Un Salvini disperato lancia i suoi diktat via Facebook: “O governo o voto”. Ma i 5S gli chiudono ogni “porto” d’approdo: “interlocutore non più credibile e inaffidabile”
C’è confusione sotto il cielo d’agosto. Appare sempre più evidente come troppi mojito e bagni di folla sotto il sole al “Papeete” abbiano offuscato la mente di Matteo Salvini, al quale, pare, non basteranno più delle “forche caudine” del dietrofront sotto le quali pateticamente cerca di passare per ricucire i rapporti con il Movimento 5 stelle. Con il coupe de theatre dell’8 agosto scorso, quando ha di fatto staccato la spina al governo Conte si è probabilmente pregiudicato un futuro da premier per molto tempo. Per questo in preda alla disperazione Matteo Salvini è ormai un torrente in piena, in pochi giorni ha detto tutto e il contrario di tutto, oggi si è abbandonato all’ennesimo comizietto solitario in diretta Facebook ribadendo che o ci si rimette al tavolo con il M5s o si va al voto. Insomma vuole dettare le regole e dice di non mollare: “Si lavora e si ragiona con calma da ministro dell’interno: ieri, oggi e domani. Non darò mai la soddisfazione di togliere il disturbo. Se devo finire in galera perché ho difeso la sicurezza del mio Paese lo farò, contro questa politica che ha a cuore soltanto la poltrona”. Parla in un delirio di onnipotenza come se le sorti del mondo dipendessero dal suo volere. Poi si ricorda all’improvviso che esistono anche gli altri e lancia gli strali contro un’eventuale intesa fra M5s e Pd: “Non riaprirò le porte agli sciagurati del Partito democratico e restituire le chiavi di casa degli italiani a Boschi, Renzi, Lotti e compagnia. Se qualcuno ha deciso ribaltoni o inciucioni lo dica ad alta voce. Se non c’è un governo si va alle elezioni altrimenti ci si siede al tavolo e si lavora”. La sentenza finale è: “O governo o voto”. Ma a stretto giro arriva la nota del M5s, una nota emessa dopo il vertice dell’incontro con Grillo in Toscana: “Salvini interlocutore non più credibile e inaffidabile” riporta il comunicato. Il garante del Movimento ha radunato i principali esponenti del Movimento nella sua villa in Toscana in vista della settimana decisiva per le sorti del governo. Presenti Di Battista, Fico, Di Maio, ma anche Casaleggio e i capigruppo di Camera e Senato. Una nota che dovrebbe essere una sorta di pietra tombale e che arriva dopo che ieri il leader Luigi Di Maio aveva parlato di “fake news” rispetto alla possibilità di un incarico a Palazzo Chigi in un nuovo esecutivo gialloverde, sono anche quasi tutti i 5 stelle che contano a ribadire che non intendono ricucire lo strappo con Salvini e anche se qualcuno ricorda che in politica è saggio “mai dire mai”, la situazione con Matteo Salvini sembra essere Irrimediabilmente compromessa. I grillini accusano direttamente il Carroccio di non voler mollare “le poltrone” ironizzando con un “anche oggi si dimettono domani”, e le parole di Salvini di oggi confermano questa tesi. Il senatore grillino Di Nicola va perfino oltre: “Tenerli lontano dal governo è diventato un dovere democratico”. Ma è evidente che ormai il cadavere puzza e non è quello del governo Conte come Salvini sperava ma più probabilmente quello della Lega primo partito, perchè per diventarlo in maniera reale e non solo virtuale nei sondaggi, al voto bisogna andarci e anche se Calderoli pronostica che le urne sono certe all’80%, non ha fatto i conti con la voglia delle centinaia di onorevoli e senatori pentastellati di restare al loro posto, tanto per loro che dicono di aver superato il concetto di destra e sinistra un partner di governo vale un altro, basta accontentarli con qualche provvedimento di bandiera. Ma non solo pentastellata è la volontà di mantenere in piedi la legislatura, anche nel PD onorevoli e senatori, al di là delle dichiarazioni di facciata, vedono le elezioni come fumo negli occhi.
Così mentre il “democratico per caso” Carlo Calenda lancia i suoi strali e minaccia scissioni: “Se alleanza con M5s, io formo un’altra forza politica”, nel PD nessuno lo fila ma regna invece confusione per le solite diatribe interne, il rischio è di perdere l’ennesimo treno di contare qualcosa nel paese una eventualità. Innegabile dire che la mossa di Matteo Renzi di sparigliare le carte ribaltando i ruoli e facendosi in qualche modo promotore di un accordo con i pentastellati ha gettato scompiglio nel partito, una gran parte del quale è sostanzialmente d’accordo, solo non l’avesse fatta lui quella proposta. Così mentre il segretario Zingaretti non vorrebbe perdere l’occasione di ridisegnare i gruppi parlamentari che attualmente rispondono al suo predecessore che li aveva scelti in queste ore caotiche è sceso in campo anche Romano Prodi che propone un governo con “maggioranza Ursula” facendo riferimento a chi ha votato per la von der Leyen fra i partiti italiani pentastellati compresi quindi. Insomma Zingaretti è fra l’incudine e il martello, da un lato vorrebbe andare a elezioni, ma dall’altra c’è la consapevolezza che non farlo vorrebbe dire relegarsi all’opposizione per anni lasciando il paese nelle grinfie della peggiore destra si sia vista dall’epoca del ventennio fascista. Come prendere due piccioni con una fava? Questo è il quesito dinnanzi al segretario PD che dovrà scegliere per il male minore mettendo sul piatto della bilancia anche la possibile scissione, non quella di Calenda che rappresenta se stesso, se si fa un accordo con i pentastellati, ma quella di Renzi se non si fa. Del resto non vi è nessun reale pericolo che si possa considerare un inciucio, certo Salvini griderà allo scandalo e lo farà anche il redivivo Berlusconi. Ma tutti e due sono esperti del settore, il primo l’inciucio l’ha fatto in questa legislatura proprio con i 5stelle e quindi dovrebbe stare muto, il secondo, se pur in maniera più subdola, l’aveva fatto con il Pd renziano con l’accordo del Nazzareno. Insomma nessun problema, chiamatelo inciucio o inciucione, ma in realtà con il sistema proporzionale o semi proporzionale è “fattuale” come direbbe Vittorio Feltri che i partiti si accordino per governare. Sarebbe opportuno lo facessero però con programmi chiari di legislatura e non con accordicchi o contratti ripartitori: il “questo a me e questo a te” alla lunga, come abbiamo visto, non può funzionare. Meglio mediare in maniera preventiva sulle maggiori questioni ma in maniera integrata. Del resto la politica dovrebbe essere l’arte della mediazione, non della sopraffazione.