Un farmaco d’uso comune per la terapia antiparassitaria sarebbe in grado di bloccare il Covid. Studio sull’asse Trieste-Londra pubblicato sulla rivista Nature
Individuato il farmaco capace di bloccare i danni da Covid. Troppo bello per essere vero. Certo la fonte è prestigiosa, la rivista Nature, e lo studio certamente serio, ma la complessità della situazione suggerirebbe prudenza anzichè intestarsi territorialmente un successo tutto da provare sul piano clinico. Ed anche se l’entusiasmo dei ricercatori è giustificato i tempi per un eventuale utilizzo sugli ammalati non sarà breve. La ricerca considerata molto promettente è stata condotta sull’asse Trieste-Londra nei laboratori del King’s College London e dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb) in Area Science Park, in collaborazione con l’Istituto di Anatomia patologica dell’Università di Trieste (Rossana Bussani) e dell’Istituto di biofisica del Cnr di Trento sotto la direzione dello scienziato triestino Mauro Giacca. In origine oltre cinquant’anni fa, era un antiparassitario che gli agricoltori usavano per uccidere le lumache più recentemente il Niclosamide, questo il nome della sostanza è utilizzato per curare le infezioni intestinali causate dalla tenia, ma la novità dello studio italo-inglese è che potrebbe avere applicazioni per bloccare i danni causati ai polmoni dal Covid-19.
Infatti una volta identificato il meccanismo che porta alla fusione delle cellule infettate con Sars-Cov-2 si è arrivati alla ricerca di farmaci in grado di bloccare questo processo. Per quanto riguarda il farmaco Niclosamide si è arrivati ad identificarlo dopo uno screening di laboratorio su oltre 3.000 farmaci già approvati per la terapia di diverse malattie.
Il gruppo di ricercatori italiani e inglesi guidati da Mauro Giacca, professore dell’Università di Trieste, docente di Cardiovascular Sciences al King’s College di Londra, nel mese di novembre dello scorso anno in un articolo pubblicato su Lancet e BioMedicine aveva scoperto che i polmoni dei pazienti morti per Covid-19, oltre a mostrare un esteso danno e la presenza di coaguli che bloccano la circolazione del sangue, contengono un vasto numero di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, infettate dal virus anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale. Queste cellule anomale sono generate dalla capacità della proteina Spike del coronavirus di stimolare la fusione tra le cellule infettate e le cellule vicine. Stimolati da queste osservazioni, i ricercatori hanno ora scoperto il meccanismo che consente la fusione delle cellule e trovato un farmaco in grado di bloccare questo processo. «Siamo molto soddisfatti dai nostri risultati – dichiara Mauro Giacca – per almeno due motivi. Primo, perché abbiamo scoperto un meccanismo completamente nuovo, attivato dalla proteina Spike e importante per il virus. Le nostre ricerche mostrano come Spike attivi una famiglia di proteine della cellula, chiamate Tmem16, che sono indispensabili per la fusione cellulare. Secondo, perché questo meccanismo è anche alla base dell’attivazione delle piastrine, e potrebbe quindi anche spiegare perché il 70% dei pazienti con Covid-19 grave sviluppa una trombosi. E ora sappiamo che c’è almeno un farmaco, la niclosamide, in grado di bloccare questo meccanismo».
Come accennato la Niclosamide è un farmaco sintetizzato negli anni ’70 e usato a partire dal 1982 per la terapia delle infezioni intestinali dovute alla tenia ed è quindi già registrato per uso umano fattore che potrebbe accelerarne la sperimentazione. Il nuovo studio mostra come questo farmaco, inibendo Tmem16 e la fusione delle cellule, blocca anche la replicazione del virus.
Sulla base di questi risultati, la sperimentazione clinica su 120 pazienti è già partita in India, dove l’infezione è ancora molto diffusa e si sta somministrando la niclosamide a un gruppo di pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19. Si tratta di una sperimentazione appena avviata, e pertanto sarà di fondamentale importanza attendere i risultati nel corso dei prossimi mesi per confermare la reale efficacia del farmaco al di là delle indagini di laboratorio. «Penso che questa ricerca sia importante – continua Giacca – anche perché sposta l’attenzione dal tentativo di bloccare la moltiplicazione del virus, come finora hanno cercato di fare con alcuni farmaci, con scarso successo, a quello di inibire il danno causato all’organismo dalle cellule infettate. Sono sempre più convinto che Covid-19 sia una malattia causata non dalla semplice distruzione delle cellule infettate dal virus, ma dalla persistenza di queste cellule nell’organismo per periodi lunghi di tempo. Il meccanismo che abbiamo scoperto potrebbe quindi anche essere coinvolto nello sviluppo del cosiddetto Covid lungo, ovvero spiegare la difficoltà che molti pazienti hanno a ricuperare dopo la malattia».