Italia sempre più “unita”. Il collante principale non è l’amor patrio ma la cementificazione selvaggia
C’è una cosa che unifica l’Italia più di ogni altro elemento, non la lingua, non la scuola, certamente non l’economia e neppure l’amore patrio, ma la cementificazione selvaggia. Bisogna chiarire che la parola “selvaggia” no è sovrapponibile con abusiva perchè il consumo di suolo cresce “legalmente” perfino nelle aree protette (+108 ettari nell’ultimo anno), nelle aree vincolate per la tutela paesaggistica (+1074 ettari), in quelle a pericolosità idraulica media (+673 ettari) e da frana (+350 ettari) e nelle zone a pericolosità sismica (+1803 ettari), evidentemente con deroghe che saranno “legali” ma non sono in generale di buon senso. I risultato è che il cemento avanza al ritmo di centinaia di chilometri quadrati all’anno tanto che qualcuno evoca l’immagine che anziché nel parco si passeggerà a piedi nudi nel cemento e sempre di meno nelle aree verdi cittadine. Il dato non è incoraggiante in quanto aumenta lo spreco di suolo soprattutto all’interno delle città italiane. In particolare i dati raccontano che nelle aree urbane ad alta densità solo nel 2018 si sono persi 24 metri quadrati per ogni ettaro di area verde. In totale, quasi la metà della perdita di suolo nazionale dell’ultimo anno si concentra nelle aree urbane, il 15% in quelle centrali e semicentrali, il 32% nelle fasce periferiche e meno dense. La cementificazione avanza senza sosta soprattutto nelle aree già molto compromesse: il valore è 10 volte maggiore rispetto alle zone meno consumate. A Roma, ad esempio, il consumo cancella, in un solo anno, 57 ettari di aree verdi della città (su 75 ettari di consumo totale). Record a Milano dove la totalità del consumo di suolo spazza via 11 ettari di aree verdi (su un totale di 11,5 ettari). In controtendenza Torino che inverte la rotta e inizia a recuperare terreno (7 ettari di suolo riconquistati nel 2018).
Il fenomeno non procede di pari passo con la crescita demografica: ogni abitante italiano ha in “carico” oltre 380 m2 di superfici occupate da cemento, asfalto o altri materiali artificiali, un valore che cresce di quasi 2 metri quadrati ogni anno, con la popolazione che, al contrario, diminuisce sempre di più. È come se, nell’ultimo anno, avessimo costruito 456 m2 per ogni abitante in meno.
Questi sono dati ufficiali 2019 del Rapporto ISPRA SNPA sul consumo di suolo in Italia presentato ieri pomeriggio in conferenza stampa al Senato e che sarà oggetto di un evento presso il MAXXI di Roma il prossimo 21 settembre.
Il consumo di suolo in città ha un forte legame anche con l’aumento delle temperature: dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano, infatti, deriva anche un aumento dell’intensità del fenomeno delle isole di calore. La differenza di temperatura estiva delle aree urbane rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi.
A livello generale lo screening del territorio italiano assicurato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente segna in rosso altri 51 chilometri quadrati di superficie artificiale solo nel 2018, in media 14 ettari al giorno, al ritmo di 2 metri quadrati ogni secondo. Anche se la velocità sembra essersi stabilizzata è ancora molto lontana dagli obiettivi europei che prevedono l’azzeramento del consumo di suolo netto (il bilancio tra consumo di suolo e l’aumento di superfici naturali attraverso interventi di demolizione, deimpermeabilizzazione e rinaturalizzazione).
Roma, con un incremento di superficie artificiale di quasi 75 ettari, è il comune italiano con la maggiore trasformazione ma il fenomeno non è solo dela metropoli, basti pensare che la seconda in classifica è la città di Verona (33 ettari), seguita da L’Aquila (29), Olbia (25), Foggia (23), Alessandria (21), Venezia (19) e Bari (18), tra i comuni con popolazione maggiore di 50.000 abitanti. Tra i comuni più piccoli, si distingue Nogarole Rocca, sempre in provincia di Verona, che ha sfiorato i 45 ettari di incremento.
Più della metà delle trasformazioni dell’ultimo anno si devono ai cantieri (2.846 ettari), in gran parte per la realizzazione di nuovi edifici e infrastrutture e quindi destinati a trasformarsi in nuovo consumo permanente e irreversibile. Anche i dati su scale regionali raccontano la propria storia, il Veneto è la regione con gli incrementi maggiori +923 ettari, seguita da Lombardia +633 ettari, Puglia +425 ettari, Emilia-Romagna +381 ettari e Sicilia +302 ettari. Ma se il dato viene rapportato alla popolazione residente, il valore più alto si riscontra in Basilicata (+2,80 m2/ab), Abruzzo (+2,15 m2/ab), Friuli-Venezia Giulia (+1,96 m2/ab) e Veneto (+1,88 m2/ab). Insomma ad unire l’Italia da nord a sud, isole comprese, amministrazione di centro destra, pentastellata o di centro sinistra in questi anni sembra essere rimasto solo il cemento, nonché l’indiscriminata urbanizzazione del territorio. Dati allarmanti che messi in relazione con alcuni “indici sociali”, come il numero degli sfratti ed il numero di case sfitte, sembrano smentire alcune delle consuetudini verbali più in voga nei telegiornali italiani, tendenti a minimizzare gli effetti della recessione in atto.
A fronte di 4 milioni di abitazioni circa, realizzate negli ultimi 15 anni, nelle grandi città italiane almeno 200.000 famiglie non riescono a pagare il mutuo o la rata dell’affitto. Nelle stesse città dove l’emergenza sfratti è più pesante, quasi un milione di case risultano vuote perché economicamente irraggiungibili da chi ne avrebbe bisogno.
Sono proprio gli ultimi 15 anni che hanno registrato un uso del suolo incontrollato, trasformando l’Italia in un reticolo, visibile ad occhio nudo e neanche con uno sguardo proveniente troppo dall’alto, di informi fenomeni insediativi come estese periferie, sobborghi residenziali disordinati e arterie stradali inframezzate da centri commerciali sempre più grandi, sempre più ingombranti e probabilmente sempre più inutili ai cittadini ma non cero ai portafogli degli speculatori, siano essi “legali” che illegali, perchè alla fine il cemento resta cemento, sia esso vidimato con bolli e autorizzazioni che vidimato dalle piccole e grandi “male” che ammorbano la penisola.