Siria: Cronache della terza guerra mondiale. L’Epifania tutte le feste si porta via
Sempre ammesso che da queste parti le feste si siano celebrate. Per tutti, intendo; perchè chi ne aveva la possibilità, e quelli ci sono sempre, di sicuro l’ha fatto. In ogni caso, se prima di Natale in Rojava la gente non era granchè disposta a percepire il clima celebrativo e il timore di un imminente attacco da parte dei turchi direttamente o per interposta persona non lasciava molto spazio a sdolcinerie, con l’arrivo della befana qualsiasi speranza di festeggiare qualcosa e’ stata definitivamente persa. L’attentato suicida dell’altro giorno a Manbij ha immediatamente fatto capire che se qualcuno si illudeva che tutto fosse rientrato, si sbagliava di grosso.
Se qualcosa del clima natalizio e’ rimasto, si tratta dei giochi di società che da noi si basano su scenari di guerre immaginarie mentre qui si svolgono direttamente sul campo e nell’immediata realtà. Se nelle nostre case riscaldate i carri armati e soldatini sono di plastica, qui i primi sono corrazzati e si muovono con il classico rumore di cingoli mentre i secondi rischiano, e spesso perdono realmente, la pellaccia.
Come continua ad accadere nel sud della regione del NES, dove cittadine come Hajin sono ufficialmente sotto il controllo delle truppe dell SDF (coalizione di cui la spina dorsale sono le YPG kurde, e la cui vera forza e’ l’aviazione soprattutto USA) ma in tutta la zona si continua a combattere. E’ chiaro che ci si continua a sparare, la vita di chi in quelle aree ci abita diventa complicata. Dunque negli ultimi giorni sono migliaia le persone scappate che cercano rifugio nei campi piu’ a nord dove li aspetta un lunga sosta al freddo delle tende e in situazioni davvero complicate. Ad Hal Hol, uno dei campi per sfollati dove c’e’ stato un maggiore afflusso si profughi, nell’ultima settimana sono piu’ di una decina i bambini arrivati morti o morti dopo poco il loro arrivo, a causa del freddo e della malnutrizione. Il viaggio di parecchie ore sul cassone dei camion e il freddo gelido di questo periodo (le temperature di notte vanno sempre sotto zero) fanno la loro parte e danno la mazzata finale a fisici gia’ oltremodo deboli; non c’e’ molto che ci si possa fare. La zona interessata ai combattimenti è off limits per l’intervento umanitario e non rimane molto altro se non constatare e contabilizzare la nuova strage.
Anche Manbij, come detto, non se la sta passando troppo bene; la situazione e’ intricatissima e tutto potrebbe succedere in tempi anche brevi. Se da una parte le minacce turche tendono sopprattutto e dimostrare che i piani di occupazione della citta’ non sono certo stati archiviati, gli interessi per quell’area sono molti e appetibili per molti attori. Manbij di fatto e’ un confine aperto; nel senso che a nord il confine con la Turchia non e’ controllato ne’ da YPG o SDF ne’ dal governo centrale ma dai “ribelli” alleati della Turchia e la zona in realtà e’ il principale ingresso di merci e non solo, tra la Turchia e la Siria. Sicuramente da quelle parti sono concentrate tutte le “intelligence” dei paesi coinvolti in questa sporca guerra e questo non rende certo l’interpretazione di cio’ che succede eccessivamente trasparente e chiara. La stessa rivendicazione sull’attentato (una ventina di morti tra cui un numero imprecisato di persone statunitensi, da 3 a 5) da parte dell’Isis lascia piuttosto perplessi. In un’accozzaglia del genere e’ quasi impossibile che nessuno sappia o sia in qualche modo coinvolto e che la verità sia spesso di facciata.
Sta di fatto che Manbij non è che uno dei complicati tasselli che compongono questo folle quadro che pare un’opera di Pollock . I futuri equilibri della regione non possono che passare anche da li’.
