Urne chiuse… porti aperti. Salvini come il generale argentino Lorenzo Gualtieri cerca una guerra nazionalista contro l’Europa. Di Maio “conservatore” … di poltrone
Urne chiuse, porti aperti. Salta decisamente all’occhio come finita la campagna elettorale magicamente la passione di Matteo Salvini per i roboanti annunci di chiusura dei porti si sia evaporata come neve a ferragosto. Sono decine gli sbarchi che si sono succeduti in poco più di una settimana senza che il ministro degli interni pronunciasse il suo mantra sui social. Vale quindi la pena fare qualche considerazione, in realtà i porti non sono stati chiusi e vari tentativi di criminalizzare le navi che prestavano il soccorso in mare sono naufragati contro i giusti scogli dello stato di diritto. Quello che però andrebbe evidenziato è lo scarso rispetto per l’intelligenza degli elettori che evidentemente si pensa essere dei bamboccioni facilmente influenzabili dalla propaganda. Certo la propaganda ha i suoi effetti, ma la storia insegna che la fiducia incondizionata è a tempo determinato. Del resto la mobilità del corpo elettorale del terzo millennio è tale che nessuno può sentirsi al sicuro. Lo sa Salvini e lo sa anche Di Maio che il conto lo ha già ricevuto anche se tenta di far finta di nulla. Lo avrebbe già dovuto capire nel recente passato Matteo Renzi che anziché porre rimedio e cogliere i segnali che gli arrivavano palesi, decise di immolare l’intero PD al suo smisurato e miope ego. Forse Salvini compierà lo stesso errore ma di certo ci penserà due volte a staccare la spina senza aver ottenuto risultati reali alle sue politiche, perchè la propaganda può imbrogliare solo a tempo determinato gli elettori “bamboccioni”, ma non per sempre. Se la sua speranza è che a staccare la spina a questo governo di ologrammi siano i 5 Stelle, ha sbagliato strategia e non solo perchè nessuno vuole rimanere con il cerino in mano, ma perchè si è fatta strada in Di Maio & c la consapevolezza che quella cadrega sotto il culo è fattore irripetibile, vuoi per le regole interne del MoVimento, vuoi per il fatto che il dimezzamento dei voti porterà i pentastellati all’irrilevanza, se non politica, certamente governativa. Se in ballo non ci fosse il benessere degli italiani ci sarebbe da divertirsi. Ma in realtà la situazione è davvero preoccupante perchè non basterà baciare il crocefisso e votarsi alla madonnina per sostenere la crociata salviniana contro l’Europa, lui pensa che siccome l’Italia non è la Grecia per dimensioni e peso economico gli europei non ci metteranno nell’angolo. Spera forse di fare un patto come quello sulla restituzione dei 49 milioni sottratti dalla Lega in 80 anni, ma c’è un problema, la Ue non si coprirà di ridicolo come fatto da chi ha accettato quella proposta di “dilazione”. Quella di una Commissione Ue che si piegherà al ricatto leghista è una tesi che è stata spesso evocata, ma si scontra pesantemente con il fatto che gli altri leader europei non sono come il Berlusconi che baciava la mano a Gheddafi. Per capire quanto possa contare la dignità dei paesi se sfidati e di come sia drammatico sottovalutare il fattore umano, facciamo uno sforzo storico e andiamo al 1982 in Argentina. Parliamo della vicenda della guerra per le isole Falkland di cui in questi giorni ricorre il 37esimo anniversario. L’Argentina si trovava allora nel pieno di una devastante crisi economica e di una contestazione civile interna montante su larga scala contro la giunta militare che governava il Paese.
Il governo, guidato dal generale Leopoldo Gualtieri che nel 1981 si era autoproclamato presidente a vita dell’Argentina, con poteri assoluti e la facoltà di scegliersi un successore, decise di giocare, come arma di distrazione di massa la conquista della isole Falkland, non avendo migranti da additare come invasori. Usò insomma la carta del sentimento nazionalistico lanciando quella che considerava una guerra facile e veloce per reclamare le Falkland, su cui l’Argentina (che le chiama Malvinas, Malvine) rivendicava la sovranità per la loro vicinanza geografica. Gualtieri contava sul fatto che la Gran Bretagna era lontana e che economicamente le Falkland non erano certo un capitale da difendere. Non aveva però fatto i conti con un Regno Unito, guidato dal primo ministro Margaret Thatcher, che non solo protestò a parole, ma organizzò una task force navale imponente e costosa per respingere le forze argentine che avevano occupato gli arcipelaghi piegando e punendo, in soli 74 giorni, in maniera durissima l’Argentina. La conseguenza politica per il regime argentino fu devastante, la sconfitta militare ebbe l’effetto di far crescere il dissenso e le proteste contro il governo militare, avviandolo verso la caduta definitiva. Purtroppo quel risultato si giocò con missili e siluri non virtuali, fu guerra vera, lo dimostrano i morti, i feriti e i prigionieri. Gli argentini persero 649 militari, 1068 furono feriti mentre ben 11313 furono presi prigionieri. Più lieve, ma comunque significativo il bilancio delle perdite da parte del Regno Unito con 255 morti, 777 feriti e 59 prigionieri. Ora se è pur vero che Matteo Salvini non è come il generale Lorenzo Gualtieri, anche se la sua predilezione per le divise e i toni da capitan fracassa sono simili, una “guerra” anche se solo economica contro la Ue rischierebbe di fare molto male all’Italia e magra sarebbe la consolazione di vedere poi la Lega tornare nei confini e nelle percentuali che gli competerebbero se solo gli elettori fossero meno superficiali nel farsi abbindolare dal solito “uomo forte” e dal suo modo virtuale di raccontare la realtà.
Fabio Folisi