Tranquilli neo terrapiattisti della geopolitica, la guerra è alle porte, ma a morire saranno altri

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia….” Così scriveva Antonio Gramsci sulla rivista “La città futura”. Gramsci scriveva nel 1917, quando ancora non era terminata la Prima Guerra Mondiale e le tensioni politiche e sociali erano forti, ma le sue parole hanno valore universale, vanno al di là del contesto storico in cui sono state concepite. Il concetto di base che, in questi giorni è diventato plasticamente attualità, ci dice che le cose succedono nell’indifferenza generale, e solo a posteriori ci si lamenta o si cerca di capire. Ma non c’è solo l’indifferenza apatica, c’è anche quella attiva, quella di chi volge lo sguardo altrove e che lega drammaticamente la sua azione all’ipocrisia. Sulla genesi dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia è difficile avere certezze granitiche, la storia di quel lembo d’Europa è complessa e contraddittoria, chi ha la verità in tasca o è un falso o è fazioso. Utilizza questa tragedia come cavallo di Troia ideologico. Si può sicuramente capire invece chi è l’aggredito e chi è l’aggressore, perché nulla può giustificare un invasione e le bombe. Il dramma per noi, che per ora non siamo direttamente sotto tiro, è che l’ipocrisia di alcune posizioni si fonde indubbiamente sull’indifferenza e su una volontà di equidistanza che non è accettabile. Sembra fondamentale per alcuni essere nel solco di “o Franza o Spagna, purché se magna”. Ovviamente tutti siamo per la pace, ma per mantenerla non si può restare indifferenti o limitarsi a chiederla in nome di una non violenza che mentre fischiano i proiettili diventa solo una nobile teoria, esercizio ideologico fatto sulla pelle delle vittime. Per essere credibili si dovrebbe essere disposti anche al martirio, magari facendo scudo con il proprio corpo alla vittime innocenti, non solo proclamando impossibili marce fino ai territori di guerra e non certo sventolando la bandiera di pace o cartelli contro la guerra per poi tornare a casa a bersi la cioccolata calda… nell’attesa che agli ucraini taglino la gola e poi dolersene. Il tutto ovviamente restando ben saldi ai propri rassicuranti convincimenti che valgono poco quando al massimo il rischio che si corre è di pagare più salata la benzina o l’elettricità. Per non parlare di pezzi di quel movimento che pratica il pacifismo a corrente alternata, plaudendo alla lotta dei palestinesi e conservando negli armadi l’effige di Che Guevara, che tutto era, tranne che un pacifista. Tutti sempre pronti a cantare Bella Ciao compreso quel ritornello non solo orecchiabile, ma denso di significato. “Una mattina mi sono alzato E ho trovato l’invasor O partigiano portami via . Che mi sento di morir”.. O sono ipocriti o non hanno capito il testo dimostrando che l’analfabetismo di ritorno e davvero un problema. Ma c’è di più, si dimentica che la Costituzione italiana, giustamente tanto amata perchè scaturita dalla Resistenza, non esisterebbe se in tanti non si fossero opposti al nazifascismo con le armi, non certo agitando fiori, cartelli e bandierine e spesso lasciandoci la pelle. La propria non quella degli altri. Certo i costituenti avevano patito la guerra e il suo carico di drammi e sangue morto, per questo conoscevano il valore della pace. Per questo hanno inserito quell’articolo 11, oggi brandito strumentalmente da alcuni come una clava. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, sacrosanto, giusto, ma ovviamente questo non vuol dire che se qualcuno ti spara o spara ad altri innocenti si debba rimanere inermi e non ci si debba difendere. Se così fosse non sarebbe stato previsto l’esercito e, all’articolo Articolo 52 della stessa Carta il fatto che “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Ragioniamo bene quindi, non ci sono certezze granitiche, si naviga davvero a vista ed è giusto scendere in piazza per chiedere pace, ma non la resa. Perchè ci sono dei punti fermi, i nostri figli o nipoti sarebbero ancora balilla e avanguardisti e i sindaci podestà (a qualcuno farebbe certamente piacere) se i nostri partigiani, così come tutti i combattenti per la libertà nell’Europa occupata dai nazisti, non fossero stati riforniti di armi dagli anglo-americani. Intendiamoci il movimento pacifista è una realtà importante e vi sono certamente persone che sono in grande buona fede, altri però certamente meno. In una spirale negazionista sono i terrapiattisti della geopolitica, che si dibattono come pesci nella retina della storia, fra nostalgia e complottismo. Alcuni sono culturalmente in buona fede, altri sono dei manipolatori e qualcuno probabilmente a libro paga. Ovviamente si può rovesciare la frittata perché anche la propaganda “nord atlantica” non fa prigionieri come il passato ben dimostra, ma oggi, in questo momento non possono esserci dubbi da che