Come dovranno necessariamente passare da Idlib dove nella quasi totale indifferenza HTS (ex Al Qaeda) ha preso praticamente il totale controllo dell’area, cacciando a pedate gli alleati di Ankara, una variegata alleanza (o quasi) di ribelli, forse meno fanatici ma sempre salafiti. Nel giro di qualche giorno e senza tante discussioni, gli equilibri nella sacca sono completamente cambiati ed ora tutto e’ nelle mani di quegli esaltati. Come i turchi possano avere accettato una realta’ del genere rimane un mistero, a meno che non si cominci a pensare male; magari ipotizzando che una mossa del genere faccia parte di accordi di cui noi mortali spesso nulla sappiamo, ma che anche durante i periodi di combattimenti piu’ accaniti si tessono sottobanco. Partendo dal fatto che i “proxy” turchi si sono ritirati all’interno della zona di Afrin e dunque in qualche modo al sicuro e che i precedenti accordi facevano della sacca di idlib una’area di “deconflitto”, insomma dove gli equilibri esistenti dovevano rimanere tali; a questo punto il precedente patto ha poco senso di esistere, non resta che aspettare forse la bella stagione per vedere di nuovo l’esercito di Assad e i russi regolare i conti con quelle canaglie e mettere in sicurezza tutta l’area.
Il fatto che ultimamente HTS abbia messo le proprie truppe e mezzi (sono effettivamente armati fino ai denti) a disposizione di Ankara nel caso di un intervento a Manbij e nel NES, significa che gli stessi tagliagole, al di la’ dei loro farneticanti proclami, si rendano bene conto di essere caduti in una specie di trappola. Erdogan e i suoi sudditi ormai non hanno grossi interessi a mantenere quella gentaglia e si rendono conto che la Siria (e i russi) non possono certo rinunciare al controllo di Idlib. Sara’ una battaglia certo durissima, ma l’aviazione russa come sempre non manchera’ di dare il proprio contributo determinante per l’esito dello scontro.
Cio’ che probabilmente e’ ancora parecchio in gioco, e’ il destino del Nord Est della Siria (NES); pare che durante gli ultimi incontri tra Turchia e Usa, sia stata decisa la realizzazione di una “zona cuscinetto” di una trentina di kilometri all’interno del confine siriano, cioè tutta Rojava. E’ probabile che il ritiro delle truppe Usa verrà deciso solo in seguito ad un accordo che sia effettivamente praticabile; l’abbandono dei kurdi in favore dell’occupazione turca per ora pare piuttosto improbabile e non farebbe altro che acutizzare ulteriormente la crisi. Cosa che forse a qualcuno farebbe ancora comodo. Naturalmente anche la proposta affiorata da qualche tempo che prevede la presenza nella regione di truppe saudite o degli Emirati fa un po’ ridere. In compenso hanno già fatto piangere in Yemen… Ma l’ONU che dice?
Nel frattempo tutti si stanno accorgendo che 8 anni di guerra hanno devastato la Siria e, preso atto del fallimento del piano di “spezzatinamento” del paese, si pensa al futuro. Israele a modo suo, cercando di limitare a forza di missili, la presenza e l’influenza iraniana in tutta l’area (non dimentichiamo che in Iraq gli sciiti sono al governo nonchè maggioranza della popolazione, ma questa e’ una questione che richiederebbe un’analisi a parte). Per ora Tel Aviv pare si stia limitando a studiare la vera portata del sistema missilistico di difesa che la Russia ha posizionato in Siria, ma la faccenda è tutt’altro che risolta.
Poi, invece, ci sono quelli che hanno altri interessi, a partire dagli Emirati Arabi e Baharein che hanno gia’ aperto le loro rappresentaze diplomatiche a Damasco dopo avere finanziato e organizzato Isis, Al Qaeda e compagnia in funzione anti Assad. Ora è tempo di business e dunque i vecchi dissapori possono essere sacrificati sull’altare degli interessi. Anche l’Italia si sta muovendo in questa stessa direzione, i contatti per la riapertura dell’ambasciata sono già piuttosto avanzati e le strutture riparate. Si sa che al di là’ del colore dei governi, chi comanda nella realtà sono gli affaristi e da queste parti il business della ricostruzione e’ enorme (almeno 400 miliardi di dollari) e la corsa alla conquista della nuova carcassa da spolpare è’ già partita.
Insomma, chi vivrà (non se ne accorgeranno i bimbi morti di gelo) vedrà.
Docbrino