La propaganda di guerra offusca la verità e gli algoritmi ne amplificano l’effetto. I social bolle di idiozia popolate da utili e contenti idioti
Come ci diceva Eschilo nel 550 a c la verità in una guerra è la prima vittima, ed anche il conflitto fra Russia e Ucraina non sfugge a questa affermazione difficilmente contestabile. In questo caso la disinformazione è talmente palese che lascia davvero interdetti a cominciare dalla negazione imposta da Putin a chiamare la guerra… guerra utilizzando la definizione di “operazione militare speciale” con pene detentive fino a 15 anni per chi osa pronunciare quella parola di verità. «Se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora probabilmente è un’anatra», così se fioccano missili, bombe e proiettili e cadono su città e persone, è guerra. Di speciale c’è solo la campagna di propaganda. Ma del resto come in ogni conflitto si devono fare i conti con disinformazione e reciproche macchine della propaganda e le notizie che provengono dal fronte di guerra sono tutte in contrasto fra loro per effetto della disinformazione incrociata messa in campo, sia dai russi, sia dagli ucraini. Solo la presenza sul campo di alcuni giornalisti indipendenti e soprattutto di migliaia di filmati e fotografie che arrivano dai teatri degli attacchi, pur consigliando prudenza, rendono non impossibile comprendere con ragionevole sicurezza la realtà di quanto avviene. Quello che è certo è che i russi, lentamente e inesorabilmente, stanno stringendo in una morsa l’intero Paese, bombardando le città e provocando un numero elevatissimo di morti e feriti. Certezza alla quale si accompagna spesso un ovvia amplificazione delle perdite per impietosire maggiormente le opinioni pubbliche occidentali. Un vero orrore in ogni caso, al quale si contrappongono notizie di forti perdite, ovviamente negate, anche fra le fila dei militari russi. Nulla di imprevedibile dato che la propaganda bellica ha avuto in passato e ha tuttora un ruolo fondamentale in tutti i sistemi, una propaganda che alla fine tende a giustificare l’escalation di violenza che affligge il nostro pianeta. Nulla di nuovo sotto il cielo, la violenza c’è sempre stata perché è inerente al sistema in cui viviamo, negarlo facendo gli struzzi non mette al riparo. Ma il tema propaganda e disinformazione, almeno negli ultimi quattro lustri, ha visto entrare in gioco con progressione crescente un nuovo attore il web e il contorno malefico dei social. Chi non ricorda il fatto che nel 2006 la prestigiosa rivista «Time» incoronò persona dell’anno «You»: «You control the Information Age. Welcome to your world» si leggeva in copertina. Il settimanale, pubblicò come immagine di copertina un computer con uno specchio al posto dello schermo e tutti noi potevamo vederci in copertina. Insomma l’internauta come protagonista dell’esplosione della democrazia digitale”. Ma è davvero cosi? Siamo davvero noi utenti a controllare l’informazione grazie alla rete? A ben vedere, quello che gli esperti chiamano il «rumore di fondo della menzogna» ha preso il sopravvento, disorienta i cittadini e ne influenza le decisioni. Un rumore di fondo che offusca ma non è auto-generato, ma sapientemente pilotato da abili dispensatori di fake e ideologie vera farina del diavolo. Così quello che molti pensavamo potesse essere specchio delle verità è diventata, grazie a tecniche sempre più sofisticate, un modo per sfruttare la tendenza dilagante da parte delle persone di sviluppare le proprie opinioni dal web non sulla base di fatti, ma di fattori emotivi. Questo vale per tutto quello che circola in rete, dall’ingenerare bisogni commerciali inesistenti, all’ideologia, soprattutto sui social che aggiungono a tutto questo la “personalizzazione” sulla teorica base degli interessi comuni e delle “amicizie” delle persone, Un cocktail nel quale la propaganda di guerra si tuffa. Ma quello che è assurdo che è riconoscibile ma non per questo riconosciuto, perchè punta a rafforzare le convinzioni personali fornendo “carburante dedicato” non importa se in odore di falsità, tanta e la voglia di darsi ragione. Sono vere e proprie bolle insiemistiche costruite intorno agli algoritmi filtro che, insieme alla tendenza dell’uomo al conformismo, portano gli utenti social a interagire solo con chi la pensa come loro. Così a furia di parlare con chi condivide le nostre stesse opinioni, queste ultime possano diventare ancora più estreme e si mascherano di verità assolute, quando non diventano fenomeni di vera e propria “fede”. Del resto molti fatti sono presentati con toni sensazionalistici proprio per non passare inosservati e spesso questo tratto diventa più rilevante dell’attendibilità stessa di quello che viene presentato. In altre parole molte fake news, vengono veicolate per non passare inosservate ad uso di chi le attende per rafforzare le proprie convinzioni, anzi sono sguaiate e non ci si preoccupa della loro veridicità perchè si rivolgono a chi vuole essere rassicurato di essere nel giusto. Così diventano bolle di idiozia popolate da utili e contenti idioti. Le notizie di propaganda false o parzialmente vere sono sempre esistite ma ciò che è cambiato rispetto al passato è che grazie alla rete vengono poste sulle stesso piano fonti autorevoli e non, ciò spiega la peculiarità e dunque la portata del fenomeno. I social in particolare danno voce alle istanze più disparate, amplificandone l’eco, non solo nei fatti di guerra, così fenomeni anche marginali diventano, nell’immaginario collettivo, il “problema”. Basti pesare al tema migranti sul quale si sono basate fortune elettorali demagogiche e populismi insensati e oggi, con il rombo del cannone alle porte, ci sono pezzi della società che non riescono più a discernere fra il vero e il falso e nello smarrimento della paura perdono la pur minima residua capacità di giudizio. insomma siamo all’affermazione “speriamo che io me la cavo” pronunciata prima di ficcare la testa nella sabbia.