parte stare. Tutte le dietrologie lasciano il tempo che trovano. Il dramma ulteriore è che oggi si rischia ancora una volta di frammentarsi, di contrapporsi, perfino su un concetto fondamentale. La ricerca della pace è sempre una corsa ad ostacoli, chi è veramente pacifista vede la pace non come una condizione spontanea dell’esistenza, per cui basta astenersi dalla guerra magari volgendosi dall’altra parte per non vedere i massacri che “fanno tanta impressione”. Fetido è inoltre teorizzare che gli ucraini sbagliano ad opporsi all’invasore perché meglio “russi che morti”. In realtà una pace si può raggiungere con un processo lento che passa attraverso l’allontanamento degli elementi conflittuali che però filtrano  spesso anche attraverso il concetto di difesa e purtroppo anche l’uso della forza. Lo sapeva bene il Presidente Sandro Pertini amatissimo da tutti ma che era partigiano fin dentro al midollo. L’equivoco ideologico, nasce dal fatto che se il termine “guerra” suscita immediatamente un’idea precisa, lo stesso non avviene col termine “pace”. Pur trattandosi della definizione più idonea, non dà tuttavia ragione della complessità che sottintende. Se analizziamo la storia della filosofia occidentale, ci accorgiamo che esiste una “filosofia della guerra” che si può sintetizzare all’estremo nel concetto di latina memoria “se vuoi la pace preparati alla guerra”, frase che oggi andrebbe arricchita dall’aggettivo difensiva. Insomma non esiste una vera ed unanime “filosofia della pace” e anche il tentativo dello slogan di piazza “se vuoi la pace, prepara la pace” appare debole ed indefinito. Il perché è chiaro, della guerra si ha un’idea immediata e concreta, come immediati è concreti sono i mezzi per farla, non così è per la pace. Volendo cercare di dare un significato univoco al termine, ci si trova di fronte all’impossibilità di formulare un concetto immediatamente definibile e, soprattutto, di indicare una metodologia chiara per imporla, soprattutto se dinnanzi ci si trovano personaggi come Vladimir Putin. Pace, dunque, si può costruire prima della guerra per esorcizzarla e dovrebbe essere un valore dove domini la giustizia in assenza di violenza, ma anche valore universale di rispetto per la vita, la libertà, la solidarietà, la tolleranza, i diritti umani e l’uguaglianza dei diritti economici e sociali. Farlo quando rombano i cannoni è esercizio complicatissimo senza uno straccio di tregua. Diventano tante belle parole messe una dietro l’altra ma che mentre spirano i venti di guerra, non hanno quella concretezza operativa che le faccia uscire dal recinto dorato dell’utopia. Ma siamo onesti, i dubbi permangono: forse aveva ragione Gandhi, che però aveva una spiritualità e cultura filosofica orientale, quando spiegava che non è la forma di governo che garantisce la pace, né tanto meno un insieme di trattati o accordi internazionali. Essa è garantita solo ed esclusivamente dal comportamento e dalle scelte degli individui. Gandhi, a questo proposito, affermava che: «Non vi è una Strada alla Pace, la Pace è la Strada» per significare che solo “vivendo la Pace” è possibile camminare sulla sua Strada, nella sua verità. Il problema che farlo mentre ti sparano contro non è semplice, non è semplicemente fattibile. Ed allora rimanendo nella filosofia scomodiamo anche Immanuel Kant che nel lontano 1883 cercò, da occidentale, in qualche modo di creare le premesse che avrebbero potuto portare alla “pace perpetua”. Partendo dal presupposto che la guerra «è il male peggiore che affligge la società umana ed è fonte di ogni male e di ogni corruzione morale», Kant affermò che l’uomo, senza ricorrere ad altro fondamento se non alla propria ragione, può muoversi nel contesto di valori cui ancorare la propria volontà di azione. La pace è considerata da Kant tra i valori più importanti. Nel suo saggio “Per la Pace Perpetua”, Kant elabora una teoria per articolare i diversi elementi del problema della pace, proponendo il modo per evitare la guerra e avviarla alla sospensione definitiva. Egli afferma che gli esseri umani non sono veramente tali se ammettono anche solo teoricamente la guerra come risoluzione di contrasti; la vera pace si realizzerà solo quando sarà impossibile fare la guerra, ovvero quando gli Stati si organizzeranno giuridicamente per impedirla. Il perfezionamento morale dell’uomo passa quindi attraverso l’espulsione della guerra dalla storia, in altre parole può emergere solo quando vi è il tentativo di conciliare politica e moralità. Ovviamente, per Kant, se l’umanità riuscirà ad espellere la guerra dai rapporti personali, considerando l’altro come fine e non come mezzo, riuscirà ad eliminarla anche da quelli internazionali”. Una teoria bellissima, affascinante, aspettiamo ora che qualcuno dalle piazze pacifiste ne vada a discutere con Putin. Fabio Folisi

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