Patto per l’Autonomia dell’Alto Friuli: «Hotspot per migranti in montagna, proposta dai presupposti irricevibili

«Il dibattito politico sul tema dei migranti è ormai dominato da slogan populistici, retorica e incapacità di formulare riflessioni fondate su dati oggettivi: rispetto a una questione caratterizzata da grande complessità, invece di elaborare proposte costruttive, a molti pare più utile amplificarne l’incidenza problematica. Rivelatesi inefficaci le foto-trappole nei boschi di confine, l’ultima esternazione estiva del consigliere regionale Novelli, con disarmante naturalezza, riesce a coniugare due filoni di pensiero: che i migranti vadano isolati e ghettizzati e che il ghetto debba essere trovato in montagna. Una sintesi irricevibile – umanamente ancora prima che politicamente – che il consigliere farebbe bene a ritrattare con tanto di scuse». Inizia così la nota del Gruppo dell’Alto Friuli del Patto per l’Autonomia sul tema migranti dopo il recente susseguirsi in merito di «dichiarazioni e prese di posizione contraddittorie ed inadeguate della maggioranza regionale».

«Identificando la montagna come luogo perfetto per la localizzazione di un hotspot per migranti, Novelli di fatto esplicita la sua visione nei confronti di oltre il 40% del territorio della regione: una landa desolata abitata da poche anime (meglio se vaganti in un collegio elettorale non suo) sulla quale poter “scaricare” un problema, senza arrecare disturbi e turbamenti alle “magnifiche sorti” di altre parti della regione. La nostra contrarietà alla realizzazione di uno hotspot per migranti in montagna non deriva dalla convinzione che queste persone debbano essere respinte prima di varcare i confini, come propone il consigliere Mazzolini, che rinfodera linguaggi di “lotta e di governo”. Non discende neppure da un pregiudizio ideologico contro la presenza in regione di strutture di primissima accoglienza dei migranti in arrivo o in transito, che, rispettose della dignità umana, siano in grado di rispondere concretamente ai bisogni primari, prima del trasferimento verso una accoglienza più strutturata e più diffusa, evitando drammatiche condizioni di sopravvivenza in accampamenti spontanei come nel “silos” a Trieste o sulle rive dell’Isonzo. Riteniamo che sia necessario e urgente rimettere mano alle politiche sull’accoglienza sia nazionali che regionali poiché quelle attualmente operative, al di là della roboante propaganda, si rivelano inadeguate se non dannose.

Senza ipocrisia, dobbiamo riprendere e ripensare l’accoglienza diffusa superando luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi, coinvolgendo le comunità locali dell’intero territorio regionale e tutti i soggetti, pubblici e privati, in grado di collaborare. Dobbiamo far conoscere ai cittadini e agli enti locali, alle associazioni di categoria i risultati positivi della integrazione e della formazione dei migranti: quali il contributo dato dalla manodopera “migrante” alla sopravvivenza di molte realtà aziendali regionali (agricoltura e secondario in primis) e di molti servizi indispensabili, dalla sanità alla assistenza. Secondo noi, bisogna riprendere e ripensare l’accoglienza e l’integrazione, evitando di realizzare nuovi ghetti, utili per costruire strumentali quanto velenosi consensi: istigare astio e discriminazione, può infatti anestetizzare i problemi reali delle famiglie e delle comunità, ma non risolverli.

Infine, un’ultima considerazione sulla questione della montagna friulana, che in primis deve essere assunta realmente dall’intera regione Friuli-Venezia Giulia come uno dei nodi cruciali della propria riflessione politica. Ce lo impongono la situazione socio-demografica, le ricadute del riscaldamento globale, la sanità in ginocchio, i servizi ecosistemici prodotti, lo sforzo di innovazione portato avanti da numerosi soggetti che lì vivono e lavorano. Proprio in questi giorni decine di confronti, iniziative e tavoli di lavoro vengono dedicati al futuro della montagna friulana, alla ricerca di proposte e soluzioni che arrestino il declino demografico e rendano desiderabile il vivere in montagna. Prendendo spunto dalle esperienze positive in atto e dalla voglia di molti giovani di continuare ad abitare in questi territori. Il consigliere Mazzolini dice il vero quando dichiara che molte risorse finanziarie sono state stanziate a favore delle aree montane, ed altre non meno ingenti ne arriveranno nei prossimi anni. Ma è altrettanto vero che, senza una reale e condivisa visione di futuro che produca azioni organiche e di prospettiva a medio lungo termine, questi fondi potrebbero dare risultati effimeri se non dannosi. Se l’episodio dell’hotspot è indicativo di una navigazione litigiosa e a vista della maggioranza regionale sul tema dei migranti, non ci pare di assistere a nulla di diverso sulle politiche montane, caratterizzate da interventi disarticolati se non incongruenti, privi di qualsiasi programmazione, ciechi davanti ai cambiamenti (sociali climatici, ecc.) dei nostri tempi. Grandi infrastrutture e cantieri senza un piano apposito, utile a stabilizzare l’esistente (il ponte di Carnia e il completamento della ciclabile Alpe Adria attendono…) ed in grado di identificare l’entità dei bisogni reali, alla pari del livello di sostenibilità economica pluriennale delle nuove opere; interventi forestali senza uno straccio di piano forestale; schizofrenia energetica e ambientale (idroelettrico a Zuglio sì, idroelettrico a Zuglio no; “via i foresti” ma Siot passa, come gli assalti alla Val del Lago). E la tutela del patrimonio culturale (materiale e immateriale) delle nostre comunità? E per ultimi, ma non meno importanti: quali posizioni sul rapporto tra istruzione, diritto allo studio e formazione nelle periferie montane? Quali idee per una situazione generale di depauperamento di servizi di base, a partire da quelli sanitari? Oltre alla carenza dei medici di base, la montagna risente progressivamente anche delle fragilità (sia in termini di presenza che di continuità) del servizio pediatrico: quale domani per il territorio, quando le famiglie vedono sgretolarsi i fondamenti della tutela dei propri figli, ovvero una delle essenze di ogni idea di futuro?

I soldi da soli non bastano, anche se tanti, e non possono trasformarsi in linfa vitale se non sostenuti da progetti credibili e chiari. Gli anziani delle nostre montagne dicevano che “la cjoca dal pan e piês di chê dal vin” (la sbornia del pane è peggio di quella del vino), mettendo in guardia il prossimo – con la saggezza di chi aveva creato il futuro con enormi sacrifici – dai pericoli di un’inebriante abbondanza (simile a un albergo di lusso in alta quota), rimarcando al contempo la necessità perenne della misura e della responsabilità. Non vorremmo che questa saggezza andasse persa, proprio nel momento storico in cui la montagna si gioca un futuro che non può essere lasciato all’improvvisazione, alla pari di un mondo che bussa alle nostre porte, chiuse solo dalla paura e da chi non ha parole di senso per rispondere».