Siccità e reti colabrodo: L’emergenza acqua presto investirà gran parte del paese. In Italia solo il 4% delle acque reflue viene riutilizzato
La cronaca racconta dell’emergenza siccità in particolare nel sud del paese, i cambiamenti climatici in atto, per altro ampiamente previsti dagli scienziati e purtroppo non sempre presi sul serio da una politica che riesce solo ad agire con meccanismi emergenziali, sono una delle cause della carenza di acqua alle quali però si sommano antiche criticità. La principale è la vetustà delle reti idriche che secondo dati Istat perdono il 42,4% dell’acqua potabile. Un problema legato alle endemiche carenze di manutenzione dato che si preferisce cantierare sempre nuove opere anziché spendere in maniera diffusa sule manutenzioni. Gli ultimi dati disponibili sono del 2022 e ci dicono che l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno. Paradossalmente il dato sulla dispersione è peggiore di quello del 2020 (42,2%). Semore le statistiche ci racconano che gli acquedotti e le reti comunali di distribuzione erogano ogni giorno, per gli usi autorizzati, 214 litri di acqua potabile per abitante (36 litri in meno del 1999). Sebbene le perdite abbiano un andamento molto variabile, le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono la solita differenziazione Nord-Sud, con le situazioni più critiche nelle aree del Centro e Mezzogiorno. Nel 2022, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8%), la Sicilia (51,6%) e l’Appennino meridionale (50,4%), seguito dall’Appennino centrale (45,5%). L’indicatore raggiunge, invece, il valore minimo nel distretto del Fiume Po (32,5%) ma risulta di poco inferiore al dato nazionale nei distretti delle Alpi orientali (40,9%) e Appennino settentrionale (40,6%). Ora i progetti legati al PNRR prevedono di realizzare almeno 25.000 km di nuove reti distrettualizzate per la distribuzione dell’acqua potabile e ridurre le perdite idriche, introducendo sistemi di controllo avanzati e digitalizzati che permettano una gestione ottimale delle risorse, riducendo gli sprechi e limitando le inefficienze. Questo l’obiettivo da raggiungere entro il 31 marzo 2026, per il quale il PNRR mette a disposizione degli Enti di Governo d’Ambito del servizio idrico integrato 900 milioni di euro. Bisognerà vedere se vi saranno però le capacità progettuali e tecniche per cantierare davvero una mole così elevata di opere. L’altra questione sulla quale sarebbe necessario investire sarebbe quelal di di porre l’attenzione sulla necessità di garantire il corretto trattamento delle acque reflue, sia per superare le diverse procedure di infrazione europee, sia per aggiungere un tassello importante nella gestione della risorsa idrica. Il riutilizzo dell’acqua opportunamente trattata dagli impianti di depurazione rappresenta infatti un’alternativa affidabile per l’approvvigionamento idrico per vari scopi, come per esempio l’irrigazione agricola o la ricarica delle falde acquifere. E’ di recente pubblicazione una indagine dal titolo: “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia” realizzata da Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, secondo cui il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme, addirittura di 9 miliardi di metri cubi all’anno. Si legge infatti nel rapporto: Il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato solo per il 5% (475 milioni di metri cubi). È quanto emerge dall’indagine “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) e presentata oggi a Napoli nel corso del convegno. Dal campione analizzato da Utilitalia (equivalente a circa 21 milioni di abitanti serviti) è emerso che sono già esistenti e funzionanti 79 impianti per la produzione di acque di riuso, con una potenzialità complessiva pari a 1,3 milioni di metri cubi al giorno (475 milioni di metri cubi in un anno). Di contro, l’uso diretto per l’irrigazione attraverso reti dedicate è ancora piuttosto scarso: di questi 79 impianti, solo 16 sono dotati di una specifica rete di trasporto e distribuzione dell’acqua affinata. L’utilizzo agricolo indiretto, quello che si avvale per lo più di preesistenti canali irrigui, rimane la pratica più diffusa. Sono 23 le installazioni per le quali non è ancora definita una specifica utilizzazione finale, a dimostrazione delle incertezze e dei dubbi che ancora sono presenti a livello di utilizzatori finali potenziali. Altri 24 impianti sono programmati (dovrebbero essere tutti ultimati entro i prossimi 5 anni) e su ulteriori 40 sono in corso studi di fattibilità. In un arco di breve-medio periodo, è legittimo attendersi quasi un raddoppio – da 79 a 143 – delle installazioni. In Italia inoltre sono attivi 18.140 impianti di depurazione, di cui 7.781 dotati di un trattamento secondario/avanzato, che si potrebbero potenziare per renderli idonei alla produzione di acqua per il riuso. Della questione si è occupata anche Legambiente in un suo Report del 2023 dal titolo: “Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città”, che sottolineava: “È necessario superare i pregiudizi su questa soluzione, a cui dovremo necessariamente ricorrere nei prossimi anni e che, se progettata con criterio, ovvero seguendo i principi della gestione del rischio, garantisce che l’acqua recuperata sia utilizzata e gestita in modo sicuro per la salute e l’ambiente”. Un Report quello degli ambientalisti nel quale l’Associazione fotografava il potenziale che avrebbero insieme la raccolta delle acque meteoriche in ambiente urbano e il riutilizzo di quelle reflue per l’agricoltura: pari a 22 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, corrispondenti a circa 3 volte la capacità contenuta nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di metri cubi.
