Mini naja: una fregatura da dodici crediti
Dalla Lega, passando per Forza Italia (proponente), M5S e PD, è stata votata alla Camera a larghissima maggioranza la proposta di legge per l’istituzione della così detta “mini-naja”. Di che si tratta? Non certo di una naja, per quanto “mini” come hanno titolato i media mainstream corredando gli articoli con foto di soldati in marcia: la leva militare o civile era obbligatoria.
Ammesso che passi anche al Senato, ed è certo considerata la trasversale maggioranza conquistata alla Camera, questa legge permetterà ai giovani italiani di ambo i sessi, di età compresa tra i 18 ed i 22 anni, di partecipare volontariamente a sei mesi di “percorso formativo in ambito militare”.
Non marce, montaggio e smontaggio di armi, poligoni, guardie armate o quant’altro possa essere immediatamente ascrivibile all’attività militare in senso stretto.
Nel testo di legge, non si parla nemmeno di mimetica ma solo ed esclusivamente del fatto che i/le giovani, a seconda dell’età e del titolo di studio, potranno svolgere le attività formative all’interno di strutture militari: accademie, caserme, centri operativi delle quattro Forze armate.
Non è previsto nessun compenso ma solamente la garanzia del vitto e dell’alloggio (pagati, come tutto il programma, con risorse del ministero di Economia e Finanze) nei periodi di permanenza presso suddette strutture.
Sono previste inoltre visite guidate per entrare in contatto con “l’eccellenza del comparto industriale connesso ai settori della difesa e della sicurezza”; viaggi studio presso le maggiori istituzioni presenti in Europa “individuando forme di collaborazione transnazionale con organizzazioni di altri Paesi” e partecipazione, in qualità di osservatori, ad esercitazioni di cybersicurezza organizzate dal Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence della NATO.
Il percorso formativo sarà organizzato dal Centro alti studi per la difesa e verterà principalmente sul trasferimento degli “alti valori connessi alla difesa delle istituzioni democratiche del Paese attraverso lo strumento militare in Italia e all’estero”; la conoscenza “delle principali minacce alla sicurezza interna ed internazionale” anche attraverso seminari di studio organizzati dai servizi segreti; lo studio “dell’architettura istituzionale preposta alla protezione cibernetica nazionale” e l’acquisizione di “conoscenze in tema di cooperazione strutturata permanente nell’ambito della difesa europea (Pesco)”.
Traducendo dalla neolingua verranno trasferiti ai giovani partecipanti tutti i concetti base che sostengono la nostra belligeranza permanente: dalla bontà e necessità dei bombardamenti verso Paesi terzi in ambito Nato per esportare e difendere la democrazia alla opportunità di difendere gli interessi nazionali ovunque questi siano minacciati; dalla comprensione di quanto sia strategica l’eccellenza della industria bellica nazionale a quanto sia importante promuoverla sui mercati globali ed europei. Il tutto condito con una bella strizzata d’occhio: voi, ragazzi e ragazze, potrete far parte di tutto questo o nelle Forze armate o nell’industria di riferimento…
Alla fine del percorso i giovani riceveranno un attestato che darà diritto alla “riscossione” di 12 crediti formativi in ambito universitario e ad un titolo utile ai fini della nomina di ufficiale di complemento. Una bella fregatura considerato che oggi con 300 ore di tirocinio l’Università riconosce lo stesso numero di crediti e che l’ufficiale di complemento è una figura scomparsa con la sospensione della leva.
Nessun signorsì quindi ma qualcosa di molto peggio: da una parte una preselezione per tentare di rimpolpare i ranghi, possibilmente con personale qualificato, delle Forze armate e dall’altro l’avviamento professionale verso l’hitech bellico con un occhio di riguardo verso l’elettronica e la cyberwar.
Chi oggi si straccia le vesti per un rischio di ritorno al passato stia tranquillo: la forma professionale delle Forze armate, ufficialmente approntata per sostenere le missioni militari nel quadro della belligeranza atlantica e garantire uno sbocco di mercato alla nostra industria bellica in crisi dopo la caduta del muro, non sarà minimamente intaccata ed anzi verrà potenziata con questo provvedimento.
Nessun obbligo ricadrà sulle spalle dei giovani e delle giovani. A fare la guerra (moderna, democratica e umanitaria) ci penseranno sempre i volontari professionalizzati, i soldati di mestiere. L’apparente paradosso è infatti proprio questo: né con la vera naja né tanto meno col servizio civile alternativo i governi atlantici di centro-destra-sinistra avrebbero potuto spedire a piacimento, a destra e a manca per il mondo, uomini o donne in divisa.
Il nostro moderno corpo di spedizione hitech è salvo e con esso l’opzione di farne parte.
Gregorio Piccin