Riparte la giostra dell’atomo? Rispunta l’idea nucleare agitando lo spauracchio degli aumenti delle bollette
Il fine giustifica sempre i mezzi? La domanda sorge spontanea. Se infatti è chiaro che il green pass è una maniera per imporre la giusta soluzione vaccino per arginare una pandemia devastante che ha fatto decine di migliaia di morti e rischiato di trascinare l’economia in un vortice spaventoso, appare altrettanto chiaro che la metodologia usata è una maniera soft per evitare lo scontro frontale che una imposizione obbligatoria delle dosi avrebbe potuto creare. Si è quindi scelto di andare per gradi, a rate, qualcuno ha detto, dimostrando però così tutta la debolezza della politica. Scelta giusta? Probabilmente sì allo stato dei fatti anche se ci piacerebbe avere una classe politica che si prende le responsabilità, ma non vorremmo che il metodo, giustificati una tantum dall’emergenza data dal virus letale, diventi metodo di governo anche per cause decisamente meno nobili della salvaguardia della popolazione dal rischio contagi. Anzi esattamente il contrario, per esporre la popolazione ad un rischio, che se pur calcolato, non si può annullare. Il riferimento è al “tarlo” nucleare. Noi non siamo complottisti di principio, ma non possiamo non cogliere alcuni eventi mediatici. Il ministro della transizione ecologica Cingolani, una decina di giorni fa, ha lanciato il sasso nucleare, così tanto per sondare le reazioni. Poi ha subito nascosto la mano. Successivamente ha annunciato l’aumento del 40% del costo delle bollette elettriche che ovviamente, avessimo il nucleare, sarebbero, fa intendere, più basse. Insomma, la sensazione è che si voglia convincere gli italiani, che 10 anni fa hanno con un referendum rifiutato l’utilizzo del nucleare, con le argomentazioni del portafoglio. Comportamento da furbetti del quartierino, dato che il costo in bolletta dell’energia è in realtà gravato più da oneri secondari che da quelli relativi al kilowattora e che quindi è facile sterilizzare gli aumenti semplicemente sgravando il conto. Ma in realtà c’è di più, è proprio sull’aspetto economico più che su quello ambientale e della sicurezza che un progetto nucleare oggi diventerebbe una follia. Se è vero, infatti, che la scienza e la tecnica progrediscono o è anche vero che il rischio zero non esiste e quando questo rischio è tale da determinare stragi di massa anche la percentuale di rischio dello 0,000000001 è inaccettabile. Ma questa è ovviamente un’opinione, certo è invece che allo stato delle attuali tecnologie, anche le più moderne, se si mettono sulla bilancia tutti i costi della scelta nucleare, non solo la costruzione e la gestione, ma anche l’intera partita dell’imbatto ambientale futuro, la scelta appare antieconomica. O meglio rischia di essere un macigno lanciato sulla testa delle generazioni future e neppure tanto future. Vediamo infatti quanto rivela il World Nuclear Industry Status Report (WNISR), un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti, guidati dal tedesco Mycle Schneider. Produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il nucleare costa 16,3 dollari, con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 dollari, con l’eolico 4,0 dollari. Produrre lo stesso kilowattora con il gas è costato 5,9 dollari, con il carbone 11,2 dollari e con il nucleare 16,3 dollari. “Il problema oggi è quanto dobbiamo ridurre i gas serra e quanto rapidamente – ha detto Schneider al sito tedesco DW -. Se parliamo della costruzione di nuove centrali, il nucleare è semplicemente escluso. Non solo perché è la forma di generazione elettrica più costosa oggi, ma anche perché serve molto tempo per costruire i reattori. Ogni euro investito in nuove centrali nucleari peggiora la crisi climatica, perché non può essere usato in opzioni efficienti per la protezione del clima”. Per Schneider “le rinnovabili sono diventate così convenienti che in molti casi sono al di sotto dei costi operativi base delle centrali nucleari”. In sostanza il costo variabile dell’energia nucleare può trarre in inganno poiché non include l’intera spesa che il pubblico (quindi tutti noi) deve sostenere per realizzare, gestire e infine smantellare una centrale nucleare. Ancora una volta saremo dinnanzi al solito metodo i benefici