A caval donato non si guarda in bocca(?)

Non basta l’immane tragedia provocata dal terremoto che ha causato più di 40.000 vittime e che chissà quante altre ne tiene tutt’ora sepolte. L’ingenua, a questo punto tale, speranza che proprio l’entità della proporzione di questa disgrazia (che, sia chiaro ha parecchie responsabilità e ben precise) potesse almeno temporaneamente appianare alcuni dei numerosi problemi che affliggono da più di un decennio la regione colpita dal sisma, appare in tutta la sua inapplicabilità.
Già in Turchia non tutte le zone devastate sono state raggiunte con la stessa rapidità, tra l’altro dimostrando l’inadeguatezza dei sistemi di soccorso rapido che un’area così potenzialmente sottoposta al rischio di terremoti richiederebbe. Ciò naturalmente solleva proteste da parte di chi poco ha fino ad oggi ricevuto e che, se gli aiuti fossero stati pù solerti, sarebbe probabilmente riuscito a limitare il numero delle vittime rimaste invece sotto le macerie che in mancanza di mezzi adeguati, non hanno potuto essere rimosse.
Ma dove le decisioni “politiche” prevalgono maggiormente sulla ragione, è il nord della Siria. L’area interessata pesantemente dal terremoto è la stessa in cui il territorio è più frammentato e controllato da diverse forze e dunque dove diversi sono gli interessi. Se il governo di Assad ora governa la maggior parte della Siria, rimangono ampie zone in cui il suo esercito non è mai riuscito a rientrare.
Le aree più interessate dal sisma sono infatti quelle a ridosso del confine con la Turchia e da anni occupate dai cosiddetti ribelli appoggiati più o meno direttamente dai turchi. La regione di Idlib governata da HTS (ex Al Nusra, ex Al Qaeda), quella del cantone di Afrin e tutto il nord della regione di Aleppo, zone occupate dalla Turchia in varie fasi e poi lasciate amministrare dall’ SLN (Syrian Liberation Army), un’accozzaglia di gruppi più o meno potenti e variegati dove c’è un po’ di tutto, compreso Isis e ciò che rimane del FSA (Free Syrian Army) e in cui si applica la legge della Sharia radicale. Insomma, non dei moderati come a volte in occidente si tende a mostrare.
Dove invece Assad e i suoi scagnozzi hanno pieno controllo, sono i centri (a parte Idlib) più importanti come Aleppo, Hama, Homs, Latakia e le regioni periferiche che quelle città amministrano. Anche queste sono aree in cui il terremoto ha colpito duramente e la distruzione si è aggiunta a quanto la guerra ha prodotto in questi ultimi 12 anni.
Diversa è la situazione nel NES (Noth East Syria) dove AANES (Autonomous Administration of Notrh East Syria), i kurdi di Rojava e gli stessi soggetti componenti il SLN si contendono il controllo di vaste aree; infatti i danni provocati dal terremoto sono in NES molto più limitati rispetto alle regioni più a ovest.
Bene, detto ciò e detto che in Siria gli aiuti sono arrivati fino ad oggi in modo molto più limitato rispetto alla Turchia e che ovviamente e nonostante la metodica distruzione in Anatolia, la Turchia non deve affrontare situazioni di guerra tutt’ora combattuta (lo fa attraverso i suoi “proxies”) e della frammentazione del territorio con cui invece la Siria deve fare i conti, quel poco disponibile deve subire le logiche che la stessa frammentazione impone. E che infatti incidono profondamente nelle dinamiche della distribuzione e dell’organizzazione dei soccorsi.
Partiamo dal fatto che la Siria è sotto pesanti sanzioni da parte dell’occidente, USA e EU principalmente, e che in una situazione del genere anche gli aiuti umanitari risentono ovviamente di tale limite. Ora gli USA hanno deciso di ammorbidire il boicottaggio ne confronti di Damasco e ciò comporterà qualche miglioramento nella gestione degli aiuti stessi. In risposta, la Siria ha concesso l’apertura di due ulteriori valichi che permetteranno ai convogli dell’ONU di transitare dalla Turchia alle aree occupate dagli alleai di Ankara che occupano il nord ovest della Siria. Sono le stesse, le frontiere, che erano state chiuse nel 2020 assieme a quelle con l’Iraq e con la Giordania. Per tre mesi intanto rimarranno aperte, poi si vedrà.
È chiaro che da quei confini arriveranno aiuti solo a chi controlla quell’area; come visto in precedenza il SLN che non è certo in buoni rapporti con HTS che invece governa ad Idlib e cerca continuamente di espandere la sua influenza nei territori del SNL. Naturalmente con le buone o con le cattive. Altrettanto chiaro che il valico di Bab al Hawa, l’unico che in questi anni è rimasto aperto permettendo all’ONU di portare aiuti nel nord ovest della Siria (non nelle aree sotto Assad) servirà a far arrivare i convogli nella zona di Idlib e difficilmente da lì si sposteranno.
Quanto a Damasco, fino ad ora ha ricevuto aiuti dalla Russia, dall’Iran e poco altro da chi riesce a sfidare l’ira di Washington. Ad onor del vero, Emirati, Egitto, Arabia Saudita si sono mossi in aiuto di Damasco, cosa non da poco se si considera che sono stai fino a ieri i suoi maggiori avversari. Ora il Libano ha garantito l’operatività dei suoi porti per permettere l’ingresso dei beni destinati alla Siria; che poi Damasco, nonostante le promesse fatte, abbia intenzione di spartire quanto arriva anche con le aree occupate dai “ribelli”, è tutto da vedere. In ogni caso, HTS non vuole ricevere aiuti da parte del governo.
All’interno di questo contesto così complesso, come detto precedentemente, pare abbastanza scontato che il sistema di organizzazione e distribuzione degli aiuti inciampi in parecchi intoppi.
Qualche giorno fa, per dirne una, dal NES sono partiti alcuni (tre) camion con beni di prima necessità e 100 camion cisterna pieni di petrolio destinati alla zona del nord ovest duramente colpita. I camion sono stati bloccati per parecchi giorni al check point che divide la zona amministrata dal AANES da quella governativa. Damasco pretendeva che l’80% dei beni rimanesse al governo (i prezzi del carburante nella Siria di Assad sono praticamente gli stessi che in Italia), mentre le merci erano destinate alla zona di Jindires e Tel Rafaat dove i kurdi scappati (o fatti scappare) in seguito all’invasione turca del 2018, hanno trovato rifugio. In seguito alle lunghe trattative, i governativi si sono accontentati del 40%.
Ad Idlb, HTS pretende di avere il totale controllo della gestione degli aiuti che arrivano (anche qui con notevole ritardo) dal valico di Bab al Hawa (unico rimasto sempre aperto dal 2020 quando Cina e Russia si sono opposte al mantenimento di altri 4 valichi attraverso cui far passare i convogli dell’ONU). Anche qui robusti check points impediscono alle merci di andare più a nord dove invece chi detta legge sono le milizie di SNL.
Se alla tragedia del terremoto si aggiunge che le stesse zone colpite dal sisma sono quelle che hanno subito i maggiori danni della guerra, capiamo bene che quanto poco o tanto arriva fa gola a tutti anche perché il controllo degli aiuti irrobustisce il potere di chi li gestisce. E che le speranze che i vari attori si mettano d’accordo tra di loro sono esili. Magari invece certi meccanismi che forzatamente dovranno essere attivati per far fronte alla tragedia potranno aprire spiragli che fino a prima davvero non si intravedevano. Magari, certo è che se i presupposti sono questi……

Docbrino