La brezza da nord est fa ormai parte del cambiamento climatico. Uno spiffero da cui non riesci a liberarti

L’anima selvaggia dei friulani “d’antan” ha subito da poco il trauma del promo “io sono Friuli Venezia Giulia” (iosonofvg) e già deve adattarsi alla prevalenza scientifica di una assunzione a “nord est” quale riferimento ben più nobile e significativo. Visto che i contributi di Promo Turismo stanno lentamente sanando le ferite dell’insulto primario vale la pena concentrarsi sulla profondità della nuova incombenza.
Molti friulani pensano che l’insistenza della propagazione del concetto di nord est, ormai abusato da una considerevole quantità di “potenti benpensanti” e quotidianamente gratificato dagli intellettuali di NEM, sia un perfido disegno veneto di annessione geografica di alcuni brandelli di territorio e popolazioni marginali che separano il Veneto Regione, istituzione ma anche identità sociale, culturale ed economica, dai confini dello Stato. Non è peraltro l’aristocratica e dominante Repubblica del Mare a volerlo ma i loro ex sudditi dello “stato de tera” abbarbicati in città e campagne e capaci di cogliere i frutti della globalizzazione.
Per la verità manca chiarezza sull’estensione di questo nord est, non pare unicamente il vecchio triveneto di Ascoliana memoria, e d’altronde perché non comprendere anche l’Emilia Romagna come nella Circoscrizione elettorale per le elezioni europee? Ma d’altra parte l’aorta italica dell’asse logistico trasportistico Verona-Brennero non è una pura infrastruttura regionale e una qualche integrazione con il nord ovest ce l’ha, oltre che collegare tutto quello che sta a sud. E poi c’è da chiedersi: la “Padania” e le Alpi sono dimensioni trasversali che è lecito tagliare a fette anche nelle loro componenti climatiche, ambientali, orografiche?
Mettiamo di lato i dubbi geografici e proviamo a confrontarci con la dose giornaliera di vento comunicativo che ci solletica.
Una considerazione di partenza mi pone dei dubbi. L’eco sistema economico, sociale, ambientale del nord della Repubblica italiana è si fatto da regioni “naturali” tra loro diversificate che possono aggregarsi sulla base di un comune interesse, quale può essere la gestione di un fiume (ad es. il Po) o le caratteristiche dell’evoluzione manifatturiera (la tendenza all’export-import rispetto a quella tedesca), ma le possibili modalità di integrazione o diversificazione sono talmente variabili da rendere impossibili sintesi razionali. A parte la banale considerazione che “più grandi si è, più si conta” non vedo altro.
E allora da cosa nasce questa invasività “ideologica” del nord est? A mio parere ne è alla base la diffusa percezione, emergente sia in forme coscienti ed incoscienti sia in spropositate reazioni di opposizione, della sostanziale decadenza dello stato nazione come luogo di sovranità utile esercitabile ai fini di un qualche “interesse nazionale” aggiornato e significativo. L’affermazione “nord est” ha un senso se significa non solo una collocazione dentro lo stato italiano ma anche all’interno dei nord e degli est che sono fuori dei confini dell’attuale stato e con cui bisogna relazionarsi ed integrarsi.
Questa aspirazione, dopo l’uso improprio fattone ai tempi dell’impero Piemontese, era da lungo tempo una connotazione organica (ma periferica) di alcuni territori di confine (Trieste, Friuli, Trento e Bolzano, Belluno) che vi hanno speso risorse culturali, economiche e politiche nei limiti delle proprie competenze e potenzialità. Oggi tale spinta “centrifuga” si è allargata, nuovi aspiranti attori calcano la scena e si dotano di nuovi copioni. Se a questo aggiungiamo la fantastica geo politica di Caracciolo che vede l’interlocutore USA abbarbicato sull’asse Trieste, Aviano, Vicenza per controllare la nuova Europa Atlantica, non si può non rimanere affascinati dalla prospettiva che acuti soggetti territoriali possano intravvedere.
La “bomba grappolo comunicativa” del gruppo editoriale NEM va interpretata anche in questa direzione, e, per quanto riguarda gli “agenti promotori veneti”, lo sbocco praticabile dello scenario logistico non è più solo il Brennero ma si moltiplica nel dirigersi su un ben più ampio e articolato orizzonte che va perlomeno da Tarvisio a Trieste. Quarte corsie e prosecuzione della pedemontana veneta oltre il Tagliamento fanno da supporto ad una proiezione di matrimonio con il classico corridoio Baltico Adriatico sostanzialmente estraneo ad una visione italica.
Per i periferici friulani dove può nascondersi il pomo della discordia? L’integrazione delle capacità manifatturiere nordestine procede indipendentemente dalle possibilità di intervento delle autonomie dei soggetti Regionali e Provinciali differenziati e il Prosecco domina su colline e pianure. Ma forse un frutto avvelenato da capire sta nella necessità di qualcuno che pensi e che comandi. Magari un moderno “consiglio dei dieci” modulabile a fisarmonica e capace di sfruttare tutti i think tank che scrutano la realtà.

