedere anche scenari di combattimento. I 5 poveracci che si sono imbattuti probabilmente in un IED (Improvised Explosive Device), ovvero in un ordigno nascosto e poi fatto esplodere, fanno parte di queste truppe scelte e dunque non si sa e neppure si saprà cosa stavano facendo. In sostanza, esposti a rischi che possono anche purtroppo mettere a repentaglio la loro vita. L’Isis sarà anche stato sconfitto nel senso militare e il califfato per fortuna dissolto. Il fatto però di avere eliminato il suo capo ed alcuni dei suoi stretti collaboratori non significa molto. Il potenziale di quegli assassini (e di altre bande di fanatici che assomigliano molto all’Isis) rimane in ogni caso alto e l’organizzazione si sta espandendo ben oltre i confini del medio oriente; gli armamenti in loro possesso sono ancora parecchi ed in grado di produrre danni per parecchio tempo. È altrettanto chiaro che un’organizzazione del genere non si mantiene senza un consistente contributo da parte di elementi esterni che, a quanto sembra, continua a funzionare piuttosto bene. Ad occhio, questi finanziatori del terrore, non mi pare siano enti di beneficenza.
Dunque, da quelle parti il clima non è ne sarà tranquillo pare ancora un bel po’ e i rischi per chi frequenta quei luoghi rimarrà alto; senza contare che, almeno per ora, l’Iran viene solo lavorato ai fianchi….. No, non pare affatto finita qui!