Stellantis: Nardi-Serracchiani, su automotive incontreremo Fiom e altri sindacati. Si dimenticano però che le decisioni le prenderanno a Parigi
“Convocheremo la Fiom per un incontro sui problemi dell’automotive anche alla luce della fusione Psa-Fca e della nascita della nuova multinazionale Stellantis”. Lo annunciano la presidente della commissione Attività produttive della Camera, Martina Nardi, e la presidente della commissione Lavoro della Camera Debora Serracchiani, a fronte del segretario nazionale Fiom Cgil che lamenta un mancato incontro con il Governo.
“La creazione di una grande azienda automobilistica franco-italiana – spiegano le parlamentari dem – pone questioni che vanno affrontate subito e su cui ci confronteremo con la Fiom-Cgil e con gli altri sindacati dei lavoratori metalmeccanici. Se da una parte questa nuova realtà industriale transnazionale ha in sè grandi potenzialità di crescita, dall’altra ci impone la massima attenzione affinché nè i livelli produttivi nè occupazionali, sia diretti che indiretti, siano ridotti. E’ necessario che siano adeguatamente messe a frutto le capacità e le professionalità del settore metalmeccanico che in Italia ha elevate e diffuse eccellenze”.
“Anche venerdì scorso, il Governo – aggiunge Nardi – ha avuto modo di incontrare i rappresentanti dei sindacati italiani per definire congiuntamente le linee del Recovery Plan che al suo interno ha, come è noto, una robusta parte riguardante la riconversione ecologica del nostro sistema produttivo, tra cui il settore auto. Così come non vanno dimenticate le misure che, come parlamentari e Governo, abbiamo predisposto a sostegno dei livelli produttivi e occupazionali dell’automotive a cominciare dagli ecoincentivi e dalla rottamazione che, come dicono i numeri, stanno portando buoni risultati”. Fin qui quanto diffuso oggi dal PD, peccato che si vorrebbe chiudere a stalla a buoi scappati, perchè è chiaro che di italiano in quella che fu la più grande azienda automobilistica nazionale, ormai ci saranno solo i dividendi per l’azionista famiglia Agnelli, a cui probabilmente la nazionalità italiana va perfino stretta. La realtà non è che si è arrivati ad una “fusione” fra Fiat e Peugeot ma una acquisizione della Francia che si compra Fca e non solo perchè nella nuova società nata, la Stellantis, a John Elkanan è riservata la carica di presidente, cioè una formale rappresentanza mentre le decisioni le prenderà l’attuale ceo del gruppo francese Carlos Tavares. Sarà lui il soggetto con il quale bisognerà trattare per il mantenimento futuro dei livelli occupazionali in Italia anche se forse un pensierino su quei miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia dall’Europa qualcuno lo starà facendo. C’è poi l’altro particolare non certo ininfluente, il gruppo Francese Psa, ha all’interno del suo pacchetto azionario direttamente il governo francese (6%) che notoriamente, basti ricordare la vicenda Fincantieri per l’acquisizione dei Chantiers di Saint Nazaire, non è mai arrendevole quando si tratta di italiani che “comprano”. Del resto la memoria della politica italiana è sempre molto corta. Il progressivo depauperamento del patrimonio del gruppo Fiat si consolidò anni fa, quando al timone vi era Marchionne e la benedizione arrivava da Matteo Renzi. Non un omonimo, proprio lui, ma nella sua versione premier e rottamatore nel e del PD. Poi più recentemente Matteo Renzi in versione Italia Viva è stato l’unico nella maggioranza di governo a difendere la scelta di Fca di chiedere un prestito di 6,3 miliardi con fondi garantiti dallo Stato italiano per far fronte alle difficoltà dell’emergenza Coronavirus. Si creò per qualche giorno uno scontro a distanza, scoppiato innanzitutto mediaticamente sull’opportunità di chiedere quel finanziamento da parte di una società che ha scelto l’Olanda come sede fiscale, godendo quindi di enormi agevolazioni in fatto di pressione fiscale a scapito delle casse italiche. Memorabile in quel delicato momento, che finì con l’ennesima calata di braghe governativa, un siparietto di cui vogliamo ricordare quello twitter fra Renzi, Orlando e Calenda. Con il primo che giustificava il sua appoggio alle richieste Fca spiegando che FiatChrysler chiedeva il prestito da 6 miliardi per tenere aperte le fabbriche in Italia e che diceva testualmente è “Sbagliato evocare “poteri forti” e “interessi dei padroni”. E’ un prestito che serve a investire in Italia: che male c’è? Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto”. La risposta arrivò da Calenda, più che altro per antipatia verso il rottamatore di Rignano. Scrisse Calenda: “Te lo spiego in parole semplici 1) FCA non ha mai rispettato il piano degli investimenti previsto per l’Italia; 2) avrebbe la liquidità per sostenere il gruppo ma la tiene nella capogruppo per distribuire un maxi dividendo pre fusione PSA: 3) quel maxi dividendo non verrà tassato”. Il simpatico siparietto si concluse con la dichiarazione di Andrea Orlando: “Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale, affermo il vice di Zingaretti, credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia”. Ci si sarebbe aspettato un passo in questo senso da parte del governo ed invece il silenzio è caduto sull’intera vicenda e tutto è andato come doveva andare. A questo punto che si prolunghi quel silenzio, sperando nel buon cuore dei francesi.
