Torna il “minculpop”: stampa libera nel mirino. Non solo i bavagli ma si studia la “certificazione” ministeriale delle notizie
Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Cultura starebbe preparando una riforma del settore dell’editoria che prevede una certificazione digitale delle notizie per combattere le fake news. Vuole difendere l’attendibilità delle fonti e la veridicità delle informazioni, nobile proposito se non ci fosse un particolare, capire chi saranno i controllori e sulla base di quali pesi e contrappesi valuteranno la bontà delle notizie. Sembra di capire che nell’idea di Mollicone il sigillo di veridicità sarà lui, o chi per lui a darlo. Insomma una riedizione in chiave moderna del Minculpop (ministero della cultura popolare) di fascistissima memoria. Insomma una cosa immenzamete più pericolosa di quella massa di sciamannati a braccio teso che abbiamo nei giorni scorsi che più che paura fanno ribrezzo. Intendiamoci non è che il problema della veridicità delle notizie non esista, ma è evidente che la soluzione nella testa della destre rischia di essere devastante anche per quello che resta del pluralismo dell’informazione. Non possimo non ricordare anche come proprio in queste ore si stia perpetrando l’ennesima operazione bavaglio, quella norma che prevede il divieto di pubblicazione di atti virgolettati relativi a rinvii a giudizio, da sostituire con il “racconto” del contenuto. Tutto questo avviene quando diventa sempre più palpabile la scarsa indipendenza dei giornali e la presenza di cupi monopoli, siano essi nel digitale che nel cartaceo, ma possiamo aggiungere anche le radio e Tv e perfino la Rai che nel bene e nel male in passato aveva quantomeno garantito, attraverso la orribile lottizzazione, un minimo di pluralismo. Oggi non è più così, alla lottizzazione si è sostituita l’occupazione i vertiii e leivelli intermedi sia nelle reti che nei telegiornali. Ovviamente non è tutta colpa di Mollicone e dei sui camerati oggi al governo che ci stanno mettendo del loro per rendere ancora di più pesante la situazione nonostante i risultati in termini di audience siano disastrosi, sono lustri che la Rai e più in generale l’editoria sono terreno di conquista da parte di interessi spesso discutibili con la politica che lascia fare o diventa motore del sistema. Tutto è conseguenza del modello editoriale che si è stratificato nel tempo. I fondi pubblici, anche quando si riesce ad ottenerli (e non è semplice perché in genere i provvedimenti vengono cuciti su misura per favorire gruppi editoriali ben noti attraverso paletti di ogni genere), ti rendono dipendente da chi li eroga, questa è la principale ragione che vede la stampa ormai destinata ad essere (con sempre più rare eccezioni) più maggiordomo del potere che cane da guardia della democrazia. Così alla fine, dato che i giornali oggi non rendono molto e quasi sempre sono in perdita, di solito chi ci investe si accolla le perdite, ma raramente per amore del pluralismo, ma perché ha qualche obiettivo legato ad altre attività economico-finanziarie (visibilità, lobbying, accesso alla politica, difesa da altre aggressioni mediatiche ecc ecc…). Anche le nuove forme di “informazione” cosiddette social che di sociale non hanno nulla, sono una giungla falsamente democratica. Vi sono infatti dipendenze vincolanti, pur se meno percepibili dall’utente, ma molto più insidiose proprio perché prevalentemente occulte. I Vari Facebook, youtube, X, sono dipendenti dai marchi con cui collaborano e di cui sono spesso emanazione e anche quando si creano delle comunity di utenti apparentemente dialoganti, queste, alla fine, sono circoli chiusi che vogliono sempre essere rassicurati sulla bontà delle idee dominanti nel loro gruppo e mai turbate perfino dall’evidenza dei fatti. Per non parlare poi dell’intelligenza artificiale che sarà la nuova frontiera del bavaglio sulla libertà di espressione. Il peccato originale è che, come giornalisti e come lettori, abbiamo commesso l’errore di scommettere a inizio degli anni 2000 sull’informazione gratuita, rendendo oggi quasi impossibile tornare indietro. E’ stato un disastro con il risultato che se vuoi fare un prodotto giornalistico di qualità, fai la fame, se invece vuoi rendere economicamente sostenibile un progetto, rischi di dover utilizzare lo spazio per gossip, foto succinte o piegarsi alle piattaforme di gioco più o meno d’azzardo. Questo, oltre al problema etico ed in alcuni casi deontologico, fa erodere lo spazio alle notizie, alle analisi, alle inchieste, lasciando visibilità invasiva a vera spazzatura pseudo-informativa. Se non vuoi piegarti è evidente che il punto chiave diventa la sostenibilità, infatti lo scambio economico nel mondo dei media, quando è volontario (abbonamenti, sottoscrizioni) è l’unica virtuosa forma di sostegno. Per noi di FriuliSera in questi anni è stato così, ma la manifestazione concreta di adesione raramente è fonte costante, rendendo quindi le entrate incerte e impossibile programmare lo sviluppo e perfino il semplice mantenimento della pur minima struttura. Ancora più problematico è lo scambio economico pubblicitario, perché genera utili solo se legato a contenuti di bassa qualità, perché le piattaforme automatizzate si sono organizzate con meccanismi truffaldini che necessitano di elevati volumi di click che raramente vengono generati dai contenuti di qualità. In sostanza si premiano i siti spazzatura ma da alti teorici volumi di traffico. Per questo in molti giornali web trovate “notizie” e titoli gridati ad effetto, quando non vera e propria notizia spazzatura o peggio veri imbrogli, come i contenuti all’apparenza giornalistica ma di fatto concordati e prodotti nell’ambito di partnership commerciali spesso neppure dichiarate. Se non vuoi piegarti al “sistema” resti sempre sull’orlo del baratro. In questo momento FriuliSera raggiunge migliaia di lettori giornalieri fidelizzati e altrettanti casuali, cioè che arrivano al giornale sulla base di ricerca di un determinato argomento. Alcuni singoli articoli vengono letti anche da 15.000 o più persone in un giorno, soprattutto quando diventano virali e vengono rimbalzati da altri siti, dato che la nostra scelta è stata quella di aderire alla licenza Creative Commons, dando a tutti la possibilità di utilizzare gratuitamente i contenuti, perché per noi è importante che certi argomenti e certe notizie raggiungano il maggior numero di persone. Tutto questo ovviamente non produce direttamente “vil o nobile” denaro, ma ha un costo che fino ad oggi abbiamo coperto attraverso il sostegno economico di alcuni virtuosi lettori, che non finiremo mai di ringraziare. Questi però sono una minima parte rispetto alla massa di lettori e delle lettrici. Il risultato è che si è sempre con l’acqua alla gola, costretti a lanciare periodici appelli questuanti che alla lunga snervano chi li fa e probabilmente chi li riceve. FriuliSera al momento oltre ai flussi quotidiani, vede in archivio oltre 26.000 articoli e un patrimonio fotografico con oltre 30.000 immagini in gran parte proprietarie. Un patrimonio che si rischia di perdere. In questo momento non abbiamo ricette salvifiche, anzi siamo aperti a suggerimenti. Ma è evidente che se nulla si muoverà l’unica soluzione sarà una futura eutanasia editoriale che siamo certi farebbe molto piacere ad alcuni soggetti.