In controtendenza a livello territoriale rispetto alle altri voci di spreco, particolarmente virtuose risultano le imprese del Sud, che da più tempo si trovano in una situazione di scarsità idrica (in particolare in Puglia, Sicilia e Sardegna) e si sono quindi attrezzate con tecniche di riciclo. Bisogna direanche che fra le ragioni per cui buona parte dei reflui non viene valorizzata nel nostro paese sono legate alla complessità del quadro normativo e regolamentare, alla convenienza economica/tariffaria e all’attuale dotazione impiantistica. “Per la valorizzazione completa delle potenzialità del riuso, si legge nel Report, sono necessari interventi infrastrutturali sui depuratori e poi, a valle, per la realizzazione di impianti di affinamento e di infrastrutture di collegamento con gli utilizzatori. Per dare attuazione a questo piano di interventi servono ingenti investimenti; l’assenza di un sistema strutturato di incentivi e riconoscimenti tariffari non facilita la realizzazione di investimenti finalizzati al riuso delle acque reflue depurate.” Un ulteriore ostacolo nella diffusione del riuso delle acque reflue è legato poi al fatto che il riutilizzo è più complicato rispetto all’uso di risorse convenzionali ed è più costoso. Non solo, ma a complicare il ricorso al riuso vi è anche la frammentazione gestionale e le ridotte dimensioni, in media, degli impianti di depurazione.
Il Report, allo scopo di superare in via definitiva le barriere che ostacolano la diffusione del riuso, evidenzia la necessità di interventi normativi per armonizzare la disciplina tra i diversi usi e semplificare i procedimenti autorizzativi, oltre a favorire gli investimenti per l’adeguamento infrastrutturale, mediante introduzione di agevolazioni tariffarie, incentivi e meccanismi di obbligatorietà al riuso. L’introduzione e l’adozione di agevolazioni tariffarie dovranno agevolare il riuso e indirettamente ridurre il differenziale di costo rispetto alle fonti di approvvigionamento alternative. Oltre che sulle barriere e sulle relative proposte strutturali per la diffusione del riuso, è necessario lavorare anche su una nuova cultura dell’acqua, avviando processi di stakeholder engagement e promuovendo campagne di comunicazione e formazione su rischi (pochi o nulli) e benefici (molti) derivanti dal riutilizzo.
Sempre Legambiente nel suo Report proponeva una strategia idrica nazionale, in modo da avviare una nuova governance dell’acqua, che abbia come obiettivo non solo l’accumulo per affrontare i periodi di carenza, ma soprattutto la riduzione della domanda d’acqua e quindi dei prelievi e degli usi in tutti i suoi settori. A partire da una roadmap per riqualificare e riprogettare gli spazi aperti e gli edifici delle nostre città che punti almeno al recupero del 20% delle acque meteoriche entro il 2025, del 35% entro il 2027 e del 50% entro il 2030; e dalla necessità che, il recepimento del regolamento UE 741/2020 per il riutilizzo delle acque reflue sia fatto in modo rigoroso, tenendo conto dell’analisi di rischio come previsto a livello europeo.