Se questa analisi non vi convince leggete quanto scriveva poco più di 10 giorni fa Romano Prodi su Il Messaggero a poche ore dalla “fusione
….. “Voglio limitarmi a riflettere sulle possibili conseguenze della nascita di Stellantis riguardo all’Italia, dove i dipendenti sono ancora decine di migliaia e gli stabilimenti costituiscono la struttura portante di intere province. Senza contare il secolare legame affettivo fra la Fiat e il nostro paese, nonostante essa abbia spostato la sede legale ad Amsterdam e paghi le imposte a Londra. Per portare avanti le mie riflessioni preferisco partire da una semplice analisi lessicale: in Italia l’unione fra PSA e FCA viene chiamata “una fusione” intendendo, con questo termine, un matrimonio fra pari. Al di fuori del nostro paese si parla invece di “un’acquisizione” da parte della Peugeot della Fiat-Chrysler. In effetti tutte le decisioni fino ad ora prese vanno in questa direzione: la maggioranza dei consiglieri di amministrazione è infatti indicata dal socio francese, che ha affidato il massimo incarico a Carlos Tavares, autorità assolutamente indiscussa anche per avere risanato l’Opel con la velocità di un fulmine. Motore di questa grande operazione è stato però il governo francese, che viene giustamente identificato come l’azionista forte della nuova Stellantis, anche se ha in portafoglio solo il 6,2% delle azioni. Di fronte a questa presenza politica è stato di conseguenza ridimensionato il ruolo del socio italiano (Exor) che, comunque, detiene il 14,4% del capitale di Stellantis. Eppure l’industria italiana dell’auto si trova in una situazione in cui la difesa dei nostri interessi nazionali è non solo prioritaria, ma particolarmente urgente. Nello spazio di poco più di un decennio, siamo infatti retrocessi dal terzo al settimo posto tra i produttori europei di auto. Non solo dopo Germania e Francia, ma anche dietro alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia. Abbiamo cioè perso posizioni sia nei confronti dei paesi a basso costo del lavoro sia rispetto ai paesi nei quali la mano d’opera è molto più costosa. Tutto ciò sta avvenendo in un quadro nel quale gli specialisti del settore sono concordi nel dire che la sfida più urgente di Stellantis sarà la riduzione della sua capacità produttiva europea, oggi superiore ad ogni previsione di mercato anche post-pandemia. A questo proposito l’Economist, che pure è in notevole parte posseduto da Exor (quindi Fca ndr) , ci fa presente che il compito immediato di Tavares dovrà essere quello di resuscitare il marchio Fiat che dipende dal mercato europeo e che ha bisogno di nuovi investimenti, perché “solo la super mini 500 si vende bene”. Credo che Tavares sia in grado di affrontare con successo questa sfida, mentre è compito del nostro governo fare in modo che la resurrezione della Fiat non avvenga solo nei suoi impianti polacchi, serbi o di altri paesi, ma anche nelle fabbriche italiane e che i nostri centri di ricerca, in tempi non lontani tra i primi del mondo, ritornino a giocare un ruolo d’avanguardia. Non si tratta solo di fermare la chiusura degli impianti, ma di ottenere che la loro capacità produttiva sia correttamente utilizzata: da troppo tempo un’elevata quota della mano d’opera impiegata è sostenuta dai finanziamenti della cassa integrazione e degli altri ammortizzatori sociali. Tutto questo ha assoluto bisogno di una politica industriale in grado di accompagnare la nuova rivoluzione tecnologica e produttiva, coinvolgendo in un progetto nazionale l’intero settore auto e coinvolgendo i produttori di componenti che costituiscono ancora la nostra maggiore forza in tutto il settore. Eppure, quando due anni fa si decise a livello europeo di mettere in atto una nuova politica per le batterie (che costituiscono la parte preponderante dei nuovi motori), il nostro governo di allora non si è nemmeno presentato alla riunione, col risultato che i grandi produttori di batterie si stanno collocando in Francia e Germania, godendo anche di incentivi autorizzati dalle autorità europee. Abbiamo quindi assoluta necessità di una nuova politica italiana per l’automobile con interventi volti a riprendere, almeno in parte, il cammino perduto. Penso tuttavia che questa politica sarebbe più facile da mettere in atto se il nostro governo, dopo avere accompagnato l’FCA verso la fusione, aiutandola con il cospicuo prestito di sei miliardi di Euro, fosse entrato nell’azionariato di Stellantis insieme allo stato francese. Non dimentichiamo infatti che l’unica grande presenza italiana tra i leader mondiali dei componenti di elettronica avanzata si esprime attraverso la STMicroelectronics, nella quale sono paritariamente azionisti sia il governo italiano che quello francese e nella quale i laboratori di ricerca e gli impianti produttivi sono di conseguenza bilanciati fra i due paesi, con una sostanziale presenza nel nostro Mezzogiorno.