Medio Oriente: forse c’è accordo per il rilascio di parte degli ostaggi. Intanto si delineano alcune “soluzioni” per il futuro dei civili di Gaza

Primo spiraglio,  il Qatar avrebbe, il condizionale è d’obbligo,   trovato un accordo per l’evacuazione degli ostaggi con doppia nazionalità e feriti. I transiti dovrebbero passare per il valico di Rafah. La mediazione sarebbe passata in coordinamento con gli Stati Uniti, questo spiegherebbe l’arrivo del segretario di Stato Usa Antony Blinken che venerdì sarà in Israele per incontrare nuovamente i vertici del governo. In sostanza mentre proseguono le operazioni militari dentro la Striscia la diplomazia muove i suoi passi e si delinea timidamente una possibile soluzione se pur decisamente in salita. . Secondo Bloomberg infatti americani e israeliani starebbero valutando e pare parlando con i paesi arabi “moderati” o presunti tali,  di varie opzioni, la prima  la possibilità di dispiegare una forza multinazionale nella Striscia di Gaza una volta che lo Stato ebraico avrà terminato le sue operazioni di “bonifica”  con lo  smantellamento di Hamas manu militari. La seconda prevederebbe lo schieramento di una forza di peace-keeping, come quella pensata per monitorare il rispetto del Trattato di Pace tra Israele ed Egitto dopo il 1979 con il  coinvolgimento temporaneo dell’Onu. Ma non solo di “futuro” parla la diplomazia , ma anche di presente e cioè della sorte dei civili abitanti della Striscia. La loro salvezza passerebbe attraverso  un paio di possibili opzioni che prevedono comunque l’abbandono dei territori di Gaza. L’opzione uno sarebbe quella di  un trasferimento  dei palestinesi in fuga  nel Sinai convincendo il riottoso governo egiziano di Abdel Fattah Al-Sisi offrendo in cambio  di cancellare, attraverso la Banca Mondiale, una porzione significativa del debito dell’Egitto. Opzione al momento poco praticabile perchè il dittatore egiziano si sarebbe detto contrario avanzando una controproposta. Il trasferimento dei profughi palestinesi in campi in territorio israeliano in una porzione del  deserto del Neghev che occupa una superficie  pari al 60% circa dello stato di Israele ma, vista l’inospitabilità del luogo, è un deserto appunto, ospita solo il dieci per cento circa della popolazione israeliana. Il Neghev è delimitato a ovest dal confine israelo-egiziano e dalla striscia di Gaza, a est dalla valle dell’Arava e a nord dalla linea Gaza-En Gedi, sulle sponde del mar Morto. Si tratterebbe di una soluzione che vedrebbe nascere l’ennesimo campo profughi spostando di fatto la disperazione da un luogo ad un altro.  In realtà questa soluzione paventata dall’Egitto sarebbe una provocazione funzionale ad alzare il “monte” delle richieste per sobbarcarsi l’arrivo di almeno un milione di palestinesi nel Sinai.  In sostanza non solo cancellazione del debito ma anche miliardi sonanti per la gestione del flusso.  Ma c’è un altro ostatcolo che frena gli egiziani. La possibilità di importarsi in casa seguaci di Hamas che alla fine potrebbero destabilizzare il regime egiziano, e questo Al-Sisi non potrebbe davvero permetterlo.