La Venezia Giulia storica e il Donbass odierno
Mattarella parlando a Trieste in occasione della firma per l’affidamento del Narodni Dom alla comunità slovena ha parlato della vicenda russo-ucraina attuale come di un ritorno delle logiche ottocentesche nell’affrontare le questioni nazionali. Sul momento mi è parsa una citazione impropria, è stato il 900 il secolo in cui la dirompenza del cancro del nazionalismo ha prodotto i suoi crimini certificati. Duecento anni fa si confliggeva in nome della “libertè ed egalitè” contro l’assolutismo, lo stato nazione era un opzional che solo il 1848 avrebbe cominciato a portare all’onore del dibattito. Ma riflettendoci un po’ mi sono detto che forse Mattarella una qualche ragione ce l’ha: l’invenzione della Venezia Giulia di G. I. Ascoli cosa altro era se non un prototipo di tante altre vicende susseguitesi nel corso di 150 anni ed oggi riesumato in Donbass? La Venezia Giulia di fine 800 era progettata per garantire la sicurezza dell’infante stato italiano, ritenuta militarmente necessaria per la difesa e per contare qualcosa nei Balcani, come, a partire dal Patto di Londra, dimostreranno le due guerre mondiali 1915-1945, nonché per iscriversi al club delle potenze imperiali. Che in quella Venezia Giulia vivessero anche popolazioni di lingua madre italiana, magari in minoranza rispetto ad altre, dava un bel vantaggio competitivo da coltivare con entusiasmi irredentisti. Nello specifico, dimenticando altre italianità ben più radicate come nel Canton Ticino e a NIzza. Commento che oggi appare assurdo ma calzante nel capire la frenesia da conquista a nord est . La guerra russa di invasione dell’Ucraina ha motivazioni proprie radicate nella storia e nelle attuali egemonie economiche, sociali e politiche piuttosto che nelle diatribe di carattere etnico e nazionale, ma ancora una volta queste ultime vengono utilizzate in misura massiccia dalle macchine della propaganda e, perlomeno dal lato russo, sembrano abbindolare la stessa percezione di massa. Nel frattempo la Venezia Giulia di Ascoli non esiste più, nella sua gran parte sono scomparsi gli italiani, ci sono due quasi puri stati nazione, sloveno e croato, e quei pirla di friulani, che comunque in questa vicenda in qualche modo c’entravano, sono sopravvissuti come tribù fedele alla “grande patria” di cui guardano i confini accontentandosi di un po’ di folklore linguistico. Già il 900 ha visto nelle pianure e nei boschi ad est e ad ovest del Dnepr-Dnipro una sfilza di cambiamenti di identità degli abitanti e così probabilmente andrà a finire anche questa volta nel Donbass e negli altri territori coinvolti più o meno direttamente dalla guerra. La doppia partita dei profughi evidenziata dal 2014 (verso la Russia e in misura maggiore verso l’Ucraina dalle zone dichiaratesi indipendenti) continuerà su scala maggiore e magari verrà regolata da qualche falso trattato di pace benedetto dalla comunità internazionale. Sta proprio qui il fallimento di un sistema mondiale basato sulla sovranità degli stati nazione, oggi tutti impegnati nel partecipare, come protagonisti o comparse, alla costruzione di qualche impero. Incapaci nel contempo di affrontale le sfide che l’umanità e la stessa terra possono risolvere solo in maniera congiunta, dal clima alle pandemie, dalla salvaguardia delle risorse naturali a quella delle culture di interpretazione della realtà. La risposta di potenza, fino all’olocausto nucleare, e il ritorno della guerra di conquista di cui oggi la Federazione Russa è titolare, devono essere esclusi dai rapporti possibili e devono trovare forme nuove di organizzazione dei luoghi di decisione delle relazioni umane. Dall’ottocento ad oggi le nazioni, quale spazio di crescita di auto riconoscimento di comunità, hanno prodotto risultati di miglioramento dell’umanità da conservare e migliorare, ma il veicolo dello stato nazione come organizzazione della sovranità ha ormai fatto il suo tempo e dovrà trovare una sua storica successione in un nuovo equilibrio tra generale e locale al servizio di tutta l’umanità. In altre parole la sovranità non è più una virtù e va resa impraticabile. Anche le nazioni così potranno svolgere quel loro compito di costruzione di civiltà e di bio diversità che ci è indispensabile per la sopravvivenza. Giorgio Cavallo