Perche i poveri votano a destra

Monfalcone, città industriale importante, sia in Regione che a livello Nazionale, e conosciuta per le eccellenze prodotte dai lavoratori chiamati “Maestri” del mare. Le capacità professionali, di conoscenza, di esperienza, il lavoro di gruppo di questi Maestri, non sono riconosciute a sufficienza, sono pagati poco. Monfalcone città delle navi bianche, è diventata la città con il reddito più basso, con un grande problema di diseguaglianze in crescita. Un paradosso, che non venga chiesta più redistribuzione, più eguaglianza, che attraversa, anche, tutta la politica. L’attenzione non ruota più attorno alla ricchezza, al reddito o alle tasse: non più divisi in classi sociali, ma divisi in identità culturali. Le campagne elettorali si vincono con battaglie simboliche su religione, immigrazione e valori tradizionali, più che su salari e welfare. Una frattura culturale più visibile rispetto a quella economica, che può spingere un operaio precario a sentirsi parte di un’identità conservatrice piuttosto che di classe. Infatti, le classi popolari, storicamente legate alla sinistra votano sempre di più a destra. E diventata una guerra tra visioni opposte della società: da un lato i progressisti multiculturali, dall’altro i conservatori legati a identità locali religiose, tradizionali, su questo si gioca la partita della democrazia. La destra ha capito e sfruttato strategicamente questo meccanismo, ripetendo e amplificando il “noi” contro il “loro”. Invece di proporre programmi economici e il governo dei processi, ha investito per mettere il cittadino locale contro l’immigrato, il lavoratore locale contro quello in appalto, per dividere sui costumi, sulle religioni, una forma di propaganda che non mira a convincere, ma a radicalizzare, rafforzando l’appartenenza e lo scontro. Il lavoro, i lavoratori fatti diventare il problema, la causa. Fa parte della strategia non dire la verità sui lavoratori migranti, tutti regolari cercati e chiamati dalle aziende locali, con il permesso dei vari governi e della regione, perché la destra guadagna terreno proprio su chi più ha da perdere. Partiti di destra, che oggi sono al governo, locale e nazionale, sono i responsabili delle decisioni sulle sorti delle aziende, hanno in mano il futuro, mentre fanno una falsa opposizione locale, per interesse partitico, sulla pelle della città. Eletti con le regole democratiche, dal di dentro, svolgono un lavoro costante di usura delle regole democratiche. Di pari intensità dell’ascesa delle destre si registra la difficoltà delle altre forze politiche. Iniziata con l’assenza nei processi di globalizzazione, continuata con il distacco dai processi in corso, che si parli della questione energetica, di quella migratoria per lavoro, di quella giovanile, come quella del lavoro e dei lavoratori. Una sottovalutazione dei processi, dei cambiamenti, delle conseguenze, e del niente tornerà come prima. Gli interventi che ci sono stati, sono avvenuti a rimorchio, nei tempi e nel terreno scelto delle destre. Una posizione ininfluente che i cittadini hanno giudicato con l’astensione, con la mancanza di fiducia nel voto. Finché, le altre forze politiche, che oggi si chiamano civiche, moderate o progressiste, si fermano ai lavori di facciata ognuno nel suo recinto e continueranno a non affrontare le diseguaglianze, i diritti, il rispetto delle leggi, le identità tutte, continueranno a perdere proprio nei loro elettori. Pretendere l’uniformità significa ignorare questa complessità, le differenze sono una caratteristica di questa società, sono strutturali, bisogna essere capaci di armonizzare questa molteplicità. Viviamo in un sistema politico e sociale che scoraggia il pensiero e il dialogo che potrebbe portare a visioni costruttive. E un sistema che porta a sfogare le proprie frustrazioni invece che ha gestirle in modo creativo, un sistema che tiene separate le persone. In mancanza di visioni si sta male. I processi sono in corso, i lavoratori c’erano, ci sono, ci saranno e in qualche modo si rialzeranno. Questo ampio arco di forze, ascoltando il disagio, comincino a costruire, a dire e fare qualcosa di sinistra, che manca da venti anni. Da qualche parte bisogna cominciare: come trasformare il lavoro in opportunità di benessere per i lavoratori, per il territorio; come rivendicare i 670 tecnici che erano previsti presso ex albergo operai; come sanare la discriminazione legata alla mancanza di 2700 posti spogliatoi (erano previsti per il settembre 2021) che è anche una questione di salute pubblica; come l’utilizzo di soli materiali sicuri per la salute dei lavoratori, mettendo la prevenzione come discriminante. Un modo per cominciare a mettere in discussione il sistema, che è la causa. Un modo per aiutare a reinventare la Monfalcone di domani dove l’orgoglio della città diventino le lavoratrici, i lavoratori, le persone, le vere eccellenze.
Luigino Francovig