Se verrà la guerra…. marcondirondirondella. Canticchiano sfregandosi le mani i produttori d’armi
La complessità dell’attuale situazione geopolitica e la grande accelerazione data dall’arrivo del conflitto in Europa, necessita di grande prudenza. Così se da un lato il sostegno all’Ucraina è risposta fondamentale per limitare le mire espansionisti ruffe e fermare il massacro, altro è discutere del futuro del futuro militare dell’Italia e dell’Europa senza reticenze. Fermo restante che è rispettabile anelare ad un mondo senza frontiere e senza eserciti, bisogna essere realisti, soprattutto in un mondo popolato da violenti e guerrafondai che, per capirci sono presenti come il prezzemolo in ogni “pietanza” geografica o per tornare al linguaggio da guerra fredda, nei “blocchi”. Detto questo e considerato che in linea di massima si dovrebbe essere tutti per la pace, non si può pero partecipare a crociate alla rovescia e fare finta che cattivi ed interessi più o meno legittimi non esistano. Detto questo e tornando alla cruda realtà, il Governo italiano ha approvato l’aumento della spesa militare dall’1,4 al 2% del PIL sull’onda emozionale di quanto avviene ad est. In realtà la decisione “ballava” da tempo (ad esempio era una delle richieste di Trump) ed alla fine è in linea con quanto stabilito dagli altri Paesi dell’Unione europea nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. La discussione se sia giusto o sbagliato è ormai capziosa, perchè decisioni di questa portata dovrebbero prescindere dalla contingenza dovuta all’attuale azione putiniana e al fatto che l’attacco russo all’Ucraina ha riportato la guerra in Europa, aprendo scenari che solo fino a poche settimane fa parevano impossibili. La correlazione fra quanto sta avvenendo e le decisioni dei governi europei che rispondono in maniera umorale alla situazione sono palesi e dimostrano come la “pressione” delle emergenze finisca per essere molla formidabile. Il problema è che la chiusura di Putin a una soluzione diplomatica ha avuto l’effetto di rivitalizzare il ruolo della Nato in termini militari. Così stanno avendo facile presa le richieste di fondi per la difesa. Con l’approvazione del Decreto Ucraina l’Italia dunque porterà la propria spesa militare dall’1,4% del proprio PIL al 2%, passando dai 26 miliardi di euro attuali a 38 miliardi di euro circa all’anno. Il decreto è stato votato con 391 voti favorevoli su 421 deputati presenti e vede dei legittimi dissensi anche se l’impressione è che la superficialità regni sovrana. In realtà il fattore ucraina ha solo fatto da acceleratore di un processo già in corso, la tendenza ad aumentare le spese per la difesa era già evidente ben prima che scoppiasse il conflitto, per fare un esempio un aumento del 5,4% rispetto al 2021, pari a 1,3 miliardi di euro, era infatti già stato decretato alla fine dello scorso anno, portando le spese militari italiane ai livelli più alti di sempre. Fermo restando che sul piano di principio armarsi, anche se per difesa, non è azione distensiva, lo è molto di più se si investe in sistemi d’arma che non sono propriamente votati alla “difesa” ( i bombardieri F35 sono un esempio) anche se in logica militare il limite fra difendersi ed attaccare per difendersi è davvero labile. Secondo i dati del SIPRI di Stoccolma (Istituto di studi sulla Pace tra i più prestigiosi al mondo) le somme destinate globalmente agli armamenti sono stimate ad una cifra complessiva di 1.981 miliardi di US$. Gli Stati Uniti sono il primo paese in termini di spesa, con oltre 766 miliardi di dollari, che rappresentano il 3.74% del prodotto interno lordo (GDP). In sostanza la spesa mondiale è in continuo aumento dal 2015. Gli Stati Uniti sono in crescita per il terzo anno consecutivo e rappresentano di gran lunga il paese con il più ingente importo di spese militari al mondo. La Cina viene da un lungo trend di crescita che non sembra dover flettere. Anche India e Russia registrano un’aumento della spesa. Aggiungiamo che rispetto al 2019 le spese militari dei Paesi europei sono aumentate del 4.0% e che l’accelerazione di questi giorni farà lievitare il conto. Già ad aprile 2021 il report SIPRI citava tra le cause la continua minaccia percepita nei confronti della Russia, ipotesi, che nella società civile era scarsamente percepita, ma che gli esperti di strategia militare avevano invece ben presente. Purtroppo la cronaca gli ha dato ragione. In realtà però, giudizio morale, a parte i danari per la difesa dei paesi Ue spesso sono partite di giro dato che le industrie sono sesso a partecipazione statale, il vero problema è che non sono denari spesi in maniera sensata. In primo luogo proprio perchè rimane per lo più gestita su base nazionale, con inefficienze e duplicazione di progetti e costi e decisioni in favore dei “soliti noti”. Per non parlare dalle spese date dalla duplicazione dei centri di comando con più generali a libro paga