9 Maggio 1978: anniversario incrociato della morte di Aldo Moro e Peppino Impastato, così diversi ma così eguali

Sono 45 anni dal quel 9 Maggio 1978 quando due fatti fecero apparentemente lontani con cassa di risonanza mediatica decisamente diversa cambiarono profondamente la storia del nostro Paese, parliamo del ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e l’uccisione del giornalista Peppino Impastato per mano della mafia siciliana. Uno strano intersecare di fatti che oggi a 45 anni di distanza possono essere letti con un certo, ma non totale distacco. Due vite diverse, due facce di uno stesso Paese che allora era in grande subbuglio, subbuglio dal quale in verità non siamo ancora fuori, due tragedie oscure che si sono intrecciate nello stesso giorno e che hanno lasciato una segno indelebile nella coscienza di tutti gli italiani ma che soprattutto per le opache modalità degli avvenimenti e dei successivi depistaggi buttarono un ombra sinistra sulla nostra allora ancora più giovane di oggi democrazia. Possiamo dire che le “convergenze parallele” teorizzate da Aldo Moro, si sono materializzate nella loro fine. Ricordiamo rapidamente i fatti: Il 9 maggio 1978 all’interno di una Renault 4 rossa parcheggiata in Via Caetani a Roma, le forze di polizia ritrovavano il corpo senza vita del politico Aldo Moro, rapito 55 giorni prima dal gruppo terroristico delle Brigate Rosse (BR). Moro era il Presidente della Democrazia Cristiana (DC), il più grande partito politico dell’epoca che stava trattando con il Pci di Enrico Berlinguer per arrivare al compromesso storico. La sua morte creò grande sgomento in tutta la Nazione e blocco quel processo che avrebbe potuto cambiare il Paese. Nello stesso giorno, solo qualche ora prima infatti, nella notte tra l’8 ed il 9 maggio, perdeva la vita anche il giornalista Peppino Impastato, nome molto meno noto al grande pubblico, ma che proprio dal momento della sua tragica fine divenne una dei simboli nella lotta contro le mafie. Impastato infatti era un attivista siciliano che fu tra i primi a denunciare il sistema tentacolare del crimine organizzato palermitano. Proprio per questa “grave colpa” gli uomini di Cosa Nostra decisero di rapirlo, ammazzarlo e di mettere in piedi una messinscena per gettare discredito sulla sua persona. Il corpo di Peppino, o quello che ne rimaneva, fu infatti imbottito di tritolo dai suoi assassini per far pensare ad un attacco terroristico suicida. Tesi comoda subito sposata da molti ambienti investigativi, per covenienza politica o per collusione con “cosa nostra”. Solo grazie al lavoro instancabile della madre di Peppino, Felicia, e del fratello Giovanni, nel tempo la verità sui fatti venne a galla ma molto meno si chiarì sui depistaggi e depistatori. Da quella data in uno strano intersecarsi della storia i nomi di Aldo Moro e Peppino Impastato vengono ricordati affinché le loro storie, così diverse, ma così importanti, restino nella memoria storica del paese soprattutto nella parte che vide entrambi essere oggetto di macchinazioni indegne, nel caso di Impastato, e di meschine insinuazioni quelle su Moro. Catena di depistaggi e inquinamento e sparizione di prove, ordite ad arte con lo scopo di mantenere divisa l’opinione pubblica o intaccare la credibilità delle due personalità. Ma non solo, entrambi avrebbero potuto incontrare una sorte diversa se solo fosse stato manifestato da parte di tutte le forze in campo maggiore sostegno, responsabilità e onestà. Entrambi sono simbolo di una tensione civica che oggi andrebbe rinnovata, corroborata e sostenuta uscendo dall’orribile modello che in modi diversi ambedue osteggiavano, modello di società che insegue il benessere economico, il denaro, come prova “ontologia” del successo personale. In alternativa sarebbe necessario ritrovare nella cultura e nell’appartenenza alla propria comunità le ragioni del riscatto e della realizzazione anche personale. Purtroppo oggi sono sempre di più le fasce di popolazione, come dimostra l’astensionismo al voto e il voto stesso, che non sembra più avere maturità e cultura per comprenderlo. Sembra che molti cittadini non dispongano degli strumenti necessari per interpretare fenomeni complessi e in evoluzione e non solo quelli della mafia e del terrorismo. I rischi per la nostra democrazia sono così concreti e nascono oggi, subdolamente, più da volontà interne al sistema che “esterne” almeno apparentemente, come 45 anni fa. Questi pericoli hanno un nome (anche cognomi in realtà) si tratta delle riforme che si stanno cercando di incardinare, risposte sbagliate e pericolose come l’autonomia differenziata per le Regioni o la riforma dello Stato in senso presidenzialista che alla fine ci avvicinerebbe sempre di più alle “democrature” decisionali che piacciono tanto alla destra che non a caso, pur avendo giurato sulla Costituzione nata dalla Resistenza al fascismo, non perdono occasione per minarne la memoria e funzionalità. Il dramma è che anche le forze “progressiste” su questo non sembrano adeguatamente attrezzate e consapevoli dei rischi.