Alla fin fine toccherà adattarsi
A mio parere tra le diverse aree del mitico nord est oggi c’è un differenziale barometrico dell’offerta qualitativa di risorse umane dirigenziali in grado di confrontarsi decentemente con il nuovo mutevole quadro di prospettive presentate dalla post modernità. I territori “storici” di confine hanno esaurito i loro “stock” di attori di livello apprezzabile. Nella politica, a parte qualche “triestino” tenuto in vita da periodici aliti di bora (e tra questi annovererei anche il Fedriga), in Friuli-Venezia Giulia non c’è quasi traccia di capacità interpretative del territorio così come in Trentino-Sud Tirolo ci si adatta a cacciatori di orsi e tedeschi collaborazionisti per un improbabile nuovo statuto di autonomia pattuito da FdI e Sudtiroler Volkspartei. Nei “padroni manager” e nelle loro categorie non mi pare vada meglio.
E’ a partire da questo vuoto che la dinamica socio-culturale veneta (e non solo) si può proporre come classe in grado di dirigere processi che possano riguardare una vasta area geografica di inter connessione europea.
Rimanendo a casa nostra, oltre ad un ceto politico al potere che riesce unicamente a riproporre il ripristino delle vecchie provincie prefettizie, non si può fare a meno di segnalare l’abdicazione di gran parte di settori imprenditoriali di peso alla guida intelligente dei propri asset, il dilatarsi della presenza dei fornitori di servizi a rete in gangli di comando di dimensione perlomeno padana, la occupazione quasi coloniale di settori culturali (ad es. università) e sociali (sanità) nelle loro espansioni tra pubblico e privato. Tutto ciò, in termini di rappresentanze pensanti, dà l’idea della fine di una “gloriosa” storia che in qualche modo si era costruita avendo come riferimento la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Oggi un ineffabile ma risoluto nord est post Westfaliano si vuole proiettare oltre le sue tenute di “Prosecco” e sembra capace di produrre intellettuali e dirigenti in grado di dettare le ricette. Se son rose fioriranno.
Per noi, al di là degli incontentabili e dei mugugni di rito, poco male. In fin dei conti è improbabile che possano determinarsi riferimenti formali di modifica istituzionale. Difficile che arrivi un luogotenente ad abitare nel Castello di Udine. Basta sapersi accontentare e gestire le pieghe di sudditanze che sempre si sono presentate nella storia.
Il popolo non si lamenta. Possiamo godere di governatori che vigilano sulla nostra sicurezza minacciata dalle masse di immigrati. Il futuro prevalente di ottuagenari non deve poi spaventarci se sapremo fare un po’ di movimento sportivo e magari auto-compiacerci di innocui riconoscimenti di carattere linguistico. E’ peraltro bene che giovani svegli vadano a farsi un po’ di esperienza all’estero pensando a diventare direttori d’orchestra nel domani. Per ora il lago del nord est può produrre altrove le sue classi dirigenti e tutto sommato non è detto che gli indigeni abbiano troppo a soffrirne.

Giorgio Cavallo