che caporalmaggiori. Ma non solo il fattore umano, prendiamo un sistema d’arma “tradizionale” ritenuto ancora fondamentale, il carro armato, i poco meno che 5000 carri di uova generazione presenti i Ue sono prodotti in nove Paesi e sono di ben 27 differenti tipologie. L’unione Europea ha dato il via ad un processo di standardizzazione degli armamenti in dotazione ai Paesi membri, processo che ovviamente cozza con interessi dei produttori nazionali. Per rimanere in casa nostra, l’Italia produce il proprio carro armato. L’Ariete sviluppato dal Consorzio Fiat-Iveco – OTO Melara, la Germania per ora vede nei suoi assetti il suo Leopard 2, ma procede assieme alle Francia alla progettazione di quello che vorrebbe essere il carro armato europeo del futuro. Nell’estate 2018 infatti Francia e Germania hanno siglato l’intesa per lo sviluppo del nuovo carro di ultima generazioni denominato per ora con la sigla Mgcs (Main Ground Combat System). L’obiettivo del nuovo carro armato europeo sarebbe sostituire i carri armati Leopard 2 tedeschi e Leclerc francesi, ma anche (questa sarebbe l’intensione che trova ovvie resistenze italiane) l’Ariete. Sarebbe la Germania a dirigere il progetto tramite il gruppo Knds, leader europeo derivante dalla fusione della francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann (KMW). Al momento la suddivisione prevista è 50% per l’azienda francese Nexter e 25% a testa per le società tedesche, Kmw e Rheinmetall. Nella strategia franco-tedesca, l’Mgcs è concepito per diventare anche il carro armato standard in Europa superando la frammentazione dei 17 diversi modelli di carri armati nelle forze armate dei paesi europei il tutto però avverrebbe nel 2035. Tempi decisamente dilatati sui quali però, l’attuale situazione, potrebbe imporre accelerazione perchè la guerra mossa da Vladimir Putin in Ucraina ha riportato l’attenzione sul tema irrisolto della difesa comune europea di cui i sistemi d’arma sono un pezzo decisamente allettante per l’industria bellica. La necessità di avere “vaccino” anti Putin potrebbe determinare uno sviluppo dell’industria bellica così come è stato per quella farmaceutica, anche se in termini produttivi la situazione è più complessa. Fra l’altro ci sono produttori “foresti” che bussano alla porta, basti pensare che il 18 febbraio scorso, pochi giorni prima che la Russia invadesse l’Ucraina, il dipartimento di Stato Usa ha approvato la vendita di 250 carri armati M1A2SEPv3 Abrams prodotti da General Dynamics Land Systems (GDLS) alla Polonia, per sostituire i vetusti tank T-72 di origine sovietica sviluppati negli anni sessanta. Affaruccio da 6 miliardi di dollari. Insomma non solo la maggior parte delle spese militari rimane gestita su base nazionale con dinamiche di mercato decisamente variabili, ma l’industria europea resta caratterizzata da inefficienza e duplicazione di progetti e costi. Eppure la “difesa europea” non è invenzione di oggi, in realtà ‘idea di forse armate comuni per l’Ue aveva preso forma più concretamente nel dicembre 2017, quando venne istituito la Cooperazione strutturata permanente denominata (Pesco). A differenza delle precedenti iniziative, la Pesco avrebbe dovuto aprire più facilmente la strada a una progressiva integrazione in virtù del fatto che le obbligazioni e gli impegni assunti dai paesi diventavano legalmente vincolanti. Nel suo ambito, infatti, gli stati si impegnavano a sviluppare capacità congiunte anche grazie ai finanziamenti del Fondo europeo per la difesa (Edf). Per il periodo 2021-2027 il Fondo ha una dotazione di quasi 8 miliardi di euro destinati ad acquisizioni di nuovo equipaggiamento militare e alla spesa in ricerca e sviluppo di nuovi dispositivi d’arma. Cifra in realtà bassa spalmata in sette anni, solo una merendina per i produttori d’armi ma che poteva diventare la classica zeppa nella porta. Questioni delicate dato che quello di cui avrebbero bisogno i paesi membri dell’Unione europea sarebbe una reale politica di integrazione a livello europeo efficace, che conduca a una razionalizzazione e quindi inevitabilmente a una riduzione della spesa militare e non all’aumento. Vedendola così sarebbe stato inutile l’aumento di spesa dall’1,4 al 2%, ma bisognava agire politicamente in Europa per tempo. Tra le tante conseguenze catastrofiche della guerra di occupazione voluta da Vladimir Putin in Ucraina possiamo quindi imputargli, anche se solo in parte, l’aumento delle spese militari in tutti i paesi occidentali. In Italia purtroppo, come spesso capita in queste occasioni, le decisione serie e che hanno un impatto di lungo periodo, vengono assunte in emergenza con scarsa discussione, sia in sede politica nelle aule parlamentari, dove alla fine diventa “tifo” con ricadute para-ideologiche nell’opinione pubblica.
https://friulisera.it/bilancio-2021-2027-la-commissione-ue-accoglie-con-favore-laccordo-provvisorio-sul-futuro-fondo-europeo-per-la-difesa/