Il test elettorale Umbro non è l’ariete che sfonda il governo, ma questo ha piedi d’argilla e rischia di crollare da solo
Abbiamo aspettato un paio di giorni prima di commentare la netta vittoria del centrodestra alle elezioni regionali in Umbria perchè ci interessava capire l’atteggiamento che avrebbero avuto le parti in causa, soprattutto nella coalizione o meglio nel “cartello” perdente. Come è noto la candidata di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia Donatella Tesei si è imposta con il 57,55% dei voti (255.158), venti punti percentuali in più rispetto a Vincenzo Bianconi, sostenuto da Pd, M5S e Leu, che si ferma al 37,48% (166.179 voti). Fin qui i numeri nella loro fredda ed inequivocabile realtà e l’ovvio esultare del centrodestra che, altrettanto ovviamente, ora chiede le dimissioni del Governo nazionale perchè, dicono, non rappresenta più gli italiani. Peccato che una regione di 800mila abitanti su 60 milioni, pur volendolo considerare un campione statistico, resta specchio distorto e infedele di una corretta valutazione del “sentiment” politico nazionale. Il perchè è facilmente intuibile, se non altro, perchè l’Umbria è localizzata in una realtà territoriale ristretta, con la propria storia e la propria specificità socio economica, ma anche perchè, a quelle elezioni anticipate, si è andati per il fallimento locale della amministrazione di centrosinistra travolta dallo scandalo sanitopoli. Insomma non è un campione generalizzabile su scala globale, visto che ancora oggi, la responsabilità penale è individuale ed anche quella “politica” non può che essere confinata alle dinamiche di quella realtà. Eppure la politica italiana, per convenienza alternata di parte, continua a ritenere indicativi questi “test” amministrativi. Oggi a evidenziarne la portata è ovviamente il centrodestra, in passato è stato il centrosinistra vittorioso e perfino i grillini hanno dato peso “nazionale” alle comunali di qualche capoluogo di provincia. Tutto questo la dice lunga sulla caratura generale della classe politica di questo inizio di millennio. Non sappiamo quindi se, in questi tempi di schizofrenia e dissociazione, il risultato delle elezioni umbre provocherà una crisi di governo, anche se il problema non pare essere l’alzarsi della febbre post-elettorale che come è noto scende rapidamente, uscendo dalle prime dei quotidiani con la velocità con la quale vi è entrata. Ma semmai il capitombolo governativo potrebbe arrivare dalle scadenze dinnanzi all’esecutivo e dalla palese incapacità di questa maggioranza di evitare risse da pollaio. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, oggi anche alle prese con uno scandalo vaticano ed un suo possibile conflitto d’interesse, cercherà di domare, con bastone e carota, le risse governative prossime venture, ma difficile è pronosticare una sua tenuta soprattutto quando si arriverà in prossimità di nuove scadenze elettorali amministrative, Emilia Romagna in testa. Una cosa è invece assolutamente palese, la vittoria oltre ogni previsione di Salvini e della Meloni in Umbria non sono test nazionale se non per un fattore: naufraga l’illusione del centrosinistra e della sinistra-centro, che basti solo agitare lo spettro della destra sovranista in odore di fascismo, per essere ascoltati dagli elettori e per far dimenticare la mala gestione amministrativa, le scissioni e i volta faccia di convenienza e soprattutto la pochezza programmatica. Anzi, oggi il rischio è concretissimo che l’unione tra Pd e Cinque Stelle resti un flirt con annessa sbandata di una notte, resterà forse per un certo tempo una mal sopportata convivenza, ma con letti separati. Questo perchè anziché trovare un terreno comune programmatico, che pur con le mediazioni del caso, apra ad una visione comune del futuro di questo paese, si perderanno in continui bracci di ferro, con Salvini che alita sul collo, e si sa il leader leghista, amante dei mojito, ha l’alito pesante. Insomma andare oltre la gestione infantile dei rapporti politici, tanto cara a Di Maio che pedissequamente, prima accetta da Salvini e oggi da Zingaretti sarà difficile. La politica della ripartizione, il “questo a me, questo a te” che prima della follia agostana di Salvini era l’anima contrattualizzata del governo giallo-verde, oggi è l’anima “orale” di quello giallo-rosso, non può reggere dinanzi alla complessità dei problemi, al massimo mette puntelli e pezze contingenti, ma la buona amministrazione della cosa pubblica è altro. In realtà l’operazione grillo-rossa, soprattutto se non avrà un evoluzione, porta solo a portare più acqua al mulino del demagogo leghista che rischia, in futuro, per davvero di avere il potere assoluto nel paese. Il problema è ovviamente di tutte le componenti della maggioranza di Governo. Il Movimento 5stelle sarà anche “post-ideologico” ma ha auto-generato una idea strampalata di futuro, fra democrazia partecipativa e primato del digitale, mescolando concetti anche nobili, come in contrasto alla povertà, ma proposti in modo frettoloso e raffazzonato. La linea pentastellata pare una sorta di maionese che è impazzita nel frullatore parlamentare e che continua a girare vorticosamente con il capo politico “apprendista cuoco” designato, che