dati dalla costruzione delle opere finiscono nelle tasche di pochi e ben selezionati amici, anche di Cingolani evidentemente, mentre i costi futuri li pagherà tutto “Pantalone” Analizzando complessivamente il sistema energetico, ovvero partendo dalla costruzione delle centrali sino anche alla complessa gestione dei rifiuti, si riscontra un notevole incremento nei costi sociali e una scarsa convenienza economica. Analizziamo quindi i principali limiti della scelta nucleare: Una centrale nucleare necessita un lungo periodo di tempo per essere costruita (in media 10 anni). In questo lungo periodo di tempo vanno poi aggiunti i costi opportunità, ossia le perdite “potenziali” pari al tasso di interesse perso se i fondi fossero stati depositati in banca o meglio occupati in altre attività economiche. Costi questi non certo compensati dai posti di lavoro generati nella fase di costruzione. Le centrali nucleari producono rifiuti radioattivi (scorie) la cui gestione è ancora un capitolo aperto per l’intero occidente. Soltanto gli Usa, dopo oltre 25 anni di studi, hanno realizzato una soluzione definitiva realizzando un deposito in profondità (geologico) in cui stoccare le scorie radioattive. Il deposito negli Usa sarà dedicato solo alle scorie di II grado mentre resta ancora incerto il destino delle scorie di III grado (ad alta radioattività) stoccate temporaneamente all’interno delle stesse centrali nucleari. Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare va considerato anche il costo del suo smantellamento, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive, anche di quelle che proprio non si sa dove mettere. Su internet si trovano parecchie analisi serie su questi costi, in una di queste analisi si cita a titolo di esempio la centrale nucleare Usa di Maine Yankee, Per costruirla negli anni ’60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Recentemente questa centrale ha terminato il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati allocati 635 milioni di dollari correnti. Soltanto per smantellare le quattro centrali nucleari italiane l’International Energy Agency ha stimato un costo pari a 2 miliardi di dollari. In conclusione, Il nucleare è stato presentato come una fonte indispensabile per generare energia elettrica a basso costo. In realtà i suoi costi “nascosti” (sostenuti dallo Stato tramite tasse e imposte e quindi pagate dai cittadini in genere anche nella bolletta elettrica) sono ancora troppo alti se paragonati alle normali centrali termoelettriche (gas o carbone) per non parlare delle rinnovabili. Va comunque considerato che l’antieconomicità del nucleare è soltanto un aspetto dell’analisi politica, vi è ovviamente la questione sicurezza, mentre i fautori di questa scelta spiegano che il ritorno al nucleare può essere giustificabile per ridurre la dipendenza delle economie occidentali dall’import di petrolio, gas e carbone, problema che può essere superato però anche attraverso ulteriori scelte nelle rinnovabili. E ovvio che la capacità di un paese di far fronte al proprio fabbisogno energetico interno rappresenta un obiettivo politico e strategico per difendere la propria economia nazionale ma è evidente che questa scelta è condizionata anche da scelte geopolitiche e militari. Nona caso il paese che sta investendo di più sul nucleare è la Cina, che ha in programma di costruire una ventina di nuove centrali (ne ha già 49 e ricava dall’atomo il 5% del suo mix energetico). Segue l’India, che ha 6 nuove centrali in progetto (21 esistenti, 3% del mix). Gli Usa (94 centrali, 20% del mix) progettano di costruire 2 nuove centrali, così come la Russia (38, 20%). La Francia, che ha 56 impianti e ricava dal nucleare il 71% della sua energia, vuole costruire 1 nuova centrale e come sappiamo anche la vicina Sloveni vuole raddoppiare la centrale di Krsko. In realtà la costruzione di nuove centrali atomiche non ha nessuna ragione economica o ecologica, ma risponde solo a motivazioni politiche (militari per la Francia, di influenza geopolitica per la Cina) o a interessi delle aziende del settore. Questa è certamente la motivazione per il ministro Cingolani che forse, come ha affermato qualcuno, ha male interpretato il nome del suo ministero, non “transizione” ma “transazione” ecologica.