‘Ndrangheta, colpo alle cosche Piromalli e Molè: 49 arresti a Gioia Tauro, ai domiciliari anche un finanziere e un prete
Questa mattina Gioia Tauro si è svegliata con un tripudio di lampeggianti blu. Decine di carabinieri sono statui impegnati a dare attuazione all’inchiesta “Hybris” che ha portato all’arresto di 49 persone (34 in carcere e 15 ai domiciliari) e al sequestro di beni per circa un milione di euro. Nel blitz sono finiti boss e luogotenenti delle cosche Piromalli e Molé, le due famiglie di ‘ndrangheta che dopo un lungo periodo di guerra dopo l’omicidio di Rocco Molé avvenuto oltre 14 anni fa si sono riavvicinate proprio alla vigilia della scarcerazione Pino Piromalli detto “Facciazza”. Una pace secondo le risultanze investigative suggellata in un summit organizzato nel dicembre 2020 all’interno del cimitero dove si è discusso degli equilibri mafiosi tra i due clan e della ripartizione del “mercato” delle estorsioni. Con l’operazione di oggi, che è il seguito dell’inchiesta “Mala Pigna”, il pm Paola D’Ambrosio contesta numerosi reati: dall’associazione a delinquere di stampo mafioso al concorso esterno con la ‘ndrangheta passando per due tentati omicidi, numerose estorsioni, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, danneggiamento seguito da incendio, turbata libertà degli incanti e importazione internazionale di droga. “Il quadro che restituisce l’indagine – si legge nelle carte – è quello di una consorteria di ‘ndrangheta perfettamente oliata e funzionante, impegnata nello svolgimento di attività tradizionalmente mafiose, quali in primis le estorsioni”. Non è un caso che, nell’ordinanza di arresto, il giudice per le indagini preliminari ha sottolineato “la sistematica attività estorsiva ai danni degli imprenditori”. L’inchiesta ha consentito al procuratore Bombardieri e al pm D’Ambrosio di ricostruire gli assetti funzionali dei Piromalli e dei Molé, facendo luce non solo sulle estorsioni ma anche su altri settori di interesse della ‘ndrangheta che controllava il mercato del pesce di Gioia Tauro e regolava la gestione immobiliare della zona industriale del porto: chi non era gradito non poteva partecipare alle aste giudiziarie per l’assegnazione degli immobili. Affari ma anche potenza di fuoco. Dalle risultanze investigative è emerso, inoltre, che i Piromalli avevano disponibilità di armi anche da guerra. In carcere sono finiti i maggiorenti delle due cosche. Se “la famiglia”, come vengono chiamati i Piromalli, ha incassato l’arresto di Girolamo Piromalli detto “Mommino” (ritenuto la figura apicale del clan), Salvatore Copelli, Aurelio Messineo, Francesco Cordì, Rocco Delfino detto “U Rizzu”, Arcangelo Piromalli, Cosimo Romagnosi e Antonio Zito detto “u Palisi”, per i Molé il gip Stefania Rachele ha disposto l’ordinanza di custodia cautelare per Antonio Molé detto “u Jancu”, considerato il reggente della consorteria, e per Ernesto Madaffari alias “u Capretta”. Agli arresti domiciliari con l’accusa di estorsione sono finiti anche Maria Martino e Grazia Piromalli, rispettivamente moglie e figlia del boss Pino “Facciazza”. La prima si sarebbe fatta consegnare da due imprenditori un piatto doccia, due condizionatori e una caldaia che le servivano perché stava ristrutturando casa in vista della scarcerazione del marito. Una terza vittima, invece, è stata costretta a consegnarle diversi quintali di legna da ardere. Grazia Piromalli avrebbe avuto un ruolo in un’altra estorsione in cui un soggetto, non identificato, avrebbe consegnato alla cosca una mazzetta da 25mila euro. Agli arresti domiciliari, inoltre, è andato pure un finanziere, Salvatore Tosto, che, assieme alla moglie (indagata), è accusato di aver rivelato a un uomo del clan, Cosimo Romagnosi (arrestato), l’esistenza di un’indagine a suo carico. Il gip ha disposto i domiciliari pure per un prete: sono scattate le manette, infatti, per don Giovanni Madafferi, parroco della chiesa “Santa Maria Assunta” di Castellace. Per la Dda avrebbe attestato “falsamente, in certificati destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria, qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell’affidamento in prova”.