Social media: rivoluzione culturale o impoverimento sociale e cognitivo?
I social media sono stati rivoluzione culturale o impoverimento sociale e cognitivo? Una domanda alla quale non è semplice dare risposta, o forse no, dato che la distinzione sul web come strumento di comunicazione e i social come strumenti falsamente democratici di circolazione di paure e parole è doverosa. Prendersela con internet perché nel mare grande c’è di tutto, sarebbe come censurare il telefono perché è strumento che può essere usato per dialogare o minacciare. Lo stesso vale per il web. Ma i social sono cosa diversa dato che attraverso questi possono essere veicolati, con estrema facilità, messaggi forvianti e si possono plasmare i nemici attraverso l’impoverimento della ragione e l’apoteosi della semplificazione e degli slogan. Torniamo allora brevemente al passato, al secolo scorso. Durante la Seconda guerra mondiale e al ruolo del ministro di Joseph Goebbels senza la cui perversa genialità il nazismo non si sarebbe potuto affermare. Goebbels da vero genio del male pensò di centralizzare il controllo della vita culturale e intellettuale della Germania, con particolare attenzione alla radio. Lo stesso fece il fascismo in Italia attraverso il famoso minculpop (ministero della cultura popolare) con la differenza che Goebbles pianificò scientificamente il tutto per essere in grado di mantenere lo stretto controllo soprattutto contro la propaganda antinazista, cosa che gli riuscì perfettamente fino al crollo decisiovo del regime manu militare.
Facciamo allora un breve riassunto nella metodologia di Joseph Goebbels che come si vedrà ha trovato moderni emuli nell’attuale destra (e non solo quella estrema) che ha sostituito la radio con i social media. Ma di più, si può anche riconoscere la metodologia comunicativa di ispirazione violenta negli atteggiamenti di taluni personaggi nel corso delle ospitate televisive nei talk show, grazie anche alla colpevole connivenza di conduttori che preferiscono si crei la rissa mediatica per fare audience, piuttosto che il racconto della verità dei fatti. Questo il sistema di comunicazione per imporre false verità che per essere contrastato necessiterebbe di una nuova stagione mediatica e di un impegno reale delle forze progressiste anziché cercare compatibilità e connivenze cercando spazi che sempre meno vengono concessi anche dai media tradizionali che, ricordiamolo, sono in mano nella migliore delle ipotesi a precisi centri di potere economico.
Ma torniamo al Goebbels pensiero e ai suoi 11 principi:
1. Principio della semplificazione e del nemico unico. E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico come unico responsabile di tutti i mali.
2. Metodo del contagio. Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.
3. Trasposizione. Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre.
4. Esagerazione e travisamento. Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave.
5. volgarizzazione. Tutta la propaganda deve essere “popolare”, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta.
6. Orchestrazione. La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche il detto: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.
7. Continuo rinnovamento. Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di
fermare il livello crescente delle accuse.
8. Verosimiglianza. Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie.
9. Silenziamento. Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.
10. Trasfusione. Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali.
Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi.
11. Unanimità. Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.
Fatta questa lunga premessa “storica” la risposta alla domanda d’apertura “ i social media sono stati rivoluzione culturale o impoverimento sociale e cognitivo?” non può che avere una risposta. Sono certamente un impoverimento sociale e culturale perché, attraverso la falsa idea che attraverso i vari Facebook, X, Istagram Tic Toc e chi più ne ha più ne metta, tutti hanno la possibilità di dire la propria ha creato un gigantesco appiattimento della conoscenza, non basata sullo studio e sulla cultura, ma sul clamore e sull’effetto mediatico spesso basato sull’azione di quelli per i quali la stessa “rete” ha coniato le definizioni di “troll e haters”, soggetti, come abbiamo avuto occasione di evidenziare sui social di FriuliSera decidendo di cassare questi soggetti appena individuati, che hanno lo scopo di far perdere la pazienza agli altri utenti, spingendoli a insultare e aggredire a loro volta (generando quello che in gergo si definisce flame war). Una tecnica comune del troll consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e deciso su una questione vissuta come sensibile e già dibattuta dagli altri membri della comunità. In altri casi, il troll interviene in modo apparentemente insensato o volutamente ingenuo, con lo scopo di irridere quegli utenti che, non capendone gli obiettivi, si sforzano di rispondere a tono ingenerando ulteriore discussione e senza giungere ad alcuna conclusione concreta. A questi corsari della rete si unisce poi l’enorme pletora degli ignoranti aggressivi e dementi la cui azione è perfino più inquinante, perché agiscono con la presunzione di superiorità, senza neppure rendersi conto di quello che fanno, ma questo non li rende meno colpevoli e pericolosi.