Qualità della vita “Il sole 24 ore”. Trieste violenta?

E’ lunedì mattina e un cittadino triestino indugia in un elegante bar cittadino, prima di riprendere la settimana lavorativa. Ha appena trascorso il penultimo weekend antecedente alle festività natalizie, facendo shopping nel salotto buono del capoluogo regionale, sfarzosamente addobbato, che ormai pullula di turisti in ogni periodo dell’anno. Sfoglia un quotidiano e si accorge che la classifica della qualità di vita nelle città italiane, pubblicata annualmente da “Il sole 24 ore”, vede Trieste perdere ben 7 posizioni rispetto all’anno scorso, piombando al diciannovesimo posto quando nel 2021 guidava la graduatoria.
Approfondisce la lettura e scopre che in tema di giustizia e sicurezza la città si attesta addirittura al 99° posto, preceduta da realtà del meridione storicamente problematiche come Catania e Catanzaro e appena un gradino sopra Palermo. Ferito nel suo orgoglio campanilistico, il povero triestino prova a trovare conforto nei media locali, che sfornano a nastro articoli di cronaca nera, e si convince di vivere in un luogo con un livello di sicurezza simile al Bronx degli anni 70. Ma è proprio così? A quanto pare si, ma solo se si commette l’errore di dare ascolto solo alla pancia! “The belly rules the mind” (la pancia governa la mente) recita un antico proverbio ed enfatizzare il tema del decadimento della sicurezza urbana, associandolo a fenomeni percepiti come incontrollabili dagli organi deputati, è un’ottima strategia per spostare il dibattito su un piano emotivo e immediato, spesso legato alla paura, che produce fame compulsiva di interventismo a scapito della capacità di analizzare i fatti attraverso una visione più ampia e critica della realtà sociale. Questo scenario risulta ideale per fornire alibi alla politica che, cavalcando una sensazione di perenne emergenza, giustifica l’assenza di una pianificazione lungimirante. Le autorità di pubblica sicurezza hanno ancora il pieno controllo dell’ordine pubblico
a Trieste, che rimane una delle realtà urbane più sicure del Paese per quanto attiene a microcriminalità e reati predatori, al prezzo degli enormi sacrifici delle donne e degli uomini delle FF.OO. che svolgono proficuamente la loro missione, malgrado i recenti investimenti sulla sicurezza siano orientati più su provvedimenti di natura ideologica che su progetti strutturali di concreta efficacia. Questo vuol dire che va tutto bene? Assolutamente no! Il report annuale della CGIA di Mestre rivela che il Friuli Venezia Giulia sia al quarto posto in Italia per denunce di estorsione presentate, mentre Trieste si trova al sedicesimo posto in Italia con una crescita del 148,1% negli ultimi dieci anni.  Tuttavia nessuno parla di criminalità organizzata e la parola “mafia”, in tutte le sue declinazioni regionali, è sparita dalla dialettica politica locale e nazionale. Il territorio giuliano, soprattutto nell’indotto generato da attività portuale e cantieristica, conserva un fiorente tessuto economico e commerciale che stuzzica l’appetito delle cosche. Ridurre il concetto di sicurezza ai soli reati predatori e alla microcriminalità,
trascurando problematiche più ampie, può compromettere seriamente la capacità di Trieste di mantenere un equilibrio sociale ed economico stabile. La sicurezza è un sistema complesso che include fattori come la coesione sociale, la qualità delle infrastrutture, la trasparenza amministrativa e la capacità di attrarre investimenti attraverso la fiducia nelle istituzioni. Concentrarsi esclusivamente su episodi di microcriminalità, da affrontare comunque con la dovuta fermezza, rischia di distogliere l’attenzione da minacce più strutturali, come la criminalità organizzata, il degrado urbano o la cattiva gestione delle risorse pubbliche, che
incidono profondamente sulla percezione di stabilità di un territorio. Trieste deve essere percepita come una città sicura non solo sul piano della legalità, ma anche su quello della governance e della sostenibilità a lungo termine. Mantenere uno standard accettabile di sicurezza risulta inconciliabile con la pretesa di remotizzare la prevenzione dei reati, di offuscare il ruolo centrale della Polizia di Stato nel controllo del territorio, sovraccaricando i suoi ormai esigui organici di incombenze non sempre pertinenti alle competenze distintive. Tutto ciò genererà prima o poi un allontanamento delle istituzioni dalla società civile,
in antitesi con i concetti di prossimità e partenariato civico essenziali per il buon funzionamento del complesso sistema sicurezza.
Francesco Marino Segretario Generale Provinciale (Siulp) Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia