Regione Friuli-Venezia Giulia: non solo una corsa per la vittoria
Una analisi disincantata da per scontato il risultato elettorale delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e per il Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia. Non solo per i sondaggi. Il meccanismo del voto è tale che gli eventuali dubbi sul risultato “agonistico” appartengono unicamente a probabilità legate ad eventi imprevisti. Tuttavia, se astraiamo dalle vicende legate alle dinamiche partitiche ed a quelle delle carriere politiche, questa fase pre voto può rappresentare una occasione unica per una pubblica opinione, solitamente distratta e nauseata dalla decadenza del sistema istituzionale e politico, per domandarsi a quali percorsi ed obiettivi debba ispirarsi l’attività di governo e quella legislativa in questo nostro territorio. La democrazia oggi sembra pura annoiata delega, ma la convinzione che si tratti di una cambiale in bianco per il “vincitore” credo cominci a fare il suo tempo.
Da anni tutte le elezioni comportano la presentazione da parte dei partecipanti di documenti programmatici esplicativi delle proprie intenzioni di governo. A me è capitato di redarne personalmente in più occasioni e livelli. Ma non ho mai visto un qualche serio report di verifica alla fine del periodo di amministrazione. Né a cura dei protagonisti che quei programmi avrebbero dovuto attuare, né da parte di qualche “autority” o ufficio studi indipendente.
Non saranno certo le prossime elezioni regionali in F-VG a violare l’aurea regola della propaganda “passata la festa gabbato lo santu”, né a trasformare un giornalismo da veline in letteratura critica, ma forse la incombente mancanza di incertezza sul risultato potrebbe favorire un confronto più approfondito su alcuni nodi centrali di interpretazione di cosa c’è da fare per il futuro della Regione. In giro si cominciano a sentire alcuni interrogativi seri, a partire dal cosiddetto “inverno demografico”, all’abbandono di territori sempre meno abitati e su cui pesaranno gli effetti del riscaldamento globale, alle incertezze per le disuguaglianze sociali, alla sostenibilità di un modello di produzione e consumo che sembrerebbe un po’ meno propenso a credere ad un mercato infinito (e su cui sembriamo puntare tutto nella nostra economia).
In realtà ci si domanda come dovremmo interpretare a casa nostra i problemi del mondo, magari con un pizzico di cautela nel ritenere che la pervasività del digitale e una innovazione tecnica sempre più accelerata saranno in grado di dare ogni risposta.
Mi sono fatto uno schema mentale per cercare di immaginare quali potrebbero essere i capitoli di un programma di governo da chiedere ai futuri interpreti della politica regionale, in particolare ai candidati presidenti, per incalzare gli eventi grandi e piccoli che la storia sta presentando alle nostre comunità. Si tratta cioè di individuare gli assi portanti delle azioni da intraprendere affidandone la guida a soggetti istituzionali e sociali che riescano a farsene carico.
In estrema sintesi chiederei agli attori della prossima recita primaverile come vorrebbero interpretare alcuni “piani di governo” del territorio che, proprio a partire dalla complessità che la neo contemporaneità ci propone, affrontino i temi che la stessa cronaca di ogni giorno proietta in una nebbia futura che sembra sfuggirci. In sintesi i seguenti:
Piano di governo dei flussi. Si tratta di collocare la Regione nelle dinamiche globali, tenendone conto delle mutazioni in corso e interpretandone le conseguenze economiche, produttive, finanziarie nelle loro relazioni con le scelte che la Regione può favorire e stimolare. Sistema produttivo, della logistica, le infrastrutture di trasporto, le relazioni trans frontaliere e sovranazionali nel quadro europeo, le migrazioni, la capacità soggettiva della Regione di essere attore nella UE, il superamento della concezione di confine, sono luoghi di presidio diretto della Regione anche nel suo confrontarsi con lo stato italiano.
Piano di governo della resilienza. Parola abusata ma è il tema che l’UE ci ha presentato con il PNRR e che abbiamo per lo più interpretato come somma di opere pubbliche indifferenziate per far crescere il PIL. Si tratta invece di riflettere su quanto il territorio può dare in termini di sicurezza ed economia innanzitutto, ma anche di recupero di una soggettività umana delle comunità (sociale e culturale) che sembra scomparire. Alimentazione-agricoltura, autonomia energetica e suo controllo sociale, adattamento ai cambiamenti climatici, riscoperta e recupero dei valori territoriali, riconoscimento dei beni comuni, sono capisaldi di uno spazio da coprire nella ricostruzione di poteri democratici locali (Comuni innanzitutto) che proprio alcune recenti potestà regionali possono permettere di coprire.
Piano di governo del welfare. E’ quanto di positivo la storia della Repubblica ci ha indicato, derivandone talvolta incongruenze ed errori, ma sempre verso una strada di rispetto di alcuni principi fondamentali. A partire dalla sanità e dalla coesione sociale quali luoghi di diritti umani inalienabili si tratta di ricostruire nel territorio le condizioni di iniziative e pratiche che ne caratterizzano la civiltà. Se spesso le risorse finanziarie appaiono inadeguate, appare indispensabile una riacquisita capacità del pubblico di valorizzare le iniziative comunitarie e del privato sociale secondo indirizzi di uguaglianza e di efficacia. Evitando che la logica del mercato si impadronisca sempre più di una società in cui i bisogni fondamentali vengono monetizzati. Ma il welfare non è solo bisogni e disagio. E’ anche creatività culturale radicata, è attività sportiva non solo agonistica, è un modello di istruzione aperto, continuo, e non solo indirizzato a produrre dipendenti funzionali. Ed è nel territorio e nelle comunità locali che può trovare risposte valide e nuove con una Regione che ne delinea l’architettura e ne riconosce le creatività e le differenze.
Può essere che in una campagna elettorale dove comunque si va alla ricerca dello specifico consenso, di presidente, di lista, di candidato, ad ognuno dei temi sollevati si cerchi di dare risposte semplici ed immediate: un riconoscimento di funzioni, una linea di contributi, un ascolto privilegiato che riconosce un cliente da accontentare. La ormai passata attuale legislatura, grazie ad una imprevista messe di disponibilità ha lavorato proprio su questo piano. A parte talora lo spreco, ed a parte l’imbuto di difficoltà in cui è finita la sanità pubblica, non credo sia il caso di stracciarsi le vesti per le approssimazioni e le clientele. Una programmazione seria può essere solo il risultato di un dibattito approfondito basato su livelli di conoscenza della realtà che mi pare siano mancati alla quasi totalità del quadro politico.
Cerchiamo di non sprecare questi pochi mesi prima del voto per capire i problemi che abbiamo di fronte. In politica (come nello sport) non esiste spirito olimpico, ma lo spirito di competizione può dare frutti che matureranno in tempi diversi.
L’occasione elettorale dovrebbe permettere di ricostruire proprio gli spazi di conoscenza e di presa d’atto della complessità delle decisioni da affrontare. La vittoria di una coalizione non è la “fine della storia” ma dovrebbe diventare l’apertura di una fase che costruisce proprio una nuova metodologia di rapporto tra società e politica, di ridefinizione dello stesso senso del confronto democratico basato sulla conoscenza e sulla gestione intelligente delle incertezze. Per questo è importante che non solo i futuri vincitori sappiano esprimersi ma che sopratutto possano circolare e confrontarsi l’insieme delle idee che possono aiutare a comprendere ed affrontare il futuro.
Giorgio Cavallo