Voto europeo e riforme: intervento europeista della presidente di Confindustria Udine Mareschi Danieli. Ma nessuna autocritica sul ruolo degli imprenditori

Delusione, irritazione e preoccupazione, si può interpretare così l’intervento della presidente di Confindustria Udine Anna Mareschi Danieli sulla imminente tornata elettorale sulle Europee. Ovviamente le parole della presidente sono misurate e tende formalmente a dare bacchettate a tutti (ma non agli industriali),  ma in realtà a ben interpretare le sue parole è evidente la delusione soprattutto per la fase di governo, sia regionale che nazionale, legata alle posizioni antieuropee che anche se non espresse da alcune forze politiche, che in passato erano assolutamente determinate alla dissoluzione dell’Europa, oggi con una buona dose di cinismo e disonestà intellettuale “pre-elettorale” sembrano aver cambiato idea, ma che siamo sicuri lavorino in funzione di sovranismo becero.

Dice infatti Mareschi : “ Dopo aver ascoltato le proposte di molti dei candidati del Nord Est alle elezioni europee, devo tristemente riscontrare una generalizzata mancanza di passione per l’Europa. L’economia continentale è schiacciata tra due blocchi che attuano strategie aggressive a tutela dei propri interessi e l’Europa (già fin troppo debole) deve reagire per rafforzare la propria sovranità. Con tutti i suoi limiti, l’Ue resta per l’Italia l’unico orizzonte di sviluppo e di progresso possibile. Fuori da questo fragile perimetro, infatti, saremmo ancora più deboli. Per questo sentiamo la responsabilità di promuovere un modello europeo che possa assicurare crescita, occupazione e benessere per i nostri cittadini. Per raggiungere questi obiettivi occorre ripartire da ciò che ha reso possibile fin dall’inizio il cammino verso l’integrazione: l’industria”.

Parole chiare che anche se sembrano destinate a tutte le forze lanciano un messaggio preciso.

“Sul fronte interno, abbiamo bisogno di un quadro armonizzato di regole, riducendo la burocrazia, di investimenti nel campo della ricerca, della cybersecurity, delle infrastrutture per recuperare dinamismo e colmare i molti gap competitivi accumulati. Dobbiamo trovare una digital way italiana per la nostra manifattura. Siamo la seconda manifattura in Europa, per ora -aggiungo- perché il rischio di retrocedere è concreto. Il mondo sta cambiando con una velocità esponenziale. Cambia la tipologia delle imprese leader globali, da manifattura a servizi digitali. Nella classifica mondiale delle 50 società per capitalizzazione di borsa nel 2018, nei primi 9 posti troviamo imprese di informatica, elettronica, ICT e servizi online, aziende come Ford, GM e GE sono ben più in fondo alla graduatoria. La motivazione di questo ribaltamento del mercato si chiama trasformazione tecnologica. L’Italia è al 25 posto secondo l’indice DESI, che misura il progresso dei 28 Stati membri dell’Unione verso un’economia e una società digitale. Ecco: se non saremo in grado di adeguarci velocemente a questo paradigma, la nostra manifattura declinerà inevitabilmente. E con lei, visto che è la spina dorsale dell’economia italiana, declinerà il Paese”.

Insomma una bocciatura della attuale classe dirigente politica che evidentemente secondo Confindustria è incapace di interpretare quanto accade e di destinare ricette utili.

L’obiettivo è quello di focalizzare gli interventi strategici del governo su formazione dei giovani e riqualificazione delle risorse umane già impiegate perché la digitalizzazione sta trasformando il mondo e, come mai prima nella storia, è diventato centrale il ruolo delle competenze. È qui che ci giochiamo il futuro. È la chiave dello sviluppo economico e industriale perché crea lavoro, ricchezza e benessere per tutti. Proprio la velocità del cambiamento innescato dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica e gli scarsi investimenti in capitale umano hanno determinato l’aumento delle diseguaglianze e l’impoverimento relativo della classe media. Tutto questo ha prodotto un tracollo della fiducia dei cittadini nel futuro e nelle istituzioni, soprattutto nei confronti del progetto Europa”.

