Nelle fosse comuni di Bucha è finita anche la residua dignità dell’occidente democratico
Ci sono tanti aspetti che rendono la guerra in Ucraina di enorme complessità. In linea generale bisogna dire che se la strategia militare di Putin e apparsa militarmente deficitaria e, al netto degli orribili massacri provocati dalla frustrazione dei soldati in rotta, è andata comunque oltre l’inumanità. La sua strategia geopolitica è invece efficace. Putin aveva messo in conto la possibilità di sanzioni, forse non l’iniziale compattezza dell’Europa, ma sicuramente sapeva che alla lunga, sul piano economico, ad essere a rischio strangolamento sarebbe stata non la Russia ma l’Europa, che non a caso nelle ultime ore ha ricominciato a balbettare. Per non parlare dei brutti segnali che arrivano dall’Ungheria. Infatti quando si portano minacce o si è davvero pronti ad agire, o è meglio stare zitti. Del resto di figuracce l’occidente ne ha fatte a go-go, una più una meno non faceva differenza. L’ultima in ordine di tempo la disastrosa fuga dall’Afghanistan e sempre recentemente il voltafaccia nei confronti del popolo Curdo. Così se da un lato è legittimo gridare alla scandalo per le atrocità, dall’altro, se minacci di smettere di comprare il gas russo e poi non lo fai, perdi di credibilità ed efficacia e non solo agli occhi di Putin. Non basta infatti agitare lo spauracchio delle accuse di criminale di guerra verso Putin additandolo come responsabile delle atrocità commesse dall’esercito russo a Bucha e probabilmente in tante altre località ucraine che hanno visto l’occupazione e poi il ripiegamento dei russi, secondo la teoria, drammaticamente avvalorata anche in questo caso, che sono più da temere gli eserciti in ritirata che quelli in avanzata. Il dubbio è, che ad un mediocre quanto sanguinario dittatore, si sta contrapponendo una mediocre classe dirigente che per decenni si è colpevolmente crogiolata nella culla e con le ninna nanne di un ordine mondiale, che fra globalizzazione e smania di accumulare denaro, si è scoperta oggi, dinnanzi al gelido deserto dell’atrocità dell’uso delle armi, a combattere con parole e minacce prive di efficacia e con il rischio che la moneta accumulata diventi utile solo per generale calore…. bruciandola. Ci sono momenti della storia nei quali le decisioni vanno prese, se non lo fai a colmare il vuoto sarà qualcun altro, a meno di non voler credere alle comode tesi sull’equidistanza. Del resto sono in molti, in maniera strumentale ed utilisticamente cinica, a dare credito ai russi mettendo in discussione l’evidenza delle immagini e delle testimonianze sulle atrocità. Complottisti, dementi e leoni da tastiera di varia provenienza, ma anche tanti che temono di veder traballare, anche solo sfiorare, il tenore di vita raggiunto. Quel benessere occidentale, perfino quello superfluo, vale evidentemente lo strazio delle vittime innocenti ucraine. Un conto è gridare allo scandalo, altro è pensare di dover rinunciare ai piccoli e grandi privilegi dati dall’essere nati casualmente e senza alcun merito personale in un posto anziché in un altro. Inutile illudersi è così. Lo sanno i popoli africani, quelli che definiamo del terzo mondo, che da sempre sono carne da macello e i loro paesi terreno di guerre per procura o di sfruttamento sistematico delle risorse da parte dell’occidente ricco, ma anche da parte di paesi emergenti come la Cina che hanno imparato l’arte e l’hanno messa da parte. Le disuguaglianze mondiali sono la cifra sulla quale si misura la ricchezza dei pochi sulla moltitudine, è un meccanismo fra continenti, stati e classi sociali. Oggi la roulette della storia ha messo l’Ucraina nel tritacarne e sarà difficile che alla fine, nonostante le roboanti dichiarazioni di solidarietà, pace, giustizia, e lotta contro le barbarie condite da richieste di punizione dell’aggressore, il “democratico” e “civile” occidente vada oltre quello che è stato fatto e non solo per paura dell’atomica, ma per paura di perdere privilegi e Pil, in una orrenda catena di San’Antonio, diventando così correi delle atrocità di questa guerra. Facile prevedere che prevarrà il “gas non si tocca” ed era così dal primo giorno, gli ucraini se ne facciano una ragione, perchè siamo stati incapaci da prevedere che su alcune scelte strategiche non si può cedere al mercato e alla finanza. Avevamo avuto il campanello d’allarme “mascherine”, tardivo, ma è evidente che non ne è stato colto il rischio di essere dipendenti da paesi falsamente amici ubriacati dal miraggio del profitto da fare ovunque e comunque. Ed intendiamoci fra questi non ci sono solo la Russia e la Cina, ma anche gli Stati Uniti e il loro slogan “prima gli americani” e purtroppo, duole dirlo, anche alcuni paesi europei. Così occorre la consapevolezza che se la guerra non è la soluzione non lo è certamente mostrarsi pavidi, espellere diplomatici e arrivare al paradosso di finanziare chi spara addosso ai tuoi amici che dici di voler proteggere.