non solo non trova l’interruttore per spegnere, ma che ha anche alzato il coperchio e vedendo schizzare fuori dalla caraffa, frotte di elettori. Ora ha il rischio di dover raschiare il fondo e forse rendersi conto di persona che la povertà è ben lontana dall’essere stata abolita. Ma se il grillismo è in crisi profonda non è che nel PD le cose vadano meglio. In primis perchè sono anni che non viene fatta una seria e dolorosa analisi sull’erosione del consenso, neppure quando pezzi consistenti hanno sbattuto più o meno violentemente la porta. La colpa era sempre di chi non aveva capito la raffinatezza di alcune scelte contronatura che facevano apparire il partito che lontanamente fu di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, simile ad una protuberanza berlusconiana. Il problema è che non vi era e forse non c’è ancora una visione chiara del futuro, non ci sono più grandi obiettivi ideali e punti di riferimento. Si tira a campare cercando di stare al governo senza neppure la consapevolezza che avere un certo numero di ministri e sottosegretari ti fa forza di “governo”, ma in assenza di visione condivisa, non ti da alcun potere reale se non quello di contrattare provvedimenti di scarso respiro, un meno-peggio con il tuo partner/avversario di riferimento. E se si pensa che il collante possa essere solo l’antisalvinismo e l’antifascismo si sono sbagliati i conti, perchè un tempo l’antifascismo si coniugava con l’idea di progresso delle politiche sociali, era insomma una cosa seria e concreta e popolare, ora rischia di essere declassato a un puro feticcio nominalistico. Una presunta identità perduta in molti nella sua reale essenza che ormai da anni serve soltanto a coprire, ammantandosi di presunta difformità dagli altri, il taglio di welfare, l’imposizione di precarietà, la diffusa caduta dei diritti, la privatizzazione di pezzi di sanità e soprattutto l’accettazione delle ricette liberiste, quando non iperliberiste, come fattori ineluttabili della legge del mercato. E se l’antifascismo diventa solo simbolico vessillo da sventolare, è forte il rischio che le persone comuni siano rese miopi dalla propaganda e dai problemi per troppi anni ignorati da una sinistra troppo snob per parlare con la gente o accecata da quel renzismo che oggi ha svelato in tutta la sua realtà il proprio volto. Così alla fine che Salvini & C siano sempre più simili, per politiche e atteggiamento, al fascismo, inizia a non interessare, a essere minimizzato da gran parte dell’opinione pubblica. Certo a destra l’odore di fascismo, viene espressa da personaggi rozzi, arruffoni e di straordinaria modestia intellettuale, capaci di esprimersi con il ristretto vocabolario dell’odio. Salvini e la Meloni ne sono l’espressione, ma il problema non è solo di stile, ma di sostanza. Guardiamo il problema dei migranti. Tutti, o quasi, si aspettavano che al voto di fiducia sul nuovo governo Conte-Zingaretti- Di Maio – Speranza, seguisse , se non l’abrogazione, almeno una profonda revisione dei “decreti sicurezza salviniani”. Ma invece nulla, per paura di sembrare di sinistra o sacrificati sull’altare di non dispiacere a Gigetto, si è deciso di tenerli intonsi, utilizzandoli però in maniera più “umana”. Così oggi l’imperativo categorico rischia essere quello di mantenere in piedi più a lungo possibile un “governicchio” senza anima o se preferite dalle troppe anime, un tirare a campare che teoricamente conviene a tutti: a Salvini e Meloni per finire di spolpare le ultime spoglie di Forza Italia, al M5s per cercare di ricucire e tappare i buchi consentendo a Di Maio di comprendere come si spegne il “frullatore” elettorale, al PD per cercare di ricostruirsi anima e credibilità a sinistra dopo una stagione oscurantista troppo lunga per essere risolta in poche settimane e che li ha visti, per troppo tempo da renziani convinti, paladini della iper-precarizzazione del lavoro, dei processi di privatizzazione in cerca di legittimazione dai “mercati”, dal mondo della finanza e dell’imprenditoria. Cavalli di battaglia che prima che di Renzi sono stati patrimonio, “sostanza”, anche di Berlusconi e che oggi, se pur sovranisticamente, lo sono anche di Salvini e Meloni. C’è poi la news entry Italia Viva con la quale Matteo Renzi, sempre lui, vuole proseguire la sua opera di smantellamento di qualsiasi campo progressista che non la pensi come lui e se non lo potrà fare con la forza delle urne lo farà avvelenando i pozzi dietro di lui. Anche Leu, che nel governo c’è, rischia di vedersi impastoiato nella palude. Insomma non c’è nulla da essere ottimisti, sia sul terreno della “sostanza”, cioè nella ricerca di una visione autenticamente moderna, ambientalista e che combatta realmente le diseguaglianze, che sulla capacità di comunicazione. Ultimamente a sinistra (nel senso di semplice antagonista spazio temporale alla destra) che un tempo era campionessa di propaganda, giornalismo e comunicazione, è di moda inseguire la “bestia” di Salvini , (basti pensare all’App PD che scimmiotta Rousseau) cercando di annaspare nel mondo social che per sua caratteristica è mare ostile ai pensieri complessi. Su quel terreno l’esercito troglodita del leghismo da tastiera l’avrà sempre vinta.
Fabio Folisi