Italia al voto: i populismi si trasformano in astensionismi e così vincono le schede rimaste orfane della matita
Bisogna fare sempre attenzione a non dare valenza generale alle elezioni comunali, il passato ci insegna che pur essendo ottima cartina di tornasole per evidenziare tendenze, sono troppe le varianti locali per pensare che il voto sia davvero indicativo del rapporto dei cittadini con i singoli partiti. Detto questo, è evidente che comunque quando sono chiamati al voto milioni di persone non solo c’è chi ha vinto e chi ha perso, ma emergono alcune indicazioni che la politica non dovrebbe sottovalutare. Il dato più significativo non è che si sono spostati gli equilibri nella destra con Matteo Salvini in rotta e la Giorgia Meloni che raccoglie i superstiti della Caporetto leghista e neppure che il M5s sembra essere azzerato, ma che moti voti “populisti” si sono trasformati in astensione. Una tendenza da non sottovalutare quella della disaffezione degli elettori perchè potrebbe diventare benzina per le tensioni sociali che la situazione economica in caduta libera, data anche ma non solo dalla guerra in Ucraina, rischia di generare perfino prima dell’autunno. Un autunno che rischia di rivelarsi caldissimo con milioni di famiglie in difficolta e un inverno successivo gelido anche per la possibile carenza di gas per scaldare le case e per il prezzo in ascesa incontrollata. Tornando alla tornata elettorale è evidente che il dato del “non voto” è il più rivelante, colpisce più le forze politiche non sufficientemente strutturate e che basavano la loro esistenza sul più o meno becero utilizzo di parole d’ordine di forte impatto populista. Si potrebbe dire che siamo al riscatto dei partiti che considerati da molti un vecchio strumento obsoleto, tornano a dimostrarsi l’unica realtà organizzata in grado di compattare forze è programmi. E’ così nel centrodestra con Fratelli d’Italia, è così nel centrosinistra, dove ad essere catalizzatore è certamente il Pd che si conferma, se pur di misura, primo partito italiano. Ovviamente tutte le persone che hanno a cuore la democrazia non possono non guardare con preoccupazione i dati relativi al declino della partecipazione elettorale, basti pensare che alle prime elezioni repubblicane per la Camera dei deputati partecipò al voto oltre il 92% della popolazione. Alle elezioni del 2018 nemmeno il 73%. Alle elezioni europee del 2019 ha partecipato al voto meno del 55% degli elettori e oggi, anche se il dato è parziale per numero di cittadini chiamato al voto in 978 Comini su circa 8000 e per tipologia di elezione (ricerca del primo cittadino e non di un governo del paese) il dato che si superi quasi dappertutto solo il 50% di votanti, unito al quel 20% ai referendum, sono una vera è propria debacle del sistema. Anche se qualcuno in maniera miope pensa che l’importante non è la grandezza della torta elettorale ma che questa esista per dare comunque il potere a qualcuno, diventare sindaco o premier di una sempre più esigua parte dei cittadini non è presupposto di nulla di buono. Comunque andando all’analisi del voto, le dinamiche sono abbastanza chiare. Ci sono vincitori e sconfitti. Salvini e Conte, per esemplificare ne escono con le ossa rotte, frantumate nel caso del M5s, che però non ha mai brillato alle amministrative, mentre il Pd di Letta e FdI della Meloni, in qualche modo, si rafforzano. Questo avviene nei grandi numeri accorpati, mentre è palese il rimescolamento dei sindaci in molte realtà. Ma questo alle comunali è ormai normale, perchè contrariamente alla politiche dove il voto è più strutturato per area ideologica e partitica, alla comunali il fattore umano dei candidati ed il giudizio su come si è amministrata la municipalità sono preminenti. Così è anche in Fvg dove tutto o quasi è andato secondo le aspettative e dove, per dare un definitivo giudizio occorrerà aspettare i ballottaggi di Azzano, Codroipo e Gorizia. Così mentre la stampa locale, non certo equilibrata nell’analisi del voto, si spertica a strombazzare che in Fvg vince la destra “perchè al centrosinistra, che perde Tolmezzo, Casarsa e pure l’ex feudo rosso di Cervignano, non può certo bastare la conquista di Duino e quella sfiorata al primo turno a Codroipo”. Si dimentica che alle Comunali si dovrebbero analizzare non solo numeri ma anche situazioni territoriali complesse. Significativa da questo punto di vista la lettura che, praticamente a conteggio delle schede ancora in corso, ha dato ieri il segretario regionale del Pd Fvg Cristiano Shaurli, al quale si è affrettato a rispondere, non il commento degli altri partiti, ma direttamente il quotidiano di viale Palmanova che è spesso più realista del re al quale evidentemente risponde. “Indubbiamente pesano le sconfitte di Cervignano e Monfalcone, ammette Shaurli, ma i ballottaggi di Gorizia, Codroipo e Azzano X assieme ad altre vittorie come quella di Duino Aurisina o Ronchi ci dicono che in questa regione, se si riesce ad allargare il campo e a proporre progetti e persone, il centrosinistra è competitivo. Abbiamo 15 giorni durante i quali il nostro impegno totale sarà indirizzato allargare il consenso intorno alle nostre coalizioni e candidati. Sicuramente non siamo una regione dove la Lega e il centrodestra fanno il pieno a prescindere”. “Su 33 comuni al voto – ha aggiunto Shaurli – il Pd ha presentato 11 volte il simbolo, e questo per noi è un risultato positivo non tanto dal punto di vista identitario ma della consapevolezza che con i nostri valori siamo centrali – ha concluso – per costruire coalizioni ampie con cui confrontarci ad armi pari con la destra sovranista di Salvini e Meloni”.
i dati ufficiali nel Fvg comune per comune https://elezioni.regione.fvg.it/consultazioni/ELZ_COM/2022-06-12