Parole davvero dure che celano neppur tanto velatamente l’insoddisfazione del mondo imprenditoriale per la non gestione dell’economia e , aggiungiamo noi, per la mancanza di politiche industriali che ormai da anni mancano nell’azione dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni, molti anni, e che il cosiddetto Governo del cambiamento non ha certo risolto, anzi ha aggravato bloccando nei fatti gli investimenti produttivi e perfino impaludando le opere già finanziate e precedentemente decise con il trucco di una diffusa valutazione “costi benefici” che se poteva avere un senso in qualche occasione o come prassi sul futuro, se applicata come regola ai progetti esistenti finisce per bloccare il Paese.
A questa pericolosa deriva, aggiunge Mareschi, che impoverisce l’economia, spaventa le persone e intacca persino i valori delle democrazie liberali, si reagisce soltanto con l’esercizio di un ruolo coraggioso, che porti a un’iniezione di investimenti sulle imprese e sul capitale umano, inteso come formazione, ma anche come supporto alla famiglia per invertire il trend di invecchiamento della popolazione. In Italia – ma anche in Europa – nascono sempre meno bambini. Il motivo è chiaro: non c’è adeguato supporto alla famiglia, alla maternità. La questione demografica, con tutte le conseguenze potenzialmente dirompenti nel medio-lungo periodo, richiede una reazione immediata. Insomma, Europa non significa perdere la nostra identità nazionale. Basta con questa retorica che addirittura ha scalzato la storica contrapposizione tra destra e sinistra, trasformandola in una divisione tra europeisti e antieuropeisti”.

Noi , conclude la leader degli industriali friulani, non siamo d’accordo con chi scarica la sua insoddisfazione sull’Europa (pur consci che qualche responsabilità quest’ultima ce l’ha), perché sono certa che pochi italiani di buon senso la scambierebbero con altri modelli, vigenti in altre aree del mondo. L’obiettivo del prossimo Parlamento europeo per noi è chiaro: crescita inclusiva e sostenibile, occupazione e benessere per i cittadini. Servono una visione ambiziosa e coraggiosa, proposte forti, volte a rilanciare il processo di integrazione, oggi messo a repentaglio dal deteriorarsi del clima politico, che ha inevitabilmente intaccato anche quello sociale ed economico. Ai nostri rappresentanti nel prossimo parlamento Europeo chiediamo questo. L’Europa non va smontata, ma va riformata da dentro, perché possa scaricare a terra tutto il proprio potenziale, che sappiamo essere immenso. Occorre aprire una nuova stagione di riforme, che restituisca la speranza ai cittadini europei. Proprio per questo motivo, Confindustria Udine ha voluto lanciare anche un segnale simbolico: la facciata della nostra sede espone tre bandiere: friulana, italiana ed europea. E porta un messaggio per noi vitale: meno individualismo e più Europa, senza tralasciare chi siamo e da dove veniamo”.
Ovviamente tutto molto condivisibile e siamo certi che le varie forze politiche in maniera più o meno ipocrita e con responsabilità differenziate ma comunque diffuse, metteranno il cappello o cercheranno di farlo sulle parole della presidente di Confindustria Udine. Solo un appunto, ma grosso come una casa,  ci sentiamo di fare, non una parola di autocritica è stata espressa sul comportamento di molti, troppi, imprenditori che non hanno di certo favorito il Paese anzi l’hanno impoverito. Delocalizzazioni selvagge, svendita di marchi e tecnologie solo per fare “cassa” e scarsa cura delle proprie maestranze barattate con logiche di mero guadagno ed in barba ad ogni salvaguardia del benessere di intere famiglie, non le hanno fatte i governi rei semmai di non aver avuto il coraggio di impedire con misure possibili di  golden share il depauperamento del patrimonio industriale del paese. Oggi richiamare ai valori dell’Eurpa è atto dovuto alle necessità della storia ed è emergenza anche nazionale, ma invertire la tendenza di un capitalismo dalla scarsa moralità etica sarebbe altrettanto auspicabile.